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Lettera a un figlio qualunque

Creato il 21 marzo 2012 da Marcar

Caro figliolo,

Non sarà colpa mia, non sarà certamente mia la responsabilità di quel che ti aspetta, ma devo necessariamente chiederti scusa per non aver saputo oppormi a tanto sfacelo. Parlo di quel che un tempo si chiamava Stato Sociale e oggi si nomina Welfare, in un'altra lingua, dunque; probabilmente per non farti più capire di cosa si parla. Intendo dire che il mondo che ti aspetta, già oggi lo vedi com'è e puoi immaginare come sarà: le ingiustizie e le disuguaglianze non sono diminuite certo, negli ultimi vent'anni, che, del resto, non ci hanno neanche risparmiato guerre sanguinose ed inutili, come ogni guerra.

Ora, però, si cerca di limitare i danni: i padroni dell'economia pensano che si possano regolare le questioni internazionali tramite la Finanza. Se vogliono mettere in ginocchio uno Stato, qualunque Stato, utilizzano le agenzie di rating, facendo implodere il suo debito. E guarda che ogni stato moderno ha un grande debito pubblico che finanzia indebitandosi all'infinito tramite l'emissione di obbligazioni. Queste obbligazioni sono comprate più che altro dalle banche. Dunque, l'equazione è semplice: più uno stato si indebita, più le banche guadagnano. Il debito di tutti produce il guadagno di pochi. E se uno Stato è fortemente indebitato, è ostaggio di chi quel debito lo detiene. In questo modo, per esempio, le banche hanno messo in ginocchio la Grecia. Ed è per gli stessi meccanismi economico-finanziari, che in ogni paese della Terra, pochi detengono la stragrande maggioranza della ricchezza interna, a scapito di grande masse di poveri, disoccupati, pensionati, e persino salariati.

Guarda cosa accade da noi: negli ultimi quindici anni, il potere d'acquisto delle retribuzioni ha perso il 39% del suo valore. Vuol dire che quel che compri oggi, inflazione a parte, costa almeno il 39% in più di quindici anni or sono. Mettici gli aumenti continui di tasse, accise, imposte varie e capisci come mai mentre io ho potuto allevare una famiglia di due figli, con moglie a carico, per vent'anni con un solo stipendio di un milione e duecentomila lire, oggi, con 600 euro, una famiglia di quattro persone fa la fame. Ma la vita non è uguale per tutti: anche da noi, il dieci per cento delle famiglie, possiede il sessanta per cento della ricchezza. Capisci bene che mentre noi facciamo i salti mortali per farti studiare e tu li farai per trovare un lavoro, comprarti un buco dove vivere e magari sposarti; altri, allegramente, ingrassano alla faccia tua e di quanti, come te, oggi hanno più o meno diciotto anni.

Certo, tra 4-5 anni, avendone sessanta oggi, forse potrò andare in pensione e darti una mano. Peccato che già ora, senza lavoro, sono costretto a fare debiti, in quanto dovrò pur campare in attesa che il governo delle banche italiano mi permetta di vedere una pensioncina di almeno mille euro. Nel frattempo, qui il lavoro si fa sempre più raro: le imprese chiudono per riaprire altrove: Serbia, Croazia, Albania, Romania, Russia, Cina, India. Si porta il lavoro dove il lavoro costa meno, dove i diritti non esistono e dove un lavoratore somiglia ad uno schiavo. 

Come e dove lavorerai tu? Non so dirtelo e questo mi cruccia. Vengo da anni dove la fatica quotidiana era alleviata da una legge che si chiamava Statuto dei Lavoratori. Hanno cominciato a demolirla, in parti uguali, governi di centro-sinistra e centro-destra. Poi è arrivato il governo delle banche, e dove aveva fallito persino l'uomo più ricco e potente d'Italia, sta riuscendo il duo Monti-Fornero.

Il fulcro di quella legge, l'articolo 18, sta per essere cancellato, in nome della maggior flessibilità. Certo, in un'epoca dove il lavoro scarseggia, le aziende emigrano, i soldi si investono nei traffici e non nel lavoro stesso, cosa si fa? Si permette una maggior flessibilità in uscita. Ovvero: ti buttano fuori come e quando vogliono. Perché? A cosa serve? Ma a farti capire a quale modello di vita dovrai ispirarti e forse dove ti converrà andare se vorrai partire.

Qui da noi, la legge non è uguale per tutti, comandano i più forti, i ricchi sono gli unici a poter vivere decentemente. Forse esiste un posto migliore, forse esiste gente migliore.

Io e quelli del mio tempo, abbiamo fallito. Mio nonno ha lottato duramente contro la dittatura e in guerra per darmi diritti e doveri, che io ho saputo solo perdere, a scapito tuo.

L'onestà, la legge, i miei diritti politici non sono serviti a nulla. Quando comandano le banche, quando governano i ricchi, è la fine di ogni diritto e di ogni possibilità per quelli come noi.

La Gerontocrazia capitalista italiana pretende la tua schiavitù a vita. Io, tuo padre, ti dico: lotta se puoi, parti e vai lontano se non puoi lottare. L'Italia non è un paese per giovani.

Perdonami, figliolo, se non ti seguirò. Merito di restare a guardare lo sfacelo che si mangia questo povero Paese perché non ho saputo difenderlo.  Io, tuo padre, merito tutto questo. Tu, figliolo, impara la lezione e ricorda: non arretrare mai di un passo oltre la soglia della tua dignità personale di uomo, di lavoratore, un giorno, di padre. Dovunque andrai, crea una società giusta, andando verso l'unica utopia ancora possibile. E soprattutto non credere mai a chi ti parla da un altare o da un balcone. Credi alla ragione e al tuo senso di giustizia, in rapporto a quelli come te. Il bene comune contro l'interesse di uno: sia questa la tua religione, la tua politica, la tua legge.


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