Prendo una pausa di riflessione. Vi lascio in compagnia del signor Pierluigi Vuillermin che mi ha inviato una lunga e interessante lettera che pubblicherò a puntate. Voi, cari amici e nemici, continuate a seguire il blog, commentate, scrivete lettere e inviatemi fotografie. Collaborate attivamente, affinché questo spazio diventi sempre più vostro.
La mia Valle è la mia chiesa e io vivo qui. Così termina l’ultima fatica canora di Mogol, il recente e nuovo inno autonomistico, si fa per dire, che egli ha dedicato alla Valle d’Aosta, in segno di affetto e riconoscenza. Il testo della canzone è decisamente patetico e ridicolo. Un po’ di languido romanticismo alla Rousseau e in salsa rossonera, per non deludere i generosi finanziatori. Tanto per cambiare, lo stereotipo è sempre lo stesso: aria pulita, maestose vette, boschi ameni, animali al pascolo, favolosi castelli, popolazione laboriosa, canti di gioia, pace e serenità per tutti. Insomma il cronotipo dell’idillio folcloristico. D’altronde, nell’immaginario pubblicitario degli italiani, la Vallée è conosciuta come l’isola felice. In effetti i bravi valligiani non possono lamentarsi. Secondo le diverse statistiche economiche e le numerose inchieste del Sole 24 ore, la loro regione è tra le più ricche d’Europa. I numeri parlano chiaro. Lassù tra i monti la qualità della vita è eccellente. Ma talvolta i risparmi non bastano, quando la volontà di vivere viene meno. (fine prima parte)