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Les Paradis Perdus

Creato il 15 gennaio 2015 da Theobsidianmirror
Les Paradis PerdusNarra qual mai cagion gli antichi nostri / Padri, sì cari al cielo e in sì felice / Stato locati, a ribellarsi mosse / Da lui che gli creò. Mentre signori / Eran del mondo, un suo leggier divieto / Come romper fur osi? Al turpe eccesso / Chi sedusse gl’ingrati? Il Serpe reo / D’inferno fu. Mastro di frodi e punto / Da livore e vendetta egli l’antica / Nostra madre ingannò, quando l’insano / Orgoglio suo dal ciel cacciato l’ebbe / Con tutta l’oste de’ rubelli Spirti. / Su lor coll’armi loro alto a levarsi / Ambìa l’iniquo e d’agguagliarsi a Dio/  Pensò, se a Dio si fosse opposto. (John Milton, Paradise Lost, Book I, 1667)Questo è un post che ho scritto e riscritto decine di volte in questo periodo di pausa blog. Ogni volta che mi pareva finito e adeguato per la pubblicazione succedeva qualcosa che mi faceva cambiare nuovamente idea, un particolare, una sensazione, un avvenimento più o meno importante. Questo post non sarà perfetto, non può esserlo oggi e non lo sarà mai ma, se lo state leggendo, significa che in qualche modo sono riuscito a quadrare il cerchio, o perlomeno a fare in modo, con un po' di fortuna, che sia almeno vagamente simile a ciò che avevo in mente all'inizio.
La domanda che ci poniamo oggi è "ha ancora senso oggi parlare di paradiso perduto?". La domanda è intesa in senso generale; non è limitata al significato biblico o a quello dell'opera miltoniana che ho citato in apertura. La domanda è intesa nel senso più ampio del termine, partendo dalla non trascurabile questione se il paradiso, nel senso che volete dargli, esiste oppure no.
La questione nella mia testa nasce da un film visto su MUBI poco prima di Natale: Les Paradis Perdus del regista francese Hélier Cisterne. Nella tumultuosa Parigi del maggio 1968, Isabelle, una giovane studentessa liceale, nel corso di una manifestazione si ritrova coinvolta negli scontri con le forze dell'ordine. Il suo fidanzato e i suoi amici più stretti vengono arrestati mentre Isabelle, trascinata via praticamente con la forza dai propri genitori, riesce a sfuggire alle strette maglie degli uomini in uniforme antisommossa.
Per sfuggire ai disordini parigini, e per cercare di far ritrovare alla giovane figlia il senso della realtà, i due genitori trascinano Isabelle, a sua insaputa, nella loro tenuta di campagna.
Qui il padre di Isabelle si rivela essere un ricco e importante uomo d'affari parigino, la cui fabbrica, si viene a sapere, in quella stessa notte è stata occupata dai lavoratori. Subentra immediatamente la pericolosa instabilità della situazione: Isabelle, che in teoria, in quanto componente di una famiglia borghese, dovrebbe solidarizzare con le preoccupazioni del padre, ideologicamente si schiera dalla parte dei manifestanti. Un conflitto familiare, sociale, culturale e generazionale praticamente irrisolvibile. Sarà quando il padre deciderà di tornare a Parigi per cercare un dialogo con i propri lavoratori che Isabelle, nonostante tutto, deciderà di seguirlo, nascondendosi a sua insaputa nel bagagliaio dell'auto. Durante il viaggio, costretta nel suo nascondiglio, il sonno avrà presto la meglio su Isabelle: un sonno che coinciderà con la perdita del paradiso di Isabelle: al volante non sarà più la familiare figura del padre, ma quella, sorprendente e perturbante, di una donna sconosciuta.
Les Paradis Perdus
In un cortometraggio di soli trenta minuti, girato magistralmente, Hélier Cisterne riesce a mettere in evidenza dapprima i divari generazionali e sociali degli anni della contestazione, per poi gettarsi, improvvisamente e inaspettatamente, in un argomento in qualche modo rifiutato da tutti e praticamente invisibile: il transgenderismo.Davanti agli occhi di Isabelle il paradiso dell'innocenza svanisce istantaneamente. Quella che prima pareva essere la vera essenza della vita perde di significato, così come perdono di significato la famiglia e le amicizie. Vincitore nel 2008 del prestigioso premio dedicato alla memoria di Jean Vigo, destinato a quei "registi francesi che si sono distinti per la loro indipendenza di spirito e per la loro originalità di stile", Les Paradis Perdus, nella sua semplicità, solleva innumerevoli questioni.Una tra tutte quella del rito di passaggio tra la spensieratezza della gioventù e la crudeltà della vita adulta. C'è sempre stato un momento, nella vita di ciascuno di noi, in cui è avvenuto questo passaggio: a volte è coinciso con un avvenimento ben definito, oggi scolpito indelebilmente nella nostra memoria; altre volte, forse nella maggior parte dei casi, si è trattato di un passaggio graduale, lento, quasi impalpabile. In ogni caso ci siamo addormentati bambini e ci siamo risvegliati adulti, proprio come la Isabelle di Les Paradis Perdus.Ma il paradiso perduto non è solo quello della nostra infanzia. Ci sono milioni di paradisi attorno a noi che, quotidianamente, perdiamo. Ve ne siete mai accorti?
Fu Anaïs Nin che mi presentò a Conrad Moricand. Lo portò nel mio studio alla Villa Seurat un giorno d'autunno del 1936. La mia prima impressione non fu in complesso favorevole. L'uomo sembrava tetro, pedante, egocentrico, troppo sicuro di sé. Si portava appresso una sorta di alone fatalistico. Era il tardo pomeriggio, quando arrivò, e dopo aver fatto quattro chiacchiere andammo a mangiare in un piccolo ristorante della avenue d'Orléans. Da come esaminò il menu capii subito che era un tipo meticoloso. Chiacchierò senza interruzione per tutto il pasto, pur continuando a mangiare di gusto. Ma era una conversazione, la sua, di quelle che non si fanno a tavola, di quelle che rovinano la digestione.Quello che avete appena letto, lo avrete riconosciuto, è l'incipit di un altro celebre "paradiso perduto", quello che Henry Miller, di ritorno dal suo soggiorno parigino, "trovò" a Big Sur, in California. A prescindere da come lo si voglia interpretare, il paradiso perduto di Miller è anche la disillusione (semmai illusione ci fu), il disincanto (semmai incanto ci fu) del rapporto con il genere umano. Henry Miller non era certo un novellino: basta leggere i suoi romanzi anteriori per capire che razza di paraculo fosse, ma nel 1957, quando uscì "Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch", nell'universo milleriano era appena sbarcato Conrad Moricand, una specie di mago astrologo ciarlatano senza alcuna voglia di lavorare e totalmente incompatibile con la vita. Ottimisticamente e altruisticamente, Miller decide di ospitarlo a casa propria, dove Moricand confermerà di essere un totale parassita che, senza la minima sensibilità, senza nemmeno un vago senso di umanità, renderà la vita dello scrittore praticamente impossibile.
Les Paradis PerdusEccolo qui, quindi, il paradiso perduto nel paradiso perduto di Big Sur. Quante volte ci siamo sorpresi a sorprenderci negativamente del nostro prossimo? Tutto questo parlare di Parigi non può che chiamare alla nostra mente il recente attacco alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo. C'è ancora qualcuno che dovrebbe sorprendersi? Direi di no, ma è un fatto innegabile che ancora una volta ci sorprendiamo a sorprenderci. Ancora una volta la nostra fiducia nell'essere umano ci ha resi vulnerabili. Ci siamo guardati l'un l'altro con stupore quando abbiamo visto le immagini di folli individui che, senza motivo alcuno, hanno aperto il fuoco senza pietà contro dei nostri simili. Ma non è solo questo: quante volte ancora ci sorprendiamo quanto apriamo un quotidiano o ascoltiamo il telegiornale? Quanta gente alla quale avevamo dato tutta la nostra fiducia ci ha tradito? Quanta politici trafficano nell’ombra accaparrandosi soldi e potere sulla nostra pelle? Quanta gente a scuola o in ufficio tradisce ogni giorno la nostra fiducia? E cosa facciamo ogni volta che rimaniamo delusi e che ci guardiamo attorno smarriti? Perdiamo nuovamente il paradiso, quel paradiso fasullo che ci siamo costruiti attorno sulle ceneri di quello andato in frantumi magari solo poche ore prima. Il paradiso non esiste e, se mai c’è stato, è ormai inequivocabilmente perduto.

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