Uscite i taccuini e segnatevi questo nome: XAVIER DOLAN. E poi magari passateci sopra anche un evidenziatore. Perché? Perché questo canadese di Montreal è al suo secondo film e ha tutta l’aria di uno che nella storia del cinema c’è entrato per restare. Del resto, non sono la sola a pensarlo: i suoi film sono stati entrambi selezionati per il Festival di Cannes, il primo nel 2009 (portandosi via tutti i premi esistenti della Quinzaine des Réalisateurs) e il secondo nel 2010 (nella sezione Une Certaine Regard, ricevendo circa 8 minuti di applausi a fine proiezione). Dolan è uno che fa letteralmente tutto: scrive, dirige, produce, recita, fa il montaggio, si occupa della direzione artistica, della musica e nell’ultimo film pure dei costumi. Notevole, vero? Eh sì, soprattutto se tenete conto di un piccolo particolare: la sua età. Perché Dolan di anni ne ha 21. Ha scritto il suo primo lungometraggio che ne aveva 17. Tema? Vediamo… playstations? primi problemi con le ragazze? paura di affrontare il mondo esterno? No, non proprio. Il suo primo film, dal titolo non-ve-lo-mando-certo-a-dire: J’ai tué ma mère(Ho ucciso mia madre), è un racconto semi-autobografico del rapporto più che burrascoso tra un adolescente gay (Dolan stesso, ovviamente) e sua madre, divorziata, e single, che cerca di crescerlo. Un vero 400 Colpi in salsa québécoise, con litigate mostruose, dialoghi fiume, e la zazzera alla Morrissey di Dolan onnipresente e al limite del fastidioso. Perché, forse è inutile specificarlo, questo ragazzo o lo si ama o lo si odia, senza mezzi termini. Personalmente, io ne vado pazza, per una semplice ragione: adoro le persone che hanno il coraggio delle proprie azioni. Che ci credono così tanto, in qualcosa e nel loro talento, da essere pronti ad andare contro tutto e tutti. E Dolan è esattamente così (leggenda narra che abbia tatuato sul ginocchio destro una citazione di Cocteau: “L’oeuvre est une sueur”. L’opera è una sudata). Il ragazzo ha parecchie cose da dire e le vuole dire a tutti i costi, e pure a modo suo. E’ evidentemente di un egocentrismo pauroso, ma non lo nasconde. Ed essendo una persona intelligente, è dotato di sufficiente ironia per ammetterlo e farlo capire agli altri. Il suo secondo film, Les Amours Imaginaires, è una conferma del suo grande talento (perché un primo film lo puoi azzeccare, ma il secondo no, lo devi proprio saper fare). Francis e Marie sono due amici che, nel corso di una cena, hanno un colpo di fulmine per lo stesso ragazzo, Nicolas, un efebo dai bei boccoli d’oro (praticamente la versione bionda di Louis Garrel e, non vi dico di più, ma non faccio questo nome a caso). Da quel momento, tra loro ha inizio una lotta elegantemente senza quartiere alla conquista dell’oggetto del desiderio. Il quale, ovviamente, sembra fare di tutto per confondere le idee ai due contendenti. Si tratta, come dice esplicitamente il titolo, di un amore immaginario, di qualcosa che non esiste, di un sentimento che non c'è, di un film che si fanno nella testa Francis e Marie. E’ un tema universale, da cui nessuno - temo - si possa dire immune (per altro le scene del film sono inframmezzate da monologhi in stile documentaristico nei quali dei giovani canadesi raccontano le loro pene d’amore immaginario). Tutti ci siamo innamorati di qualcuno che nemmeno sapeva della nostra esistenza, quando avevamo 20 anni, e Dolan e la sua amica non fanno differenza. Solo che loro lo fanno con stile. Sin dalla bellissima scena iniziale, con Marie e Francis filmati di spalle davanti a un lavandino che si voltano a turno per osservare Nicolas, e continuare poi nel gioco di sguardi ed interrogazioni rigorosamente filmati in slow-motion per capire chi è interessato a chi. Meravigliosa tutta la sequenza (con Bang Bang cantata da Dalida in sottofondo) della loro preparazione per la festa di compleanno di Nicolas, dove si presentano con regali troppo belli e in abiti troppo raffinati rispetto all'occasione. Le scene di ralenti, già presenti nel primo film ma che qui letteralmente straripano, sono una delle cifre stilistiche di Dolan, il quale è stato accusato di esagerare e di copiare Wong Kar-Wai. Lui ha candidamente risposto in un'intervista: "Non è che Wong Kar-Wai ha il monopolio delle scene di ralenti, se le voglio fare anch'io ne avrò pure il diritto!" Ve l'ho detto, che questo non ha paura di niente. Del resto non ha nemmeno paura di essere crudele, di mostrare sprazzi di follia, di rabbia o disperazione e non risparmia, né a se stesso né agli altri, dei momenti imbarazzanti e squallidi.Bravissimo anche come interprete, Dolan è capace di scegliere bene i suoi attori: Monia Chokri è perfetta nella parte della legnosetta ma deliziosa Marie (e che qualcuno mi dia l'indirizzo del negozio vintage dove hanno comprato i suoi abiti perché voglio DUE DI TUTTO), mentre Niels Schneider è altrettanto perfetto nel ruolo del bello e irraggiungibile, ma soprattutto: che piacere ritrovare l'incredibile Anne Dorval, la mamma un po' ringarde che Dolan voleva ammazzare nel suo primo film, qui diventata la madre iper-moderna (forse per vendetta) di Nicolas.Che volete che vi dica? C'è qualcosa nella sfrontatezza e nella insopportabilità di Dolan che me lo rendono irresistibile. Ho visto questo film domenica sera e non c'è verso di farlo uscire dalla testa (e nel frattempo sono stata al cinema altre due volte), forse perché gli amori sono immaginari, ma il talento del regista, quello, è reale.