di Gianni Vitale
Lettera spedita da Marina di Leuca, il 3 novembre 1945, da un ospite del campo H.Q. IT 35 ed indirizzata negli Stati Uniti d’America dove arrivò il 2 dicembre. Utilizzo di etichetta per Raccomandata di Mesagne, cancellata a lapis, per mancanza in loco di analoghi modelli. Annullo e striscia di censura; timbri d’arrivo U.S.A. (Foto Archivio Priv. G. Vitale)
La fine del secondo conflitto mondiale non rappresentò la conclusione del dramma degli ebrei. In mezzo alle rovine della guerra, attorno agli ex campi di concentramento del Terzo Reich, nella Germania meridionale ed in Austria (Bergen Belsen-Mathausen), vagavano decine di migliaia di sopravvissuti allo sterminio nazista. Per affrontare tale emergenza umanitaria furono istituiti diversi campi profughi, sotto la sigla di «Displaced persons», da parte dell’U.N.R.R.A.
La United Nations Relief and Rehabilitation Administration fu costituita a Washington (U.S.A.) il 9 novembre 1943. Si trattava di un’organizzazione umanitaria internazionale, fondata con l’accordo di quarantaquattro paesi, allo scopo di fornire aiuto e assistenza immediata ai paesi più colpiti dalla guerra. L’UNRRA cominciò a operare in Europa nel 1944 e si trovò impegnata in un’immensa e complessa opera di soccorso non appena le forze alleate iniziarono la liberazione dei paesi mediterranei e balcanici,. L’azione dell’UNRRA si concentrò soprattutto nei Paesi europei (Polonia, Grecia, Albania, Italia) e in Cina. Nel periodo più denso della sua attività l’UNRRA impiegò venticinquemila persone; dal 1944 al 1946 vennero spesi quattro miliardi e mezzo di dollari in aiuti, forniti per lo più dagli Stati Uniti d’America. I programmi dell’UNRRA comprendevano soprattutto l’invio di generi di prima necessità: viveri, medicinali, vaccini e forniture mediche, la distribuzione di vestiario e l’assegnazione di sementi, concimi e macchinari per permettere la ripresa della produzione agricola, nonché di materie prime e beni strumentali per aiutare le industrie locali a riorganizzare la loro attività. Lo sforzo profuso dall’UNRRA fu comunque orientato, in generale, verso le fasce di cittadini più indigenti e verso i bambini. In sede locale furono costituiti comitati comunali per la gestione e per la distribuzione degli aiuti. L’UNRRA cessò di esistere nel 1947; i progetti rimasti in sospeso vennero ereditati dall’Organizzazione internazionale per i rifugiati, dall’Organizzazione mondiale per la sanità e dal Fondo internazionale d’emergenza delle Nazioni Unite per l’infanzia (che diventerà in seguito il Fondo delle Nazioni unite per l’Infanzia – UNICEF).
La Puglia fu tra i primi territori italiani ad essere liberata dall’occupazione nazista, venne utilizzata dagli alleati, all’indomani dell’armistizio firmato dal capo del governo Badoglio, l’8 settembre del 1943, come punto strategico per tutte le operazioni connesse con i due fronti militari posti rispettivamente sull’Adriatico e sui Balcani. Da questa fatidica data e ben oltre l’inizio dell’anno 1947, la nostra regione divenne dimora protetta e dunque facile meta di profughi che giunsero dai campi di concentramento sparsi tra le regioni della Basilicata, Campania, Abruzzo, Molise e Lazio. Durante i primi tre anni di ostilità, tra il 1940 e il 1943, nelle regioni del Mezzogiorno, furono confinati migliaia di jugoslavi dai territori annessi e trasformati nelle nuove province italiane di Lubiana, Spalato e Cattaro o provenienti altresì dalle due vecchie province di frontiera Fiume e Gorizia, ritenuti “individui pericolosi per le contingenze belliche”. Furono sistemati assieme ad avversari politici, antifascisti, ebrei, zingari, testimoni di Geova e pentecostali ma, ben presto, i primi luoghi allestiti per questa “momentanea” accoglienza, si rivelarono logisticamente insufficienti a dare ospitalità a questo fiume di persone, pertanto in molte località pugliesi vennero presi in consegna, dalle autorità militari alleate, luoghi o edifici adibiti a “campi profughi”. A Manfredonia, ad esempio, l’ex mattatoio comunale divenne un campo d’accoglienza, così come accadde anche per l’ex colonia penale per gli antifascisti ed ex campo di concentramento, sin dalla guerra di Libia, delle Isole Tremiti; ad Alberobello venne requisita la masseria Gigante, a Pisticci e a Ferramonti Tarsia si scelsero colonie confinarie costruite dalla ditta Parrini e, nel nostro Salento, vennero preferite alcune tra le più incantevoli località delle costa, come Santa Maria al Bagno, Santa Cesarea Terme, Tricase e Santa Maria di Leuca. Il flusso di fuggitivi stranieri soprattutto di origine ebraica, tra cui notevoli gruppi di scampati ai massacri perpetrati dai nazisti nei “campi della morte”, si fece più intenso tra il 1946 ed il 1947 e, sempre nel nostro territorio, per la loro accoglienza furono predisposti altri campi gestiti prima dall’UNRRA e poi dall’IRO, entrambe organizzazioni che provvedevano all’accoglienza e alla sistemazione di questi rifugiati. Proprio in quel periodo, tra il 1943 ed il 1947, tantissimi profughi di nazionalità ebraica ma non solo, fecero il loro arrivo in condizioni misere e deplorevoli, occupando le bellissime case di villeggiatura che erano state “temporaneamente” sequestrate. Non si conosce il numero esatto dei profughi che calpestarono il suolo salentino ma si sa che furono migliaia, che hanno sempre considerato questa nostra terra, ricca e benevola e loro porto per la ritrovata libertà. A riguardo, sono molteplici le commoventi testimonianze di sopravvissuti che sono ritornati in questi luoghi cari a ricordare le loro angosciose esperienze. Non bisogna, difatti, scordare l’impegno che profusero le nostre genti, anch’esse fiaccate dalla fame e dalla povertà che dilagava in quegli anni del dopoguerra, affinché questi poveri derelitti ricominciassero a condurre una vita normale e sicura. A Lecce una direzione, locata nel palazzo del Banco di Roma, gestiva i campi di: Bagni (Santa Maria al Bagno), Santa Maria di Leuca, Santa Cesarea e Tricase, un magazzino a Maglie e un ospedale a Leuca.
Santa Maria di Leuca – CAMP 35
L’unico accampamento (ebreo e non-Ebreo) misto di DP in Italia fu localizzato nell’area del porto dedita ai lavori della pesca e nella stazione turistica di Santa Maria di Leuca, nelle campagne di Arnesano. Anche se la capacità dell’accampamento poteva contare un massimo di circa 1.800 persone, la popolazione superò naturalmente quel limite. Nell’accampamento vi risiedevano circa 400 persone non ebree, mentre i rifugiati ebrei erano divisi per una metà in DP non affiliati e per l’altra metà in membri del “camp’ kibbutzim”, principale comunità separata dei “kibbutz Aviv”. La popolazione DPS viveva in ville requisite che erano normalmente le abitazioni residenziali estive dei salentini benestanti. Come l’accampamento di Santa Maria al Bagno anche quello di Leuca si è vantato di eccezionali troupe di teatro ed una scuola per bambini. Benchè la formazione professionale fosse criticata frequentemente per il ritardo rispetto agli altri accampamenti italiani di DP, la squadra di calcio del suddetto campo raggiunse una reputazione notevole e si poté fregiare del titolo di squadra più riuscita negli accampamenti italiani del sud.
Tricase – CAMP 39
Un accampamento di taglia media di DP, alla punta del sud dell’Italia, fu fondato nel 1944 dalla Commissione alleata e divenne troppo grande rapidamente tanto da costringere le autorità militari al sequestro di un numero sempre maggiore di ville, originariamente atte alle vacanze estive dei salentini. Nel gennaio 1946 l’UNRRA, che prese in carico l’amministrazione dell’accampamento verso la fine del 1945, stabilì definitivamente che Tricase non poteva accogliere più di 800 persone anche perché le ville inutilizzate vennero considerate inabitabili nel periodo invernale. Tricase alloggiò molti membri del kibbutz di Betar e del campo d’orientamento sionistico. Furono organizzate molte conferenze ed attività dagli inviati israeliani. Come altri centri del sud di DP italiani, Tricase inoltre servì da organizzazione clandestina per l’illegale immigrazione in Palestina. Due kibbutzim comprarono delle radio che permettevano le comunicazioni sia con la Palestina che con le navi per l’invio di corrispondenza e profughi non dichiarati. La vita culturale nei kibbutz permetteva la pratica di alcuni sport, compreso tornei di ping-pong e di boxe, di scacchi nell’estate del 1946.
Lettera spedita da Tricase Porto, il 3 ottobre 1946, da rifugiato nel campo 39 con destinazione New York. Il mittente, vivente ed attualmente residente in Canada, mi ha raccontato le vicissitudini del periodo avendo soggiornato a circa 2 chilometri da Tricase Porto, in una villetta signorile. (Foto Archivio Priv. G. Vitale)
Santa Maria al Bagno – CAMP 34
Santa Maria al Bagno, il più grande accampamento di DP in Italia del sud, alloggiava 2.300 rifugiati ebrei. Dal marzo 1945 al gennaio 1946 da 771 si passò a 2.277 profughi. Il campo, a volte ricordato anche con la denominazione “Croce”, si estendeva su un vasto territorio del comune di Nardò, a forma di pentagono irregolare, i cui confini possono delinearsi in riferimento alle principali strade del territorio: lungomare delle marine della località di Santa Caterina e di Santa Maria al Bagno fino alla Torre del Fiume (nota come Torre delle Quattro Colonne), Portoselvaggio, la vecchia Via Sallentina, strada Posto di Blocco-Pagani, strada Santa Maria al Bagno-Galatone. L’accampamento servì da centro amministrativo per l’espletamento delle pratiche di immigrazione verso la Palestina. L’11 aprile 1946, il comitato dell’accampamento organizzò uno sciopero della fame, coinvolgendo nella protesta oltre 2.000 persone, contro le limitazioni che le autorità britanniche applicavano alle procedure d’espatrio. Così scrisse il comitato di Bagni alle autorità britanniche: ” È nei principi e diritti morali degli uomini la possibilità per ognuno di ritornare nella propria terra d’origine”. Il comitato dell’accampamento diffuse, col Bollettino Settimanale, le notizie degli avvenimenti in essere nel suddetto campo. Nel marzo 1946, Santa Maria al Bagno ospitava 258 bambini e questo richiese l’istituzione di ben due scuole nell’accampamento. Un ha-noar kefar semi-independent (villaggio della gioventù) ospitò gli appartenenti a diverse categorie di lavoro e sportive. Si organizzarono numerose conferenze in specie per i giovani, colmando così la mancanza di rifornimenti culturali provenienti dalla terra d’origine. Inoltre circa 20 allievi furono iscritti nelle scuole italiane limitrofe. I corsi per adulti a Santa Maria comprendevano stage per il lavoro in ebraico ed in inglese, l’addestramento alla vita quotidiana del campo, corsi di sartoria e di scienza elettrica. Il gruppo del teatro dell’accampamento ebbe degli ottimi risultati. La squadra di calcio “Macabi” tenne numerosi tornei anche con altre compagini dei paesi vicini. La cucina kasher, con tipiche regole alimentari ebraiche, assecondò i gusti degli ebrei ortodossi dell’accampamento, mentre con prodotti locali si cercava di completare le razioni fornite dall’UNRRA e dall’IRO in modo da rendere le diete dei rifugiati più equilibrate.
Lettera Raccomandata spedita da Nardò, l’11 gennaio 1946, diretta a Portici da rifugiato nel campo U.N.R.R.A. IT 34 H.Q. A.C. C.M.F.. Annullo Ambulante 55 tratta Lecce-Bari. (Foto Archivio Priv. G. Vitale)
Santa Cesarea – CAMP 36
Del campo DP di Santa Cesarea si conosce molto poco e rare sono le notizie reperibili in letteratura. Ecco un’interpellanza all’Assemblea Costituente del 16 giugno 1947 relativa agli stablimenti termali.
DE MARIA, CODACCI PISANELLI, GABRIELI. – Al Ministro dell’interno e dell’Alto Commissario per l’igiene e la sanità pubblica. – «Per sapere se non ritengano opportuno dare disposizioni, perché per la prossima stagione sia sgombrata dai profughi stranieri, attualmente residenti, la spiaggia di Santa Cesarea in provincia di Lecce, stazione termale di primaria importanza. Ciò è indispensabile nell’interesse dei numerosi pazienti che dalle Puglie e da varie altre parti d’Italia lì affluiscono per necessità sanitarie. Per i profughi si potrebbero eventualmente requisire altre spiagge che non adempiono finalità di pubblico interesse»
RISPOSTA. – «Questo Alto Commissariato conferma che il Compendio demaniale di Santa Cesarea è classificato tra gli stabilimenti talassoterapici. Allo scopo di evitare ulteriori danneggiamenti dei fabbricati e di promuovere un assetto turistico e talassoterapico dal quale possa trarne vantaggio, dal punto di vista igienico, la collettività, furono da tempo mosse premure ai componenti Uffici affinché detta stazione fosse al più presto restituita alle sue finalità originarie, premure che hanno finalmente avuto esito favorevole. L’Ufficio di Bari con l’U.N.R.R.A., infatti, ha recentemente informato che gli stabilimenti in parola sono stati tutti derequisiti e riconsegnati ai rispettivi gestori». F.to: l’Alto Commissariato Aggiunto per l’’igiene e la sanità pubblica, D’AMICO.
RISPOSTA. – «Il campo profughi stranieri di Santa Cesarea, in provincia di Lecce, amministrato dall’U.N.R.R.A., ha cessato di funzionare il 3 marzo scorso [n.d.t. 1947]. Secondo quanto ha riferito il prefetto, l’attuale assetto della zona consente la ripresa parziale del funzionamento degli stabilimenti talassoterapici, sino a raggiungere il 50 per cento dei posti ante-guerra». F.to: il Ministro dell’interno, SCELBA.
Lettera per l’Argentina inoltrata da Lecce Stazione, il 3 luglio 1946, da ospite del campo IT 36 di “Santa Cesaria Terme”. Annullo d’arrivo a destino. (Foto Archivio Priv. G. Vitale)
Conclusioni
Questa breve trattazione vuole essere semplicemente una testimonianza del vissuto nel periodo post bellico nel Salento, terra ricca di accoglienza ed ospitalità. L’aver potuto ascoltare quanto trascorso nella nostra terra, da un testimone ancora vivente, in un italiano scarno ma efficace, ricco di inflessioni e cadenze del nostro dialetto, mi hanno spinto a ricercare gli avvenimenti di quegli anni, sia nella letteratura cartacea che in rete. Tutto ciò, unito alla mia passione per la storia postale del periodo, mi ha permesso di chiudere il cerchio.
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Riferimenti bibliografici e fonti consultate:
Assemblea Costituente: allegato della seduta del 16 giungo 1947.
Bollettino Salesiano, A. LXX n. 11 – 1 luglio 1943: visibile at http://www.sdb.org/bs/1946/194611.htm
Dizionario di Storia, “UNRRA” visibile at http://www.pbmstoria.it/dizionari/storia_mod/u/u017.htm
Ebraismo pugliese ed interculturalità: accessibile at http://www.profughiebreinpuglia.it/storiografia.asp
G. FERRARI, La Convenzione sullo status dei rifugiati. Aspetti storici, Relazione tenuta all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, il 16 gennaio 2004, nell’ambito del XII° Corso Multidisciplinare Universitario “Asilo: dalla
Convenzione di Ginevra alla Costituzione Europea” (12 dicembre 2003 – 14 maggio 2004).
C. HEIN, Rifugiati in Italia / Legislazione,regolamenti e strumenti internazionali”, Roma, gennaio 1989.
AA.VV., Informazioni bibliografiche sulla storia contemporanea italiana fondate da Jens Petersen: Roma, 1938.
Shoah Le testimonianze in Puglia, sta in «Mediterraneo News », febbraio 2008
M. MENNONNA, Ebrei a Nardò, Galatina 2008
P. POZZI – G. LOCATELLI, United Nations Relief and Rehabilitation Administration – UNRRA: visibile at http://www.lombardiabeniculturali.it/archivi/profili-istituzionali/MIDL000233/
G. FERRARI, Rifugiati in Italia. Excursus storico-statistico dal 1945 al 1995:visibile at http://www.unhcr.it/cms/attach/editor/PDF/escursus.pdf
Storia dell’accoglienza salentina tra il 1943 e il 1947: visibile at http://www.liceovanini.org/confini.pdf