“La miseria inaridisce veramente la sorgente degli affetti familiari più istintivi, e ogni bambino non rappresenta altro all’interno di una famiglia che una bocca da sfamare”
Si può sentire il profumo della povertà strofinando gli occhi contro una foto? Ne dubito, si potrà piuttosto assaggiare quella malinconia e quel disagio mal celato, la fame, la speranza che secca come fiore senza acqua.
Divisa nettamente fra zona alta e zona bassa, Cagliari, la solare matrona, ha visto nascere il fenomeno dei piccioccus de crobi alla fine dell’ottocento, crescere fino agli anni trenta del novecento, morire naturalmente e senza troppo rumore durante gli anni quaranta dello stesso secolo.
Di loro resta poco, quasi nemmeno il ricordo. Piuttosto foto che trasudano la spensieratezza dell’età, sorrisi figli della gioia d’essere vivi, amicizia. Della povertà si legge ampiamente in quelle foto che documentano su uno spaccato di vita cagliaritana. Visi neri, piedi scalzi, pantaloni larghi, con quelle toppe sulle ginocchia che confessano una certa, esagerata usura.
Se la foto sbiadita non si ripone immediatamente, dimenticandola è perché i protagonisti hanno un’età che oscilla fra gli 8 e i 14 anni. E poi c’è quella cesta, grande quanto i loro proprietari, dentro la quale alcuni siedono, contro la quale altri si nascondono.
Si scopre così che quel contenitore di vimini intrecciato, sa corbula, era il letto per la notte, lo strumento di lavoro del giorno.
Il loro incarico più o meno riconosciuto socialmente era quello di facchini, di piccoli trasportatori forti tanto quanto sanno essere i morsi della fame. Orbitavano intorno al grande mercato cittadino oramai scomparso, che occupava quello spazio su cui sorge oggi la Banca d’Italia, sulla darsena in attesa dell’arrivo di navi e clienti o nei pressi della ferrovia. Trasportavano sa spesa, la spesa dei borghesi che facevano acquisti, o i bagagli dei viaggiatori per pochi soldi.
Figli di relazioni illegittime o di situazioni di estrema miseria, non scelsero come spesso si è detto, la via della strada, ma vi furono più probabilmente obbligati. E come spesso accade alla povertà si associa quasi per abitudine la criminalità, la delinquenza.
Nemmeno la loro età, la fame, l’entità dei furtarelli li giustificava davanti al potere municipale. Per la Cagliari a bene divennero presto una preoccupazione assillante.
Le descrizioni dell’epoca consentono di immaginare sciami di bambini scalzi, denutriti e mal vestiti che rubavano si, ma cose di poco conto, carbone, legna, pettini, ceste e più spesso cibo. Fra le varie idee per eliminare il problema che rappresentavano, circolò per un certo periodo la proposta di schedarli e obbligarli a portare al collo, legato con una catenella, un numero, in modo tale da poterli riconoscere. La proposta ricevette pochi plausi e ci si accontentò di vederli sparire naturalmente questi ragazzini della cesta.
Il problema doveva comunque essere sentito serio se nel 1901 all’XI Congresso Internazionale di Antropologia Criminale tenutosi ad Amsterdam, venne presentato uno studio dei Dottori Efisio Murgia e Mario Carrara con fondamentali contributi fotografici, dal titolo “Les petits criminels de Cagliari”.Dallo scritto fitto tre pagine trasuda una poca sensibilità per l’età dei protagonisti e per la miseria che li coinvolgeva: ”La criminalità infantile a Cagliari offre un vasto ed interessante campo di ricerca per illustrare la carenza pressoché assoluta di istituzioni di previdenza per l’infanzia. Esiste un solo asilo, completamente insufficiente, sia a livello locale che in rapporto ai bisogni di una città di cinquantamila anime.”
Il fenomeno ricorda molto da vicino quello descritto magistralmente molto tempo prima dal Lazarillo de Tormes (1554) in cui il protagonista, il picaro è un furfante e briccone che per sopravvivere è costretto a rubare e scendere a compromessi con la vita. Personaggio di bassa estrazione sociale, spesso orfano è abbandonato ad un mondo ostile.
Più vicini temporalmente gli esportilleros spagnoli che ugualmente trasportavano mercanzie per conto dei propri clienti e che non accennano a scomparire nei paesi dell’America latina.
Queste comunanze e sorprendenti somiglianze sottolineano tragicamente il fatto che a fare i conti con la povertà, nella società di ieri o in quella di oggi è soprattutto l’infanzia, debole, più facilmente attaccabile.
I piccioccus de crobi sono cresciuti e a Cagliari di loro non c’è più traccia. La gente avrebbe dimenticato volentieri eppure le foto hanno trattenuto aggrappato come ragnatela il ricordo che ci trascina indolentemente ad un presente che ripete il passato.
In Italia oggi un bambino su quattro vive sotto la soglia della povertà e il fenomeno conosce una maggiore concentrazione nel sud della penisola che ha dimenticato i suoi piccioccus de crobi e i suoi picari di strada. Il segreto forse sta tutto li, nel non dimenticare, perché è prerogativa del passato scordato quello di diventare presente, nel difendere ed istruire l’infanzia. Un po’ come si fece sul finire degli anni quaranta con i ragazzi della cesta, che istruiti, sicuri e con un futuro nuovo all’orizzonte finalmente crebbero.
Claudia Zedda
Fonti:
Les petits criminels de Cagliari
XI Congresso Internazionale di Antropologia Criminale, Amsterdam 1901
La città del sole, Francesco Alziator
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