Esistono band che realizzano dischi per il piacere di suonare, per divertirsi e magari andarsene in tour, il che è del tutto lecito e già di per sé positivo, eppure quando ci si imbatte in una realtà come LeTormenta ci si rende conto che esiste anche chi ha scelto di utilizzare la propria musica in modo totalmente differente. L’incontro con loro non è mai, infatti, solo una questione di note, ma si interseca e si rafforza con le parole, le immagini e l’essenza stessa dei musicisti coinvolti, così da rendere il tutto un’esperienza totalizzante e completa. Con il nuovo Vita la formazione fa un ulteriore passo in avanti e si mette in gioco senza rete, così da offrirci lo spunto per una bella chiacchierata sulla musica e sulla “vita”.
Ciao, eccoci ad un nuovo passo per LeTormenta, un gruppo atipico, a partire dal vostro modo di porvi estremamente attento alle dinamiche umane, ai rapporti personali e a concetti quali amicizia e voglia di condividere esperienze con compagni di strada e ascoltatori. Come credi siano cambiate, se lo sono, le cose all’interno e nel vostro porvi rispetto agli altri in tutti questi anni?
Enrico (chitarra/voce): Ciao Michele! Ci ritroviamo a far chiacchiere dopo tanti anni! È prima di tutto un piacere nostro! Oltretutto, ciò significa che ancora ci “siamo”! Dal mio punto di vista è cambiato tutto, tanto: rispetto a dieci anni fa il mio approccio nei confronti di tante cose si è evoluto. Alcune che prima mi stavano a cuore ora non hanno più quel valore, in compenso mi sono arricchito di nuovi punti di vista e nuove prospettive. Credo di aver ulteriormente allargato il mio spettro emozionale (anche se non ho ancora ben chiarito se questo sia un bene…) e ho scartato certi orpelli. Ho tolto maschere e ne ho messe altre. Anche tra di noi alcune cose cambiano: diventiamo grandi, aumentano le responsabilità, ci dobbiamo adattare al mondo che abbiamo intorno. Le circostanze, se vissute bene, devono evolvere e proprio in quest’ultimo periodo sono diventato un portabandiera delle evoluzioni di carattere. La staticità mi annoia.
Ezio (voce/cimbalo) Ciao Michele, grazie per la preziosa opportunità che ci dai. Personalmente sento ancora dentro un sacco di carica per conoscere e confrontarmi con gli altri. Questo si concretizza con LeTormenta ma non solo: con la distribuzione di idee antispeciste con Equal Rights Forlì, con lo Spazio Libertario “Sole e Baleno” di Cesena, con il progetto di serigrafia benefit NU.PEZ, con quello che resta del Vascello Vegano, tutte le varie assemblee antifa che si fanno sul locale… Gli anni passano e si diventa sempre più vecchi, ma questo mi piace perché mi arricchisco di esperienze. Però non vedo l’ora che mi si sbianchi un po’ la barba.
Vita appare come un progetto ambizioso, eppure basta leggere la lettera acclusa al box per ritrovare tutta la vostra modestia, oserei dire umiltà, la voglia di affrontare le situazioni in punta di piedi, quasi preoccupati di strafare o apparire pretenziosi. Da cosa nasce questo modo di porsi così atipico in un’epoca in cui vendersi nel migliore dei modi è tutto?
Enrico: Credo sia il nostro naturale approccio. Non ci forziamo in niente e tutto è così, senza quadrature. Abbiamo le radici da sempre piantate nel punk e nell’hardcore e le dinamiche che ci animano sono quelle emotive. Non dobbiamo vendere dei prodotti o massimizzare delle produzioni, vogliamo semplicemente condividere le nostre visioni e i nostri pensieri. Vita è stato un grande progetto, enorme, che ha richiesto un sacco di sforzi ed energie, e in certi momenti mi ha personalmente dato anche grande sconforto: pensa a che fatica è stata fare quel disco, creato nei ritagli di tempo di un gruppo (di amici) che suona per passione, disumano. Ed infatti, resta e resterà un qualcosa di unico, sia per LeTormenta, sia per me!
Ezio: Diciamo cose semplici perché siamo persone semplici.
Nonostante la cura con cui avete affrontato ogni aspetto di Vita e la ricchezza delle trame musicali, la sensazione finale è quella di una netta prevalenza della voglia di comunicare e di condividere emozioni con il fruitore finale. Vi è mai capitato di dovervi fermare quando componete un brano per non perdere di immediatezza? Come capite quale è il giusto dosaggio tra i vari elementi?
Enrico: La metodologia di Vita è stata quella di non avere metodo e non avere riferimenti, infatti, più che in passato, spazia tra cose totalmente differenti tra loro. Quando abbiamo composto i brani dell’album abbiamo provato a far combinare cose diversissime, cercando equilibri tra parti molto furiose e altre molto dolci. Sintomatico di questo approccio è “La Mia Piccola Speranza”, a mio avviso la canzone più eclettica che abbiamo ma composto! La nascita di queste canzoni è avvenuta nel corso di tanti anni e l’intero disco è stato composto in fila, nel senso che l’ordine delle canzoni è anche l’ordine di nascita, dalla più vecchia alla più giovane. Capire il giusto dosaggio, non saprei proprio, quando sentiamo che ciò che vogliamo raccontare si sposa con la musica creata, ecco raggiunto l’equilibrio di quel pezzo. Come dicevo prima, è sempre tutto senza forzature. Sicuramente in futuro proveremo altre strade, credo che con questo album abbiamo davvero raggiunto il traguardo nel non avere un’unica direzione!
Ezio: Con Vita non ci si è di certo “fermati”, componendo pezzi lunghissimi che alla fine ci hanno fatto optare per mandar in stampa un cd, visto che tutto non stava in un vinile solo. Ma questo è quello che volevamo e così riascoltarmi Vita ora, sdraiato sul divano, mi fa stare bene!
I temi trattati sono tutt’altro che semplici o di facile trattazione, si parla di amore, natura, confronto tra uomo e tecnologia, morte, separazione, il tutto all’interno di un racconto (favola) che unisce testi dei brani, musica e libro, per una volta realmente connessi e necessari gli uni agli altri. Cosa è nato prima e come vi siete mossi per assemblare e far interagire le varie parti?
Enrico: Ricordo bene una delle prime volte in cui abbiamo parlato tutti insieme del progetto di creare un disco legato ad una favola: eravamo a suonare in Sicilia e in quel momento stavamo facendo una passeggiata sull’Etna. Prima di tutto è nata l’idea di voler raccontare una storia, dentro essa volevamo trattare vari temi. La musica è venuta dopo, come sempre. In ultimo è arrivato il progetto grafico, che abbiamo affidato ad un’amica le cui opere si sposavano bene con le nostre idee. Una volta avute nelle mani quasi tutte le cose, abbiamo creato le due edizioni: una in scatola, l’altra dentro una busta. Tutto assemblato a mano e serigrafato da noi!
Ezio: I vari temi trattati in ogni capitolo sono frutto di chiacchiere fatte assieme, già tanti anni fa con Paolo e Steno, davanti a un drink, in macchina nei piccoli tour, discussioni fatte assieme e che avevano un filo conduttore che Vita ha saputo ben unire e dare forma.
Anche la musica segue l’umore delle parole, puntualizza e accenta lo svolgersi del racconto, dimostrando un approccio aperto e senza paletti, eppure il tutto suona organico e riconducibile al vostro nome. Possiamo dire che LeTormenta hanno costruito disco dopo disco una propria cifra stilistica e una propria personalità svincolata da riferimenti più o meno immediati? Se vi guardate indietro quali credete siano stati i momenti e gli incontri più significativi per crescere come gruppo (musicale e di amici)?
Enrico: Per quel che mi riguarda, durante tutta la prima era de LeTormenta, quella del pre-Vita per intenderci, il fatto di suonare con Paolo è stato uno stimolo notevole a cercare nuove direzioni: bassisti come lui non ne esistono nella scena hc, tecnicamente fuori misura, ha dato tanto e tutt’ora la sua eredità è un’impronta del gruppo. In secondo, l’entrata di Davide ha aumentato le possibilità a livello chitarristico, ed infatti le canzoni nuove sono molto più articolate a livello di riff. In ultimo, Matteo ha portato una vena melodica a livello vocale di cui ora non si può più fare a meno. Oltre a tutte le nostre personali influenze, incameriamo sempre nuove sfumature, non ci piace la staticità. Semplicemente il vivere è un’influenza più che significativa per LeTormenta!
Ezio: Sicuramente il poter parlare, condividere, confrontarsi con chi ha ascoltato, letto quello che volevano dire LeTormenta, dopo un concerto, con una lettera, durante un’intervista. Il fermarsi e riflettere su quello che si fa, penso sia molto importante e che possa far crescere, almeno, a me serve. Di conseguenza ogni volta che si va in studio di registrazione e ci si ferma per fissare il tutto (musicalmente parlando) è un altro momento significativo di crescita.
Ritenete abbia ancora un senso parlare di una scena diy in Italia oggi? Cosa rappresentano i concetti di diy e di hardcore nel 2015 e che differenza notate rispetto a quando avete iniziato a muovere i primi passi?
Enrico: Vita è stato concepito, autoprodotto, realizzato e assemblato da noi stessi, e dagli amici che ci hanno voluto dare una mano. Ha ancora senso parlare di “fa da te” in questi tempi, anche perché diversamente non si sarebbe potuto realizzare un progetto del genere. Anzi, la tendenza generale, anche a livello se vogliamo “mainstream”, è quella di tornare a una dimensione più umana nella realizzazione delle cose. Parlandosi chiaramente, la favola del contratto con la grossa etichetta discografica è appunto una favola, e ormai le etichette che sorreggono totalmente i gruppi non esistono più. Esistono però tutta una serie di questioni indipendenti molto più interessanti e umanamente alla portata di molte più persone. Rispetto a quando abbiamo iniziato a suonare, o rispetto a quando mi sono avvicinato io al mondo punk/hc, le cose sono nettamente cambiate. Non vi è paragone. Forse ero semplicemente io ad essere molto più affascinato e molto più soggetto a essere stupito dalle cose che succedevano. Nemmeno condanno il cambiamento, anzi, preferisco sia così. Ogni cosa è subordinata al suo contesto temporale, sociale e culturale. Ci affascina la vecchia scuola punk anni ’80 italiana? Bene, essa finì nel ’89. poi ci furono i ’90, altrettanto belli per chi li ha vissuti (come me). Poi i post 2000, e via discorrendo.
Ezio: Parlare di “Fa Da Te” ha un gran senso per me e penso non si perderà mai la “potenza politica” che questo gesto possiede. Non delegare ad altri. Che scritta così può sembrare solo uno slogan, ma che dietro nasconde un mondo totalmente rivoluzionario. Per quanto posso cerco di organizzare eventi in questo modo (non solo concerti, ma anche cene, serate informative, cineforum,…), in luoghi dove in maniera orizzontale ci si organizza e devo dire che rimango sempre molto sorpreso ed eccitato di quello che ne nasce. Rispetto a quando abbiamo iniziato a suonare, noto che i giovani e meno giovani punk-hc’s si muovono meno e le varie serate sono meno partecipate d’un tempo. Negli ultimi anni però vedo che serate e concerti stanno aumentando qua e là, e questo fa prender bene.
Restando in argomento, vi va di raccontarci come avete scelto chi coinvolgere nel progetto e quali label vi hanno sostenuto? Quali sono i gruppi con cui vi sentite oggi affini e le realtà con cui provate piacere a condividere il palco?
Enrico: È stato tutto come sempre, semplicemente chiedendo a realtà e amici a noi affini. C’è chi ha detto che non sarebbe riuscito, c’è chi ci ha sostenuto come al solito. Sempre tutto gestito in maniera orizzontale e senza ovviamente vincoli di sorta. Negli ultimi anni ci siamo trovati in situazioni diverse dal nostro solito contesto, e devo dire che ci siamo sempre trovati bene, perché i rapporti erano sempre in un ambito umano e di libero scambio di idee e opinioni. Non ho problemi ad esporre ciò che sono e a suonare in contesti diversi da quelli in cui abitualmente ci muoviamo, ovviamente non voglio sentirmi a disagio e non voglio dover fronteggiare ambienti con idee politiche opposte alle mie. Al di là di queste particolari circostanze, in Italia abbiamo amici e gruppi fraterni praticamente ovunque, difficile nominarne qualcuno, rischierei di omettere troppe realtà per noi fondamentali!
Ezio: Per quanto riguarda la coproduzione di Vita, abbiamo pubblicizzato ovunque che cercavamo amici/coproduttori per realizzare quest’importante progetto. Internamente avevamo idee differenti sul mettere un “tetto minimo di partecipazione”, alla fine si è deciso di lasciare la coproduzione aperta e senza limiti per non discriminare nessuno nel voler esserci e così ci si è scambiati un sacco di mail per raccontarsi, aggiornarsi, visto che tutta la registrazione e realizzazione di Vita è durata quasi un anno (un vero parto!). Di gruppi ed amici, come dice Enrico, ce ne sono tanti, fortunatamente, certamente quelli con cui abbiamo splittato in un progetto, o splitteremo in futuro, sono senza dubbio i più importanti a livello umano. Suonare e partecipare ad iniziative in spazi occupati e autogestiti mi fanno sentire dentro quella strana sensazione di “magico e utopico”, di un mondo altro che prende forma.
Le grafiche giocano una parte importante per aggiungere valore e significato a Vita, come sono nate e chi se n’è occupato? Come vi siete mossi per dare una dimensione visuale alla vostra musica e alle vostre parole?
Enrico: La parte grafica di Vita è stata la questione che più ci ha dato pensieri! Il tutto è stato affidato a una nostra amica (Veronica) che si è trovata, nel momento della stesura dei disegni, con alcuni problemi da risolvere e che ci ha fatto ritardare di qualche mese la chiusura delle grafiche. Poi per fortuna siamo riusciti a ritrovare la quadratura e abbiamo ultimato il tutto. Lo stile di Veronica si presta perfettamente al taglio fiabesco del racconto, infatti mentre realizzava le tavole e via via ce le mostrava, eravamo tutti estremamente contenti del suo operato.
Ezio: Avevamo diverse idee, una di questa era quella di affidare un capitolo ad ogni amici che sapeva disegnare e vedere che cosa veniva fuori. Poi però, dopo aver visto alcuni lavori di Veronica, gli abbiamo proposto ed affidato il tutto. Veronica ha fatto di alcune tavole delle xilografie. l’idea iniziale era quella di inserire in ogni cofanetto tre xilografie, ma poi ci siamo confrontati con la realtà e abbiamo dovuto ripiegare su ciò che sappiamo fare meglio noi e abbiamo scelto la serigrafia.
Pur senza avere mai abbandonato un rapporto diretto con il processo di creazione e con lo stesso assemblaggio del tutto, è innegabile che anche la tecnologia moderna sia entrata in gioco nella realizzazione di Vita, quale credete sia il giusto punto di equilibrio per impedire che la stessa omologhi e prenda il sopravvento sul fattore umano?
Enrico: Sulla questione della tecnologia potremmo discutere per ore e non venirne a capo. Anche all’interno del gruppo abbiamo idee diverse a riguardo, ed è giusto che ognuno mantenga la propria opinione. Io non ho nulla contro la tecnologia, è un fattore che ha sempre fatto parte dell’uomo fin da quando ha iniziato a sviluppare quel particolare processo mentale chiamato intelligenza. Esistono tecnologie buone e tecnologie cattive, ed esistono usi giusti, sbagliati o impropri di qualsiasi tecnologia. Quella dell’energia nucleare è una tecnologia a mio avviso sbagliata, qualsiasi uso se ne faccia. Portando un altro esempio, i trattori a cingoli hanno facilitato a molti contadini il lavoro in particolari condizioni di avversità, ma è la stessa tecnologia che fa muovere certi carri armati. Con una sega puoi tagliare i rami secchi di un albero, ma puoi anche tagliare l’albero stesso. La tecnologia è un coadiuvante per gli intenti, sono quindi essi a dover essere analizzati, specificatamente.
Ezio: “Il giusto punto d’equilibrio”. Se devo essere sincero con me stesso e leggermi dentro (e già questo richiede un bel lavoro) e dare una risposta a questa domanda, dovrei dire che il punk hc non dovrebbe esistere così come lo si conosce ora. La musica acustica e non registrata potrebbe essere un buon inizio. Dietro la “tecnologia elettrica” c’è una marea di sofferenza perpetrata alla natura, agli animali e agli uomini/donne. Nel produrre ogni più piccolo elemento che assemblato da macchine produce quel suono distorto che tanto ci piace. Noi occidentali siamo privilegiati. Prendere atto di questo ed essere pronti al cambiamento mi fa stare in equilibrio.
Quali aspetti della società odierna vi danno più fastidio e contro cosa dirigete la vostra rabbia? Che prospettive credete ci siano per chi ancora si ostina a non accettare lo stato delle cose? Ha ancora senso usare l’arte (in qualsiasi forma) per dare voce al dissenso?
Enrico: Ultimamente sto mal digerendo la non libertà in seno al denaro. Il fatto che comunque si è sempre costretti a dover lavorare, a dover avere il proprio tempo impegnato per un qualcosa che non si farebbe per un periodo così prolungato (e fortuna se ciò che fai ti piace). Oltretutto questo tempo impegnato è pure burocratizzato a livelli assurdi, ma questi sono discorsi un po’ utopici, si dovrebbero disintegrare, distruggere e ricostruire delle condizioni e dei rapporti sociali che al momento sono troppo consolidati nella mentalità comune. Continuo dunque a giocare di fantasia. Chi si ostina a pensare e a voler fare diversamente ha davanti a sé molte strade, tutte però contrassegnate dalla sofferenza, che si riversa sulla persona stessa o sulle persone care, in forme più o meno gravi. Non se ne scampa, è una società ad unica via. Continuo però ad alleviare i malesseri frequentando luoghi a me cari e persone che amo.
Ezio: L’avanzamento impetuoso e spaventoso che la tecnologia sta avendo, entrando sempre più nei nostri corpi, nelle nostre menti plasmando il nostro quotidiano, i nostri rapporti e il nostro fare. Mi trovo spesso a parlare con giovani ragazzi che non hanno mai vissuto senza internet, senza cellulare, che non hanno quasi mai scritto lettere. Negli ultimi anni tutto sta cambiano (in male) troppo in fretta, l’essere umano spesso cede alle comodità tecnologiche senza riflettere su ciò che ci sta dietro, sul come e chi l’ha fatto, sul come noi privilegiati possiamo avere/usare questo piuttosto che quel apparecchio. L’arte è senz’altro una grande mezzo che possiamo usare per ribaltare le cose.
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