Lettere dalla Kampuchea 13: Non si vive di sola cultura.

Da Enricobo2
Quando mi risollevo dal torpore , è fatica lasciare l'amaca e questo luogo di pace. Il pomeriggio è veramente afoso e la fatica è appena lenita dall'aria calda che ti carezza mentre stai abbandonato sul sedile del tuk tuk che scivola lentro tra un tempio e l'altro. Anche qui non capisci bene se è il clima che ti ottunde i sensi o la sazietà di bellezza che ti impedisce di provare le stesse potenti sensazioni o lo stordimento estatico che hai provato di fronte alle prime immagini. Certo bisognerebbe resettare tutto, ricominciare psicologicamente dall'inizio, come se fosse il primo tempio che vedi, la prima scultura. E' un po' come quando sei alle ultime sale degli Uffizi, come puoi stupirti ancora dopo Botticelli e Raffaello, eppure se avessi fatto il percorso inverso, come saresti rimasto attonito fin dai primi quadri. Niente da fare è il senso di assuefazione e di sazietà dell'uomo, che siano odori, che siano cibi o femmine, dopo un po' la mente si abitua al bello e vorrebbe qualcosa di più alto, di più sublime. Così passano, ingiustamente poco apprezzati, il Benteay Kdei dalle guglie complicate e barocche e il Prasat Kravan, perfetta ed immensa costruzione in mattoni aranciati fino al gran finale dell'Angkor Wat il tempio colossale e perfetto, come se non avesse mai cessato la sua funzione, con i suoi 800 metri di bassorilievi, forse il punto più alto della scultura Khmer, con le sue alte guglie dalle ricercate geometrie tra cui perdersi mentre il sole scende, mentre le ombre si allungano, mentre il rosa arancio colora la pietra corrosa fino al limite del viola prima di lasciare spazio alla tenue oscurità che ti farà tornare pensoso verso la doccia salvifica. La serata è piacevole con le sue temperature più umane e ti lascia scoprire la cittadina ormai preda del turismo di massa con tutti i suoi pregi e svantaggi. La strada più affollata (Pub street, un nome, un programma) è fitta di ristoranti e locali pronti all'happy hour, in questa stagione di morta, pieni di saccopelisti e di routard di lungo corso in cerca di un boccale di birra a buon mercato. Ma questo è il momento, se le vostre viscere hanno ormai trovato la pace che il luogo suggerisce, di provare a raccontare un po' della cucina locale, che non è assolutamente priva di interesse, anzi (vero Acquaviva?). Spostandosi intorno al centro ci sono un sacco di locali, dove provare e sperimentare i gusti e i sapori non troppo violenti e accattivanti della cucina cambogiana. Attenzione ad insegne tipo "Khmer food - home cooking" dove mi sono stati offerti Khmer Vegetarian Canelloni, Khmer lasagnas, Tiramisù and our fantastic pizzas with wood fire. Vi parlerò invece dei piatti più tipici di questa cucina, meno speziata delle altre indocinesi che la circondano, trascurando le curiosità che fanno troppo turista in cerca di esotico come i ragni di Skun o i grilli glassati. Intanto vi insegno un'altra parola in cambogiano da imparare con facilità, che fa simpatia e vi sarà utile quando siete alla ricerca di un luogo dove calmare i morsi della fame. Mangiare infatti si dice Gnam Gnam e ho detto tutto. Vi ho già parlato altrove dei lasciti della Francia con baguette, omelette e le carni tenere di manzo, onnipresenti che risolvono qualunque situazione, ma una cosa da provare è l'Amoc, un particolare sistema di cottura del pesce, ma anche di diverse altre carni con latte di cocco, citronella e peperoncino dolce, al vapore o al forno in una foglia di banano. Questi aromi poco aggressivi danno al piatto un gusto armonico e delicato che invita alla seconda porzione. Un' altra specialità da testare riguarda il sistema di cottura detto Lok Lak anch'esso valido per diversi tipi di carne dal pesce al maiale, ma usato soprattutto per il manzo. Si tratta di ridurre la carne in piccoli pezzi da marinare a lungo in salsa di soya, salsa prahoc, olio, sale, zucchero, pepe nero, aceto e altri sapori locali a piacere; il tutto viene passato con fecola di mais e poi nel wok rovente alla cinese, versando a poco a poco la salsa della marinata fino a consumarla tutta e servito su riso pilaf. Anche questo è un piatto molto gradevole che vi risolverà molte situazioni di dubbio. Un ultima parola prima di andare a dormire sulla salsa prahoc. Si tratta di una macerazione con successiva fermetazione del pesce che rilascia un sugo che ritengo abbia molto in comune con il garum dei nostri padri latini e che ad onta dell' idea, non è poi così sgradevole. Il pastone che rimane dopo l'estrazione della broda, viene anche detto pesce formaggio grazie al suo aroma ed usato in altri piatti, di cui non vi dirò il nome locale per malizia. Sappiate comunque che una coppia che ha dovuto per necessità, usufruire di un trasporto su un carro che aveva appena scaricato diversi barili di questo prodotto, si è ovviamente assuefatta dopo una decina di minuti, ma ha poi avuto seri problemi in albergo, nonostante il servizio lavanderia fosse intervenuto più volte sui loro vestiti. E con questo direi che ci meritiamo il sonno del giusto perchè domani ci aspetta il Grand Circuit e altre maraviglie.
Se ti è piaciuto questo post, ti potrebbero anche interessare:
Non si vive di sola cultura.
Il mistero delle pietre nere.
Flussi e riflussi.

Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :