Letture di Natale

Creato il 24 novembre 2014 da Weirde

Per Natale potete regalarvi un libro, che ne dite?

Magari uno che inizia così:

"Matilde non sapeva cosa l’avesse svegliata. Forse era
stata la camicia da notte che si era attorcigliata attorno al corpo, bloccandola. La stanza era silenziosa e appena illuminata dal fioco bagliore delle braci nel camino. Madida di sudore, la giovane fece alcuni
tentativi di liberarsi, ma ogni movimento l’avvolgeva di più nelle spire di stoffa umida, lasciandola spossata e senza fiato. Sentiva la testa pesante e aveva la gola riarsa, probabilmente a causa della febbre che la tormentava da quasi una settimana. Non avrebbe voluto alzarsi, ma, visto che era sveglia, pensò di approfittarne per bere un po’ d’acqua. Strinse i denti e si sollevò sui gomiti.
Nonostante la debolezza, doveva riuscire a scendere dal letto. Seduta, appoggiò i piedi nudi sul pavimento di legno e si alzò afferrandosi alla cassapanca; poi, con le gambe che le tremavano, percorse
la breve distanza che la separava dalla porta e si affacciò sul corridoio. Era immerso nel buio. Avrebbe dovuto portare con sé una candela, pensò sconsolata, tuttavia, se fosse tornata indietro a prenderla poi non
avrebbe avuto più la forza necessaria per scendere in cucina. Meglio proseguire nell’oscurità. Dopotutto aveva percorso quel corridoio un’infinità di volte e lo conosceva alla perfezione.
Si avviò lentamente, così silenziosa che udiva solo il frusciare delle proprie vesti nell’oscurità. Il pavimento era freddo nonostante fosse il mese di luglio e l’umidità notturna togliesse il fiato. I suoi genitori l’avevano mandata in campagna, nella tenuta dei Sette Frati, per farle respirare dell’aria più sana, ma la salute, anziché migliorare, era peggiorata. Aveva la febbre alta da tre giorni ormai, e in quella
grande villa, con la sola compagnia di uno stalliere,di una cuoca e della loro figlia, si sentiva abbandonata.
Tastò il muro con le mani e, grazie a una crepa, si rese conto di essere giunta fin quasi alle scale. Si fermò e allungò il piede in cerca del primo scalino. Uno scricchiolio la fece sobbalzare. Qualcuno stava salendo. Al buio. Un brivido le percorse la schiena. Il suo cervello iniziò a lavorare freneticamente.
Se si fosse trattato di uno dei domestici avrebbe di sicuro avuto con sé una candela. I passi erano pesanti e veloci. Stivali? Matilde si appiattì contro il muro. Lo stalliere dormiva sopra le stalle, non in casa, dunque non poteva essere lui. Due giorni prima aveva ascoltato di nascosto la cuoca parlare con la contadina che portava loro il latte. Si era lamentata del fatto che le campagne erano piene di disertori dell’esercito francese. E se colui che stava salendo le scale fosse stato proprio uno di loro, che si era introdotto in casa per rubare?
I passi erano ormai vicinissimi e Matilde poteva sentire il respiro pesante dell’intruso. I suoi occhi si erano abituati al buio e riusciva a distinguerne l’ombra sul pianerottolo: era un uomo molto alto e le dava le spalle. Si stava dirigendo verso l’ala ovest con passo sicuro, come se sapesse perfettamente dove andare, pensò la giovane. Quando vide l’uomo entra-
re nello studio di suo padre, Matilde tornò a respirare e scese le scale stando attenta a non fare rumore; poi, in punta di piedi si diresse verso le stanze della cuoca pensando di svegliarla prima di allertare lo stalliere e i vicini.
La luce della luna che entrava dalle ampie finestre del piano inferiore permise a Matilde di muoversi più in fretta e di vedere, una volta raggiunta la camera della domestica, che lei e la figlia erano a letto.
Avvicinandosi sentì qualcosa di bagnato sotto i piedi. Abbassò gli occhi e notò che erano immersi in un liquido scuro e viscoso. Forse una lanterna si era rotta e l’olio si era rovesciato sul pavimento? No, il liquido sembrava colare dal letto. Gocciolava dal materasso…
Oh, santo cielo, era sangue! Soffocò il grido di orrore che le era salito alle labbra tappandosi la bocca con la mano. Il cuore le martellava così forte che sembrava volesse uscirle dal petto. Guardò meglio.
La cuoca era stata sgozzata. E anche la gola della figlia, una ragazzina di dieci anni, era stata tagliata da parte a parte. Il sangue uscendo produceva un debole gorgoglio.
Matilde chiuse gli occhi e cercò di controllare la nausea inclinando la testa all’indietro e mordendosi il labbro fino a farlo sanguinare.
L’intruso le aveva uccise. Doveva correre a chiedere aiuto. Sconvolta, tornò sui propri passi e una volta in cucina cercò di uscire in cortile dalla porta di servizio, ma qualcosa la bloccava. In preda al panico spinse più forte, ma riuscì a malapena ad aprire uno spiraglio… Il corpo del-
lo stalliere giaceva riverso davanti all’uscio. Gli occhi spalancati e fissi. Morto. Anche lui.
A quel punto il terrore prese il sopravvento e Matilde gridò. Urlò e urlò ancora, finché una grossa mano non le tappò la bocca. In un bizzarro lampo di lucidità si rese conto che quello che le premeva contro la guancia era un moncone, come se all’uomo che la stringeva mancasse il pollice…”

Si tratta di I COLORI DELLA NEBBIA

  

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