La soluzione del governo di “larghe intese” da parte di Enrico Letta è stato detto che trova una sorta di precedente nell’esperienza dei governi dell’ “emergenza”, nati il 29 luglio del 1976 con l’esecutivo presieduto da Giulio Andreotti, sulla base della “non sfiducia" del Partito comunista.
In realtà, a quel tempo, l’incontro tra la Democrazia Cristiana ed il Pci, sotto gli auspici del leader repubblicano Ugo La Malfa, rappresentante dell’industria e della finanza laica degli Agnelli e dei Cuccia interessate ad un “Patto sociale” con i sindacati per ridurre la conflittualità, avveniva sull’onda della crisi economica provocata dallo shock petrolifero, che aveva generato l’accoppiata stagnazione/inflazione mettendo in crisi le tradizionali politiche keynesiane; ma l’incontro tra cattolici e comunisti era indotta anche dall’esigenza di fronteggiare la drammatica ondata del terrorismo rosso e degli attentati neofascisti. Il leader della Dc Aldo Moro, poi rapito e ucciso dalle Brigate Rosse in una vicenda mai chiarita integralmente, declinò quel tentativo come necessario per inaugurare la “terza fase” della politica italiana, fondata sull’alternanza al governo tra coalizioni politiche di opposta tendenza secondo lo schema delle democrazie occidentali, mentre il segretario del Pci Enrico Berlinguer giustificava il “compromesso storico” tra democristiani e comunisti, come funzionale ad impedire i pericoli golpisti, sul modello di quello che nel 1973 portò in Cile il generale Pinochet al potere, abbattendo il governo democraticamente eletto dal popolo guidato dal socialista Salvator Allende, insiti in una maggioranza di “alternativa di sinistra” del 51%, sostenuta in quegli anni dai socialisti del “nuovo corso” di Bettino Craxi.
Oggi, in verità, l’alleanza tra forze politiche alternative, in particolare Pd e Pdl, è indotta da motivazioni differenti. Esse risiedono nella crisi della democrazia a livello globale e delle sue declinazioni nazionali, che ha alla base la progressiva perdita di sovranità, la “privatizzazione della politica” provocata dalla subalternità dei partiti al capitalismo finanziario, da una concentrazione di ricchezza in poche mani come mai era avvenuto nella storia dell’umanità, dalla crisi del Welfare State con l’esplosione di una gravissima “questione sociale”, segnata dalla diffusione di povertà e disoccupazione. In Italia tutti questi fattori sono aggravati dall’incapacità di fronteggiare i problemi creati dalla crisi finanziaria globale e dallo stolido rigorismo monetarista dell’Europa germanocentrica, assieme all’esplosione di una crisi fiscale paragonabile a quella che provocò la Rivoluzione americana del 1775/1783, esplosa al grido No taxation without representation: nessuna tassazione senza rappresentanza.
Insomma, è in corso in Occidente un’ “emergenza democratica e sociale”, acutamente analizzata dal politologo della Princeton University Jan-Werner Müller nel libro intitolato “L’Enigma Democrazia”. Siamo in presenza di una mobilitazione dal basso che reclama nuove forme e strumenti di democrazia diretta: il successo elettorale grillino nel nostro Paese ma anche altri movimenti anti-sistema come quelli degli Indignados o di Occupy sul versante che per convenzione possiamo definire di sinistra radicale o, all’opposto, della destra neofascista come Alba dorata in Grecia, con la crisi di rappresentanza dei sindacati come soggetti collettivi.
Il tempo per affrontarla è davvero breve.
On. Maurizio Ballistreri © Pubblicato su Avanti