sottofondo: Caparezza – Pimpami la storia
Mi rendo perfettamente conto che il post che vi voglio proporre oggi non è dei miei soliti. Dico solo che l’ispirazione mi è venuta leggendo un articolo dal blog cose da libri della cara aa. Chiedo anche grazie al grande zio Charles Bukowsky per avermi permesso di storpiare il titolo di un romanzo (scherzo, ma se fosse in ancora in vita penso che avrebbe comunque approvato).
Come suggerito dal titolo, raccoglitore di questo ammasso di parole, voglio che venga effettuata un’operazione abbastanza semplice e che, secondo me, a molti può risultare piacevole: togliere ad un poeta quell’aura di intoccabilità morale che lo circonda. Mi spiego meglio, avete presente quelle tediose ore in classe passate a seguire nozioni su nozioni sui grandi poeti del passato? Ricordate per caso come vi venivano descritti? Ricordate come si notasse nelle varie pagine dei manuali di letteratura che il poeta in questione, in vita, non avesse mai provato minimamente i bisogni che accomunano noi uomini (sesso, cibo, e magari una buona dose di fancazzismo)?
Prendiamo ad esempio Giacomo Leopardi. Sommo poeta che ci viene sempre descritto come un individuo sempre chiuso nella sua biblioteca e immerso in quello studio matto e disperatissimo che gli rovinò la vita. Io me lo sono sempre immaginato così: un tipetto piccolo, magro, pallido, con la gobba, magari anche strabico, che guarda fuori dalla finestra pensando tutto il giorno alle giuste parole da usare nella poesia che sta scrivendo.
Anche voi condividete questa mia immagine, spero.
Bene, un bel giorno arrivo all’università e scopro che, per il programma dell’esame di Letteratura Italiana saranno da preparare la vita di Leopardi e le opere (oltre a tanta altra roba).
Un altro bel giorno apro il libro di testo (Gino Tellini, Leopardi, Salerno Editrice, Roma, 2001) e, dopo qualche pagina di a dir poco tedioso studio, scopro (pp. 32-33) questa piacevole lettera spedita da Leopardi al fratello Carlo mentre si trovava in quel di Roma:
«mi ristringerò solamente alle donne, e alla fortuna che voi forse credete che sia facile di far con esse nelle città grandi. V’assicuro che è propriamente tutto il contrario. Al passeggio, in Chiesa, andando per le strade, non trovate una befana che vi guardi. Io ho fatto e fo molti giri per Roma in compagnia di giovani molto belli e ben vestiti. Sono passato spesse volte, con loro, vicinissimo a donne giovani; le quali non hanno mai alzato gli occhi; e si vedeva manifestamente che ciò non era per modestia, ma per pienissima e abituale indifferenza e noncuranza: e tutte le donne che qui s’incontrano sono così. Trattando, è così difficile il fermare una donna in Roma come in Recanati, anzi molto di più, a cagione dell’eccessiva frivolezza e dissipatezza di queste bestie femminine, che oltre di ciò non ispirano un interesse al mondo, sono piene d’ipocrisia, non amano altro che il girare e divertirsi non si sa come, non la danno (credetemi) se non con quelle infinite difficoltà che si provano negli altri paesi. Il tutto si riduce alle donne pubbliche, le quali trovo ora che sono molto più circospette d’una volta, e in ogni modo sono così pericolose come sapete».
E come gli risponde il caro fratellino? Così (sempre a p. 33):
«Io non so come contraddire in dettaglio a tutti i ragionamenti che tu mi fai, ma in massa, mi pare che abbi torto, e grande. […] Sicché chi prova troppo non prova un cazzo».
A questo punto posso solo dire una cosa, possibile che queste cose si debbano scoprire solo una volta che uno arriva all’università?
Possibile che non si riesca a capire che uno studio di letteratura in cui vengono spiegate anche queste cose, non facciamo i falsi moralisti perbenisti e fanatici religiosi ripudianti il sesso (tanto trombate anche voi bene o male), forse aiuterebbe il giovane a rispecchiarsi in quello che studia o semplicemente a non illuderlo che il poeta fosse stato in vita nient’altro che un semplice uomo che imprimeva il suo io su carta?
Certo, mi rendo perfettamente conto del fatto che i programmi delle scuole superiori sono vasti e che, tranne in rarissimi casi, non vengono mai completati entro la fine dell’anno didattico, ma qui si tratta solo di cambiare un attimino il metodo d’insegnamento, inserendo quell’umanità che, in uno studio umanistico, sembra mancare (sembra un paradosso, eh?!). Non dico, però, di ridurci alla situazione cantata da Caparezza in Pimpami la Storia.
Ora potreste anche pensare che faccio tutto ‘sto casino solo perché ho scoperto che anche Leopardi aveva voglia di andare a letto con una donna. No, non fraintendetemi. Il rapporto problematico Leopardi-vagina è stato solo lo spunto iniziale, e si potrebbe tranquillamente applicare questo mio pensiero ad ogni poeta del passato o della storia più recente. Certo è che, con quello che vedono in televisione, non rischiamo di scandalizzare i nostri giovani dicendogli chiaro e tondo che Rimbaud era un omosessuale, Verlaine pure, D’Annunzio era un trombatur senza pari ecc.
E a Leopardi piaceva la topa, qui lo dico e qui lo confermo, e allora?
È un fatto così preoccupante?
Sembra proprio di sì… poveri noi.
E.