Il film di Tom Hooper, già autore di un’opera di successo come Il discorso del re, è la trasposizione cinematografica del musical che viene ininterrottamente rappresentato sulle scene del mondo dal 1985. Musical che è a sua volta la trasposizione teatrale del romanzo di Victor Hugo, uno dei capolavori dello scrittore. Partiamo allora dal romanzo: I Miserabili (carta o ebook), uno dei capisaldi della letteratura francese dell’’800 e non solo, ruota attorno alla vicenda di Jean Valjean.
Il suo destino s’intreccia però con quello di Fantine, una delle sue operaie, che viene licenziata – a sua insaputa – perché ha una figlia illegittima. Per poter lavorare e mantenere la figlia, Fantine l’ha dovuta affidare a due loschi individui, i Thénardier. Dopo il licenziamento la donna precipita in un abisso senza via d’uscita, lo stesso sfiorato da Jean Valjean anni prima. Ricattata dai Thénardier, per mantenere la sua Cosette, finisce col vendere prima i propri capelli, poi i denti, infine il proprio corpo. A questo punto compare la nemesi di Jean Valjean, l’ispettore Javert, che è l’incarnazione della Legge che persegue ciecamente le proprie regole, incurante delle conseguenze delle proprie azioni ed incapace di pietà: sentimento che non è incluso nel codice degli uomini, ma in quello di Dio, sì.
Nel frattempo, a causa di uno scambio di identità, un uomo viene fermato come Jean Valjean. Ecco che qualcuno potrebbe essere imprigionato al suo posto, Valjean sarebbe libero per sempre, mentre Javert dovrebbe rassegnarsi, ma Jean Valjean ormai è cambiato, c’è altro in lui oltre all’istinto di sopravvivenza: c’è senso di giustizia e di responsabilità verso coloro che dipendono da lui. Così scagiona l’uomo, rivela la sua vera identità, vende in fretta e furia la propria fabbrica e scappa per il rotto della cuffia da Javert, rifugiandosi nell’anonimato di Parigi assieme alla piccola Cosette. Fantine infatti è morta e lui ha giurato di prendersi cura della bambina, adottandola e crescendola come fosse sua, espiando così ancora una volta i suoi peccati.
Passano gli anni, ma il destino è sempre in agguato e sembra non voler dare requie a Jean Valjean: i Thénardier lo ritrovano e intendono ricattarlo, mentre Javert, che nel frattempo ha fatto carriera, non si è scordato di lui ed è deciso a riportarlo in prigione. Cosette intanto è cresciuta tanto bene da far innamorare di sé un giovane studente rivoluzionario, Marius.
È il 1831, Parigi si prepara ad insorgere e tutto sembra precipitare: le barricate e il passato di Jean Valjean si frappongono tra Marius e Cosette, così come le attenzioni della figlia dei Thénardier, Éponine, per il giovane. Ora il destino di tutti giace ancora una volta nelle mani di Jean Valjean, nella scelta che compierà tra salvare sé stesso, o salvare gli altri.
Ovviamente un genere tanto diverso come il musical richiede un intervento di semplificazione, eppure la musica e i testi di Claude-Michel Schönberg e Alain Boublil riescono miracolosamente ad evitare banalizzazioni. Nelle loro mani Les Misérables diventa un potente melodramma in cui “la forza del destino” di verdiana memoria viene smussata da quella dei sentimenti umani, creando brani universali che rendono così giustizia alla grandezza di Hugo (guarda il trailer).
Partendo da questo materiale, Hooper riesce nella difficile impresa di metterci del suo, pur facendo brillare al massimo gli illustri precedenti. Compressa in due ore e mezzo di film, la storia assume un andamento intenso a livello emotivo, visivo e musicale. Come all’opera, gli attori recitano cantando e la musica s’innalza attorno a loro creando un tessuto unico e suggestivo. La macchina da presa li incalza, senza filtri, con frequenti primi piani che rendono giustizia alle magnifiche interpretazioni dell’intero cast, a partire dall’attore australiano Hugh Jackman nei panni del protagonista e Russel Crowe in quelli di Javert, senza dimenticare una Anne Hathaway da Oscar (ha già preso un meritatissimo Golden Globe) e il bravo Eddie Redmayne.
Tra loro, solo Jackman e Redmayne hanno esperienza sui palcoscenici e Jackman, che ha da poco ricevuto un Tony Award (gli Oscar di Broadway), conduce magistralmente il film in quella che probabilmente è la sua miglior prova d’attore.
Quelle che sentiamo sono le voci degli attori che cantano sul set, in presa diretta e non doppiate in studio, come non era mai stato osato al cinema. Questo consente al regista di portare davanti agli spettatori cinematografici l’intensità e l’onestà del teatro (vedi il promo). Anche la fotografia, studiata ma mai invasiva, incornicia splendidamente gli attori in una scenografia divisa tra accuratezza storica e teatralità.
Solo nelle scene sulle barricate si avverte di più il legame con il modello teatrale, quando la macchina da presa rinuncia alle aperture grandiose per prediligere un approccio quasi claustrofobico che rende ancora più drammatica la fine già scritta dei moti del 1831.
Ma la musica e le canzoni riscattano ogni secondaria sbavatura, dipingendo un affresco coinvolgente, spettacolare e soprattutto memorabile: non è cosa da poco nel cinema “usa e getta” troppo spesso propinatoci da Hollywood.