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Letteratura di migrazione. Al contrario

Creato il 03 agosto 2011 da Frailibri

Emilia Zazza – Si sta facendo notte
Italic *Pequod* (2011), 143 pagine, 14 euro

Letteratura di migrazione. Al contrario
Un quartiere di Roma ancora “vecchio stile”: ci si conosce tutti, si cresce insieme, si crea una piccola comunità  che è come una famiglia allargata. Un quartiere in cui le famiglie “straniere” sono poche e ben radicate e dove un ragazzo nato in Italia da una di queste famiglie, pur se italiano con un nome italiano, viene chiamato Mustafà. Appellativo che gli viene dato con affetto, non con disprezzo. Non ancora.

Cosa succede quando l’equilibrio per un motivo che nessuno, nemmeno durante le assemblee di quartiere, si rompe, si spezza, e per qualcuno lo straniero rappresenta la minaccia, il fastidio, l’invasore?
 Una narrazione corrucciata, che utilizza al meglio del potenziale espressivo il romano (non romanaccio) delle periferie, con tutte le inflessioni e i colori che danno ancora più carattere e significato alle frasi, ai dialoghi, ai pensieri.
Scelta stilistica che poggia su un personaggio che conferisce anch’esso carattere e personalità alla narrazione – pur non essendone voce narrante: Pino, figlio diciottenne di famiglia borghese, che si erge su tutti come un obelisco al centro del quartiere.
Insieme a lui, protagonisti della vicenda sono i suoi amici di sempre, il Moretto, ragazzo riccio e scuro di capelli, che ricorda Ninetto Davoli (non a caso uno dei fulcri e simboli del quartiere è il “bar di Pasolini”) e Mustafà-Pietro, figlio di egiziani ben integrati nel quartiere. Accanto a loro, macchine che muovono la scena, altri personaggi ben delineati, ognuno con una funzione “equilibratrice”.

Un racconto di un legame profondo con le origini, con il territorio, da difendere e accompagnare nel cambiamento (anche l’istituzione di un’isola pedonale, se non affrontata nella giusta maniera e tutti di comune pensiero, potrebbe essere destabilizzante). Racconto però anche di una deriva, una perdita di valori, di significati.

Il quartiere diventa simbolo di un ecosistema, dove le varie personalità convivono e cooperano, si aiutano e si supportano; nel momento in cui però qualcosa entra in gioco e destabilizza anche un solo elemento di quell’ecosistema, allora parte una reazione a catena che porta a conseguenze imprevedibili e inaspettate.
Le voci pacate delle piazze, che parlano di cotte, tradimenti, bravate da ragazzi, le chiacchiere consumate davanti al negozio di alimentari egiziano, l’attività incessante dell’officina del sor Gino – figura tratta direttamente dal passato, uomo che prende sotto la sua ala protettiva le persone in difficoltà – dove lavora per un periodo il Moretto – di colpo si bloccano, diventano cupe, preoccupate per qualcosa che cova sotto le luci del quartiere e che esploderà in un epilogo concitato e amaro, legato magistralmente dall’autrice a un ottimo incipit, per chiudere il cerchio, per segnare un’epoca di questo quartiere mai nominato (identificabile con il Pigneto, che Emilia conosce – e racconta – alla perfezione, ma anche con qualunque quartiere in fieri di qualunque città).

Un consiglio: per non intaccare il gusto del finale, non leggete la bandella della copertina, quella con la trama…



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