Lettura in forma di lettera
Carissima,
ho letto da cima a fondo il tuo Capomundi e così la tua lingua pacata, liquida e come ritornante per ondate successive mi ha accompagnato fino a questo capo sporto sul mare dove davvero sembra che il mondo finisca (o inizi), dove la gente (e potremmo essere noi stessi o avremmo potuto essere noi stessi) arriva colma di disperata speranza.
La poesia non si sottrae al dovere di dire l’emigrazione e la sofferenza e, in questo caso, dice in modo non sentimentalistico né retorico, ma, nella chiarezza di un linguaggio saldo e pacato, fa affacciare sull’abisso del dolore, della paura, dell’offesa, perché il mare vicino e attorno a Capo Mundi è abisso naturale (a quanti metri giace il fondale, premuto sotto la massa enorme incalcolabile dell’acqua?) ed abisso dei sentimenti: c’è la nostra indifferenza (abissale, appunto) e c’è l’aspettativa di chi galleggia su quei gusci fatiscenti e pericolosi, c’è l’abissale fame di profitto degli scafisti e di chi sta dietro di loro e c’è l’abisso di un futuro indecifrabile.
Hai detto l’attesa, questo mi ha colpito in particolare, che nel molto, ricco tuo dire tu abbia detto l’attesa di chi varca il mare, la sospensione di vite che attendono di varcare prima il deserto (hai notato come affiori alle labbra il medesimo verbo? deserto e mare accomunati nella loro vastità, nella loro perigliosità, nel loro profilarsi, comunque, come speranza), poi attendono in un porto, poi attendono (angosciatissime) nei barconi, poi attendono l’approdo, l’accoglienza, comunque la savezza, la fine del grande, periglioso balzo.
E tutte le nostre vite si congegnano come un’attesa infinita e come un continuo dover varcare, a ben pensarci.
E ancora: in questi giorni così tristi per l’Oriente e per l’Occidente il tuo libro viene a saldare i destini degli esseri umani tra di loro, ne ricorda la comune debolezza e la comune straordinarietà. Si accendano i verbi allora, dici con ispirata pregnanza, da persona che crede nella scrittura pensi alla parola che dica ed accompagni l’andare di tutti, di “noi” e di “loro” e proprio in questa separazione e contrapposizione dei pronomi tu decidi di parlare come se fossi una “di loro”, con uno sforzo di carattere etico ed intellettuale pensi con i loro sentimenti e senti con i loro pensieri: che io sia ancorata, scrivi.
Hai composto così un cantico ed una riflessione in versi, un poema del mare e un documento dei sentimenti di chi viene strappato alle sue radici e scagliato in un altrove ignoto e spesso freddo, ostile. Ti sei allontanata da te stessa e, presa la penna tra le dita, hai voluto dire di destini altri che, però, sono anche i nostri, comuni, come già notato, quindi a te stessa ti sei riavvicinata, ma non per ripiegarti nel solipsismo di tanta poesia chiusa in se stessa: per ritrovare te dentro gli altri.
Antonio Devicienti
a piè di pagina
Questo scritto di Antonio l’ho riservato come regalo di compleanno, e quindi oggi è la data giusta per pubblicarlo.
Vi lascio i riferimenti in rete di Antonio Devicienti, il cui blog è un cammino critico personalissimo e importante.
https://vialepsius.wordpress.com/
Vi lascio anche i riferimenti del mio Capo Mundi, così da continuare a ringraziare l’editore che ha creduto in questo progetto.
http://www.oniricaedizioni.it/booksheet.aspx?id=69
Grazie a tutti. Simonetta S.