Il Nam Ou a Muang Ngoi Neua (foto Procchio).
Bufali.
La giornata si presenta come una di quelle memorabili nel corso di un viaggio. Sette ore di risalita del Nam Ou penetrando l'estrema provincia a nord del Laos, incastonata tra Cina e Vietnam, uno dei paesaggi più emozionanti ed allo stesso tempo oleografici di questa parte di mondo. La lancia è stretta e piccolissima ed i sette passeggeri cercano astutamente di accaparrarsi i posti più comodi. Scendiamo la lunga scalinata che conduce all'imbarcadero trascinando i bagagli pesanti. Tong, come al solito si assicura che tutto sia a posto, preoccupato che non siamo sufficientemente comodi, poi se ne torna a Nong Kiaw dove aveva lasciato il van. Ci raggiungerà a Muang Khua dove il Nam Ou si unisce al Nam Phak. Una giornata che si preannuncia serena e riposante, da spendere nella tranquilla ammirazione dello scenario magnifico che ti sfila davanti mentre si risale la corrente. Ancora rive scoscese che portano a piccoli spazi piani dove verdeggiano le risaie o gli orti provvisori, alberi da frutta inframmezzati a quelli della foresta, capanne isolate, bufali immersi nel fiume che ti guardano passare con l'occhio umido, sbuffando sotto il pelo dell'acqua. Pare non possa esserci nulla di più piacevole e tranquillo che godere della bellezza del paesaggio, di riempirsi gli occhi di immagini indimenticabili. Invece, un diavoletto maligno è sempre in agguato, aspettando che ti rilassi completamente, lasciandoti andare troppo all'andamento lento e scevro di intoppi.
Montagne carsiche sul Nam Ou.
Certo devi metterci del tuo, di quella disattenzione goffa e un po' ridicola che ti porti dietro assieme al boccettino dell'Amuchina e ai cerotti per le bolle nei piedi. In ogni viaggio noterete che da qualche parte ci sarà sempre un turista grasso e fantozziano che combina qualche scemenza. La cosa fa sghignazzare tutti e sarà parte dei fatterelli divertenti sulla goffaggine umana da portarsi a casa e raccontare agli amici. Fatto sta che più o meno a metà percorso, un po' per scaricare una donnina che era arrivata al suo villaggio con la sua cesta di galline, un po' per dare modo alle stanche vesciche degli anziani di liberare dell' affanno dell'impellenza le ore rimanenti, la barca si avvicina alla riva, dove una lingua di sabbia permette un approdo precario. Ci sono altre piccole barche a riva, per cui sarà necessario, per prendere terra, saltare di barca in barca. Così mentre i più atletici tra i giovani passeggeri volteggiano come libellule leggere con i piedi nudi nella fanghiglia sabbiosa, il tricheco più pesante e impacciato, tenta di passare sul traballante guscio di bambù con acrobazie ed evoluzioni strane che lo portano dapprima a scavalcare la bordata con una gamba, poi a rimanere in bilico con un piede di qua e l'altro ancora di là, tentando di decidere da quale parte stare come un tronista della De Filippi tra due corteggiatrici.
Il paesaggio fluviale.
Di certo una di quelle scenette così ridicole da sembrare finte quando vengono proposte nei filmati di Paperissima, con il ciccione in mega pantaloncino corto ascellare, ciabatte in una mano, zainetto nell'altra, preziosa reflex al collo, in bilico, mentre le due barchette lentamente, ma irrimediabilmente si allontanano tra di loro. Un dondolio ansimante, un pencolamento per recuperare un equilibrio ormai perduto, un ultimo disperato tentativo di riprendere stabilità, mentre le gambe si aprono a compasso, infine un annaspare inutile delle braccia e poi l'atteso, inevitabile, ridicolo tonfo nelle bigie acque del fiume, che prima apparivano così azzurre, ora soltanto marroni e fangose. Chi sulla riva rimane a sghignazzare, facendosi beffe del malcapitato, chi corre al salvamento, non facile data la stazza del naufrago, chi si agita per tentare di recuperare la barca sciolta nella corrente. Emerso come Dio vuole dalle acque il pulcino anzi il tacchino fradicio, ecco palesarsi il disastro in tutta la sua estensione. La macchina fotografica irrimediabilmente bagnata e in agonia, il telefonino giustamente affogato e morto per sempre, i sacchettini saggiamente impermeabili con denaro, passaporto e altro, improvvidamente bucati e subito inzuppati di acqua fangosa, gli occhiali da vista, per la prima volta dopo 20 giorni, tirati fuori dallo zaino, irrimediabilmente caduti nel brago. Subito viene organizzata dai barcaioli locali accorsi, una brigata di una decina di bambini, che nudi, si gettano nel fiume nella ricerca disperata, speranzosi in una buona mancia, ma indarno, che la corrente e i gorghi del maligno Acheronte già hanno compiuto la loro opera di perdizione.
Bambini sul fiume.
Che'ffigura di m... Seduto sulla ripa a stendere maglietta e zaino, a spacchettare la mazzetta dei dollari fradici, a smazzare le pagine del passaporto con i bolli rossi e blu che cominciano a stemperare languidamente i loro colori nelle pagine vicine. Unadebacle per il fisico ed il morale di rara efficacia. Vuoi fare il grande viaggiatore che se la ride degli impediti che faticano a ritrovarsi nelle difficoltà dell'itinerario, guardi con compatimento giovani stanchi ancor prima di partire, ti gonfi come un pavone perché nonostante gli anni, godi ad affrontare spostamenti impegnativi, camminate faticose e trasporti locali zaino in spalla e poi mi caschi dentro il fiume come un salmone in fregola. Stanco, depresso, acciaccato e deriso, ho trascorso il resto della giornata a meditare sulla mia goffaggine, tentando di far asciugare al meglio le mie povere cose all'aria che, beffarda, mi scompigliava i capelli bagnati, mentre la barca risaliva il fiume. A lato i magnifici paesaggi si chinavano grigi al passaggio, anch'essi intristiti dalla durezza del mondo. Serata cupa nella guest house, con Tong che non voleva credere che, lasciato un attimo solo, avessi fatto la frittata, occhiali perduti, telefono andato, macchina che trasuda umidità con l'obiettivo ricoperto di goccioline ed il display irrimediabilmente nero e muto, con il phon in mano ad asciugare banconote e pagine del passaporto che si accartocciano un poco, come la tua sicumera irrimediabilmente ferita. Ed è andata già bene che, a parte l'imponente danno economico, non esiste traccia fotocinematografica per cui potrò sempre negare o minimizzare. Tomorrow is an another day.
Il Nam Ou.