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Lettere al serial killer: transitando nel meretricio

Creato il 19 maggio 2013 da Paolo Franchini

Egregio Greg da postribolo,

il punto di partenza del mio studio sono le ragioni psicologiche che vietano di pronunciare una certa parola. Devo confessarti di detestare l’interdizione verbale e di odiare le circonlocuzioni descrittive.

Ti considero uno dei massimi esperti nel campo della prostituzione. E mi è piaciuta una tua considerazione, in una bella intervista rilasciata a una bella giornalista, in cui definivi il termine prostituzione troppo dotto, quasi evasivo e gravato da una sfumatura eufemistica.

E non ti fermavi lì, transitando nel meretricio, sempre percepito come parola erudita. Sono totalmente con te : molto meglio usare ‘fare la vita’,'battere il marciapiede’ e simili. La tua scorribanda nelle praterie delle donne di strada,delle donne perdute,delle signore di malaffare,delle baldracche da soffitta e via dicendo,si è però tramutata in una inaspettata zuccherosa esternazione.

“Il vezzeggiativo più bello, nella mia carriera di serial killer, era cocotte. Bello da morire, da farle morire”.

Conoscendoti come un cocciuto bastardo autarchico, perché sei sconfinato in un prestito straniero? Non vorrei che il francese si propagasse come la sifilide. E a differenza del francese, la sifilide è curabile.

Resterei in attesa di una tua corte risposta,

Professor Geordie Powa Rodriguez

Attento Prof,

una buona parte della mia esistenza ( che non mi spiacerebbe considerare inesistenza, una volta davanti al boia) è stata pesantemente condizionata dalla lucciole, paria dell’amore. Ho consumato miglia di cose sconce e di perversioni particolari, ma mai mi sono abbandonato al vizio intimo e solitario. Uno sport da babbei. Sono stato, modestamente, un inarrivabile frequentatore di termini latini , di origine ecclesiastica, si dice, nella tradizione orgiastica. ‘Coitus a tergo’, ‘Coitus ante portam’, ‘Coitus oralis’. Qualche ‘Coitus interruptus’, quando mi scappava di ammazzarle prima del tempo.

Ma il vero piacere si modellava, gonfiandosi come un ippopotamo che sbadiglia, quando la mia voce se ne usciva, trasognata, chiamandole ‘Cocotte’.

Magia di un termine, elegante e distinto, un po’ onomatopeico. Mi ha sempre ricordato un uovo strapazzato, ancora caldo di gallina.

E’ vero, caro Professor Geordie Powa Rodriguez: io sono un fottutissimo sostenitore dell’autarchia più selvaggia. Ma capita di incontrare parole, in una vita, che ti prendono e ti fanno sbandare dentro un magico singhiozzo abnorme. Cocotte: il primo, il secondo e il terzo sesso, una qual certa vaghezza lesbica e saffica, la magia degli ammazzamenti a raffica.

Greg

 

Questa rubrica è ideata e curata da Carlo Cavalli. Nel caso, prendetevela con lui.

 


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