Lettere dalla Kampuchea 10: Flussi e riflussi.
Da Enricobo2
Il sole sorge presto anche a Battam- bang. Mentre il mio amico penserà a Phnom Penh alle cose che deve fare, un po' più importanti delle mie, la mia strada mi porta ancora verso Siem Reap, per una totale immersione nella ricchezza dei templi e della storia antica, la perla autentica, l'attrazione fatale che porta il turismo in Cambogia. Questa volta saggiamente, il pulmann sarà il mio Garuda, per la barca ho già dato. Eccomi quindi di primo mattino, già stanco, ad aspettare il mezzo che deve passare dalla stazione di servizio vicina al mio albergo. Mescolato ai clienti in attesa come me, sorveglio il mio valigione; si portano sempre troppe cose inutili con sé, direbbe Diogene e anche il monaco che sarà mio vicino, detentore solo della sua bisaccia. Quando parte l'autobus, mi accoccolo tranquillo, cercando di godermi la vita che fluisce intorno, la fiumana di motorini e i trasporti che tanto affascinano noi occidentali. Chissà che anche lo zio di mio papà che faceva il cavallante a Valle San Bartolomeo facesse, con il suo biroccio, trasporti così pittoreschi come quelli che si vedono dal finestrino. Basta scostare la tendina colorata e vedi attraverso una finestra del tempo, cose che a te oggi fanno sorridere, ma forse uguali a quelle che vivevano i tuoi padri. Così la strada corre veloce, l'aria condizionata è sopportabile, quando inattesa, subdola e feroce, carognescamente cattiva, arriva lei. Quasi non te ne accorgi o quantomeno il sintomo è così mascherato da fartelo trascurare completamente, come cosa di nessuna importanza. Comincia con un lieve movimento, un quasi inavvertibile borborigmo tale da farti pensare di essere stato troppo tempo in una posizione contorta. Ti muovi appena e invece no, la leggera fittarella che si sposta lentamente verso il lato sinistro, prende corpo, manifesta a poco a poco la sua presenza inquietante e ammonitrice. Ulteriori movimenti e gorgoglìi a livello gastroenterico, chiariscono che il problema esiste e che non si trattava di falsi allarmi. E' chiaramente in arrivo la maledizione di Montezuma o come altrimenti viene chiamata nei vari paesi del mondo, ma che sempre alla stessa cosa prelude. Momenti di sofferenza inaudita. Ormai hai capito. Si tratta solo di organizzare una linea di resistenza. Calcoli mentalmente le ore che ti separano dall'arrivo. Sempre troppe. Assumi una posizione il più possibile comoda e rilassata compatibilmente con la situazione e cominci operazioni di concentrazione mentale che i lunghi anni dedicati allo studio delle arti e delle tecniche del corpo orientali, ti hanno insegnato. Accidenti questo è il momento che servano a qualcosa. Inutilmente pensi a dove hai sbagliato. A quale è stato il momento in cui ti sei lasciato andare trascurando le precauzioni che ti eri promesso di rispettare con precisione. Forse ieri in quel mercato quando non hai potuto rifiutare l'assaggio di quel frutto delizioso che la donnina ha sbucciato con le sue manine, ben lavate. coltello incluso un quell'orcio pieno di liquido marrone, o sarà stato il ghiaccio di quella deliziosa spremuta di mango, ieri sera, così godibile sulla balconata del Geko Cafè, mentre ti godevi il traffico animato del centro. Ma tutto questo ormai non conta più, anzi è troppo tardi lanciare maledizioni, cosa poi decisamente in contrasto con la ricerca del non pensiero che si sta cercando di raggiungere. Astrarsi dal proprio corpo e dalle proprie basse pulsioni, questo è il segreto, del Tao, dello Zen, degli insegnamenti del Buddha. Ma un conto è dirlo, la realtà invece non bada a queste cose. Gli impulsi arrivano sempre più impetuosi e violenti ad ondate regolari, che cerchi di vincere con un rallentamento della respirazione, poi la frequenza aumenta e la necessità diventa via via più ravvicinata, il controllo più difficile e faticoso. Sudi freddo e a nulla vale concentrarsi ad osservare il motorini che frecciano attorno, cercando di calcolare quanti maiali stiano nella sporta o quante oche siano attaccate alla stanga posteriore, la situazione peggiora continuamente. Qualche pausa in cui ti illudi che tutto possa posticiparsi risolvendo la situazione per il meglio, oppure convincendoti di avere avuto ragione sugli impulsi incontrollabili del tuo corpaccio avido di sensazioni terrene, invece no, ecco che il tutto si ripresenta e con maggior vigore, più forza, più implacabile determinazione. Allora ti assale lo conforto, al diavolo la forza della mente, cominci a capire che forsa non ce la farai, che le forze della natura avranno un definitivo ed ineludibile sopravvento sulla tua volontà, che si sta inevitabilmente per raggiungere l'acme, il climax finale inevitabile, in un big bang primordiale che potrebbe dare vita ad una nuova era, un Kali Yuga oscuro e senza speranze. Poi d'improvviso, inopinatamente il pulmann rallenta, sterza lentamente e imbocca uno sterrato laterale alla strada che conduce a delle baracche malandate circondate da una piccola folla. Non credi ai tuoi occhi, è l'isola per il naufrago ormai disperato di sopravvivere ai flutti di un oceano nemico, è il desiato traguardo raggiunto quando ormai sembrava superato il punto di non ritorno, il paradiso promesso e sognato, è il succedaneo dell'Autogrill. Appena si spalanca la porta, sei già in piedi, sgomitando sgarbatamente per scendere tra i primi, affrettandoti per risalire la fila dei monaci silenziosi, ma che si avviano infidi nella tua stessa direzione, una costruzione bassa con una paio di porticine sconnesse sul retro, da cui emergono liquami ed emanano odori che sono promessa e garanzia di essere nel giusto. Spalanchi con foga la porta ed a fatica ti introduci in una dimensione pensata per le taglie cambogiane, ti liberi come puoi degli inutili orpelli di cui la nostra civiltà ti costringe a bardarti e poi, dopo un tempo che ti era apparso infinito, finalmente ti lasci andare. Finalmente la pace. Sul tuo corpo costretto e sfatto dalla tensione, si distende un rilassamento totale, un momento di oblio e di serenità con cui poche cose hanno confronto. Poi a poco a poco la mente riprende il controllo della situazione, risolve i problemi materiali, con quello che trova a disposizione, valuta il grande orcio pieno d'acqua, il pentolino di plastica che vi galleggia, calcola, stima le possibilità, opera scelte, risolve per il meglio. Quando rivedi il sole, tutto ti appare sotto una luce diversa, più serena, oggettivamente più bella. Risali tranquillo, dando strada alle donnine e alle loro ceste, sorridendo ai monaci dai visi compunti e riprendi la tua posizione. Quando Siem Reap appare all'orizzonte, non sei più governato dalla necessità, ma prendi la tua valigia, calmo e tratti col tuk tuk il prezzo della corsa che ti porta alla tua nuova casa.
Comunicazione di servizio: Poiché, date le circostanze, non ho potuto dedicarmi come in altri frangenti a cogliere immagini interessanti, utilizzo per questo post una serie di belle foto dei trasporti descritti, che l'amico P. ha raccolto nei suoi tanti soggiorni sul posto.
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