Il blogger in sonno ma mai dormiente, Biz, si aggrega alla catena dai commenti al post sottostante consigliando un paio di libri di Mario Tobino, “Il clandestino” e “Bandiera nera”. Non posso che sottoscrivere. La cultura letteraria italiana, solidamente basata sull’asse Pasolini-Calvino ha spazzato via troppo facilmente la memoria di numerosi outsider e Tobino, scrittore sensibile e pioniere dell’antipsichiatria è sicuramente uno di questi
“Il clandestino”, premio Strega 1962, parla di lotta partigiana, di amicizia, ma è al tempo stesso un Bildungsroman che rievoca in chiave epica l’autobiografia viareggina dell’inquieto intellettuale. Di “Bandiera nera” non so nulla e nulla ci dice Biz, ma vi metto QUI il link a una recensione on line. Di mio consiglierei anche “Per antiche scale”, ambientato in un manicomio, il posto di lavoro di Tobino per tanti anni. Ho trovato l’incipit su Wikiquote e ve lo offro come antipasto:
Il dottor Anselmo abitava in manicomio. Mangiava alla mensa; aveva una stanza. Lo stipendio era gramo. Tutto era ristretto.
Solo chi c'è passato sa come fu il dopoguerra in Italia – quello della seconda guerra mondiale – per uno che durante la dittatura italiana aveva vivamente sperato; da ogni parte scenari che cadevano, trionfo della materia, il denaro e la carne più dominanti di prima. La nuova lussuria invogliava le masse alla completa servitù.
Anselmo si era ritirato; faceva vita di ospedale, di manicomio.
Vi sta venendo appetito? Sappiate comunque che Tobino è semidimenticato e poco ristampato perciò preparatevi a frugare le bancarelle invece che gli scaffali rutilanti della Feltrinelli di turno.
Aggiungo intanto un altro personale consiglio di lettura. Mi hanno appena regalato “Hanno tutti ragione” di Paolo Sorrentino, libro finalista dello Strega di quest’anno che ci viene da uno dei più interessanti registi italiani degli ultimi vent’anni. Non esiterei a dire uno dei più interessanti registi europei. Esitavo a comprarlo perché sicuramente non mi piacerà quanto i suoi film e quando un regista si ferma a scrivere un romanzo nove volte su dieci sta attraversando un periodo di crisi. Perché leggerlo allora? Perché la storia generazionale di questa specie di Califano che è Tony Pagoda sembra tentare un ritratto complessivo dell’Italia di oggi, un ritratto antropologico e filosofico della corruttela e del vitalismo. Forse ne rimarrò deluso, ma almeno le premesse sembrano ambiziose. Voi che ne dite?