Maria Cantamessa, nata a Govone nel 1913, ha appena sei anni e ha da poco appreso a scrivere quando inizia il suo diario intimo, alla cui stesura attenderà senza interruzione per ben settantacinque anni, fino alla morte avvenuta ad Asti nel 1995. Per volontà dei parenti, le carte del suo diario (salvate anche da disastrose alluvioni, assieme ad altri scritti pubblicati postumi per sua stessa volontà) vengono affidate al rettore degli Oblati di S. Giuseppe perché ne curi la stampa in volume. Il libro esce in edizione tipografica nel 1997 con il titolo, dovuto alla stessa autrice, di Diario del tempo breve, opera che è senz’altro da considerarsi, anche sotto il profilo del documento socioantropologico, come una interessante testimonianza della cultura religiosa popolare del Novecento.
Il testo dell’edizione divulgata non è esente da correzioni ortografiche, grammaticali e sintattiche compiute dal curatore (la qualità effettiva della scrittura di Maria è dimostrata da alcune pagine autografe riprodotte nell’apparato iconografico), ma anche da tagli e omissis, rappresentati sempre da puntini di sospensione o da ampi salti di data, operati sia per snellire il libro, sia, forse, per emendarlo da annotazioni di carattere più privato attinenti alla sfera intima e familiare, o quanto meno ritenute di minor interesse per le finalità di edificazione religiosa che si propone la pubblicazione. Purtroppo tali interventi non consentono un’analisi completa della personalità dell’autrice. Ciò non toglie che diversi passi mantengano un alto valore documentale e meritino attenzione. Nelle prime pagine della Maria bambina, la vita semplice del paese e della famiglia affiora costantemente, mentre hanno inizio la sua educazione scolastica, che si interromperà con le elementari, e quella religiosa, che proseguirà per tutta l’esistenza. Il libro si apre con le righe dell’8 giugno 1919, giorno della Prima Comunione, vissuta come una festa popolare:
Questa mattina presto i genitori avevano ornato a festa i loro carri agricoli, per portare parenti e anziani dalle lontane case in paese.
Dalle annotazioni accurate di Maria emerge il profilo di un’esistenza semplice ma dignitosa, e di un’economia familiare di sussistenza, tipicamente contadina di primo Novecento, volta al sostentamento delle numerose bocche da sfamare (dodici fratelli, il padre, la madre, i nonni conviventi), in un pio contesto di rigorosa devozione, scandita dalle orazioni in famiglia e durante le pause del lavoro nei campi. La vita dei bambini è fatta di scuola e preghiera, di giochi poveri, ma anche di apprendistato al lavoro degli adulti.
Nell’intervallo giocavamo con le bambole di canapa che ci hanno fatto le nonne. I maschi erano in due squadre per gareggiare nel gioco delle trottole. (4 novembre 1920).
Prima di seminare, il nonno mi ha portato con lui a misurare coi passi il campo dalla terra di gesso… Ha detto che alcune misure agrarie dei nostri vecchi agricoltori, come altre cose erano di più a dimensione umana… Per esempio, la “giornata” corrispondeva al terreno che un uomo poteva lavorare in un giorno. La “tavola” corrispondeva al grande tavolo usato per le feste patronali. Lo “staio” era un recipiente della capacità di circa Kg. 5 per misurare il grano. Lo staio era anche una misura agraria che indicava quanta terra occorreva alla semina di uno staio di grano. Il “trabucco” stabiliva la distanza tra una pianta di gelso e l’altra (utile per far germogliare bene le foglie con cui nutrire i bachi da seta).
Giunta a casa mi sono subito presa degli appunti:
Giornata = m² 3.810
Staio = m² 476 (un ottavo della giornata)
Tavola = m² 38,10 (un centesimo della giornata)
Trabucco = m² 3,8 (un millesimo della giornata). (6 luglio 1921).
Trascorro le mie vacanze anche staccando le foglie dai rami dei gelsi per i bachi da seta e raccogliendo le nocciole… Mio papà è andato a farsi imprestare da un amico il torchietto per torchiare le nocciole e farci un po’ d’olio per fare l’insalata. Per cuocere altri cibi prendiamo una specie di burro preparato col latte della nostra mucca. (27 agosto 1921).
Si inseriscono nella quotidianità quadri di vita paesana, da cui Maria, sollecitata dagli adulti, cerca sempre di trarre un ammaestramento morale, per esempio a proposito della sagacia bonaria del contadino, come narra nella pagina del 1 settembre 1921:
Mia zia che è un po’ anziana, mi ha chiesto se l’accompagnavo fino al mercato. Va a vendere una dozzina di uova, per potersi comprare almeno un quartino di sale (…). Sulla piazza principale erano adunati parecchi venditori con la merce per contrattare. Tutta gente che si intendeva a mimica o a urli… (mia zia quando si sentivano parolacce mi faceva subito dire le Benedizioni in riparazione). Un giovanotto proveniente dalla città voleva comprare dal contadino Vigin un asino per le corse comiche d’una fiera. Ma non volendo pagare quello che era giusto, cercava di disprezzare la bestia, per farsi abbassare il prezzo, derideva anche un po’ i contadini, gente che non sapeva vestirsi, che non capiva… Ad un certo punto disse: “Brav’uomo, li volete cinque soldi per il vostro asino spelacchiato? ”Subito Vigin con molta calma e bonarietà gli rispose di rimando: “Ma voi comprando la mia bestia, è poi sicuro che vostro papà se la senta di mantenere due asini…?”
La famiglia di Maria Cantamessa (prima a destra)
Lo spazio più ampio della pubblicazione è però assegnato alle riflessioni sulla propria formazione religiosa, a cominciare da un’istruzione scolastica interamente permeata di cattolicità, spesso prevalente sul restante programma di insegnamento, e che mostra un sistema educativo di provincia inquadrato in una prospettiva del tutto diversa dall’etica dei buoni sentimenti borghesi laico-sociali della coeva scuola di stampo deamicisiano. Una giornata scolastica-tipo è quella descritta il 4 ottobre 1921:
Oggi la scuola è stata molto utile! Prima di tutto la Signora Maestra ci ha fatto fare il Segno della Croce, dire le orazioni e cantare una lode a Gesù… Ci ha detto di leggere ad alta voce per ciascuno di noi una pagina della Sacra Bibbia. Lei la spiegava attaccandola al Catechismo. Poi, come tutti i giorni, ci ha fatto ripassare la Dottrina Cattolica e ce l’ha interrogata! [segue un po’ di aritmetica, ndr] Come ricreazione ci ha lasciato andare di sotto a trovare le suore. (…) Risaliti in classe, per interessarci ci ha fatto scrivere tutti gli indirizzi sulle buste delle Missioni. Siccome ci sentivamo importanti, nel pomeriggio ci ha chiesto se volevamo ancora ricopiare il brano del Vangelo di Domenica su bellissimi fogli che il Parroco metterà sui banchi della Chiesa.
In questo percorso personale, fortemente connotato dalla onnipresenza della religione, si innestano presto fenomeni riconducibili a una più ampia casistica di esperienze mistiche presenti da sempre nel mondo popolare italiano, più spesso nell’ambito femminile e povero, ed espressione esclusiva di una cultualità folclorica favorita nei secoli dalla Chiesa cattolica. Si tratta infatti di esperienze pressoché sconosciute e avversate nelle altre declinazioni del cristianesimo, dalla Chiesa protestante a quella ortodossa. Maria per tutta la vita è invece soggetta a visioni, sogni, autosuggestioni, forse allucinazioni, da cui ricava gratificazioni e stimoli a comportamenti devoti talvolta estremi ed autolesionistici. Nel diario viene annotata una prima forte esperienza mistica con una breve visione del 1 giugno 1923, quando la bambina ha solo dieci anni:
Quando ci rechiamo a lavorare al campo della Rocca prima ci fermiamo un po’ in raccoglimento davanti al Pilone del Sacro Cuore di Gesù (…). Oggi ho chiesto a mio papà se potevo fermarmi un poco da sola a pregare. Ad un certo punto ho visto nell’immagine sul muro che il Cuore di Gesù era più gonfio e più rosso. Nessun colore riuscirebbe ad essere uguale! Allora mi sono inginocchiata sulla terra e ho detto la preghiera.
La devozione, il pellegrinaggio e la penitenza, vissuti coralmente in un sotteso fondo precristiano assecondato dai sacerdoti, sono ancora viste in quegli anni, con indiscutibile certezza, come l’unico strumento per ottenere l’aiuto della divinità di fronte alle avversità della malattia o degli agenti atmosferici. Il miracolo è invocato e atteso quale immancabile risultato, come descritto il 14 agosto 1923:
Da due anni non pioveva sulla campagna del mio paese… i raccolti erano compromessi, le piante seccavano, si profilava una grande carestia. Il Parroco invitò la popolazione a recarsi nella chiesa della nostra borgata S. Defendente per pregare. Allora mia mamma si permise di dire: “Reverendo Parroco, ma che penitenza è mai questa? Andare in una chiesa così vicina? Bisognerebbe andare a piedi almeno al Santuario Madonna del Buon Consiglio, che si trova venti chilometri oltre il Tanaro, e là incominciare la novena; il fiume è asciutto e si può attraversare senza passare sul ponte di S. Martino…”. La proposta fu accolta. Al mattino presto, si vedevano i contadini, anziani e bambini, scendere dalle colline verso il punto di ritrovo. Si caricavano i malati sui carri, si chiudevano le botteghe… Quando mancavano ancora due chilometri per giungere alla meta, ecco, una nuvoletta, come un lenzuolo, salire verso il campanile del Santuario. Poi il cielo si oscurò per altre nubi e per il vento. Subito la pioggia cadde a dirotto, da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio. Poi s’interruppe, perché i pellegrini, commossi e riconoscenti, potessero far ritorno al loro paese. Qui giunti, piovve per nove giorni di seguito!
La vita del paese è segnata dalle feste religiose, dalle messe, dalle rogazioni, dalle processioni solenni e partecipate. 15 giugno 1931:
Il punto di partenza è stata la S. Messa, poi si è svolta la processione [del Corpus Domini] per le vie del paese. (…) Tutti i balconi, le finestre, le porte erano addobbate di stoffe, asciugamani, lenzuola, tende dei più bei colori. I contadini coi ramoscelli delle viti e dei gelsi avevano intrecciato magnifici archi verdeggianti sotto cui doveva passare l’Ostensorio portato dal Parroco. Lungo i marciapiedi brillavano vasi di ginestre e celidonie d’oro lucenti, di gigli bianchissimi, di mughetti argentati, di gerani e di garofani rosa, di lavanda e genzianelle celesti.
Per Maria la spiritualità interiore deve andare di pari passo con il gesto di carità, anche spinto alle estreme conseguenze, e la vita di tutti i giorni può coincidere con il sacro e il meraviglioso, secondo una plurisecolare concezione dell’esistenza. Non esita a fare sacrificio di sé e donarsi eroicamente forte di certezze che stanno al di sopra della debolezza umana. Racconta il 14 agosto 1932:
Questa sera è scoppiato un incendio a Craviano. [borgata di Govone, ndr] (…) Dalle finestre uscivano enormi vampate di fuoco rossiccio e nero. S’udivano le grida d’un bambino orfano rimasto imprigionato al piano di sopra (…) Diverse persone avevano cercato di salire, ma dopo pochi istanti erano costrette a desistere (…) Ho pregato il Signore che mi aiutasse. Nel cortile c’era un lavatoio, allora io mi immersi dentro fino alla testa, poi tutta grondante d’acqua mi slanciai su per le scale, raccolsi il bambino, me lo strinsi ai miei abiti bagnati inzuppandolo d’acqua, e così potemmo passare indenni tra le fiamme e raggiungemmo la via d’uscita.
Maria ne esce con ustioni che sopporterà stoicamente. Negli anni ha l’abitudine di imporsi digiuni, piccoli sacrifici (come quando narra che dopo una giornata di lavoro sotto un sole cocente rinuncia a bere alla fontana e versa il suo bicchiere d’acqua nel portafiori di un pilone votivo, o quando si procura delle ferite e fa dono al Signore della sua sofferenza); trascorre momenti intensi di preghiera e di meditazione sui testi sacri. Con la scuola elementare si conclude il suo percorso scolastico. È devota alla Madonna e prende l’abitudine di comporre preghiere che più tardi talvolta invierà ai Pontefici romani. Il diario, per quanto è pubblicato, non ci dice se la ragazza ha mai espresso il desiderio di prendere i voti e se la scelta del matrimonio, avvenuto nel 1938 e che comporterà il trasferimento ad Asti, sia stata del tutto libera. La sua prima notte di nozze inizia con la recita di una corona del rosario. Tuttavia appare sottomettersi mitemente e con rattenuta gioia al destino di sposa e di madre, senza rinunciare ai doveri della più stretta osservanza religiosa ed esercitando in seguito l’opera di catechista e di evangelizzatrice nella sua parrocchia astigiana.
Altri fatti meravigliosi punteggiano la sua esistenza. Racconta che nel 1939 un’anziana conoscente di nome Marta è da mesi ricoverata in ospedale per una inguaribile malattia, le sue condizioni si sono aggravate e i medici ne hanno pronosticato il trapasso imminente. Maria si offre come donatrice per una trasfusione e la assiste amorevolmente per giorni. Alla fine della settimana i medici devono constatare che la paziente è inspiegabilmente guarita. Un’altra volta un ladro che le si introduce in casa nottetempo viene convertito dalle sue parole e se ne va pentito e commosso.
Maria Cantamessa negli ultimi anni
Le accadono altre esperienze mistiche. Nel luglio 1954 al santuario della Madonna del Portone si inginocchia davanti all’immagine della Vergine. Non trovando più il proprio rosario inizia a contare con le dita. Poi:
Improvvisamente ho avuto una visione, ho visto la corona che la Madonna teneva tra le mani muoversi lentamente, come se fosse ondeggiata da un venticello leggero. Ho guardato verso la porta per vedere se era aperta e così entrasse dell’aria. Era chiusa. Ma ecco che la Madonna con un sorriso mi porge lei stessa la corona… provo una gioia indicibile e con la sua Corona continuo a recitare il Santo Rosario. Sono tutta sudata, anche per la corsa che poco prima avevo fatto per giungere in tempo; ogni tanto mi interrompo di pregare e mi asciugo la fronte. Ed ecco…, vedo nella visione, la Beata Vergine che viene ad asciugare con un lembo del suo velo azzurro le gocce di sudore che mi scendono dalla fronte… Poi ascolto ancora la Sua voce tenera e pura che dice: “Pregate, perché vi siano sante vocazioni…” (…) Un fatto di mistero ineffabile!
Nell’agosto del 1954 in sogno le appare un angelo e dialoga con lui che la esorta in maniera argomentata alla fede e alla carità per evitare la dispersione della Grazia nel mondo. Appena sveglia trascrive il sogno per poterlo riferire al suo confessore. Innumerevoli sono poi gli episodi di altruismo, di coraggio, di vicinanza ai poveri e agli afflitti che costellano questi ricordi privati, narrati con naturalezza, senza alcuno sfoggio di vanità. Tuttavia, per valutare appieno la vita spirituale di Maria Cantamessa, non si possono non stabilire dei paralleli con altri mistici che per secoli nel mondo popolare e contadino sono stati espressione viva di quella religiosità folclorica, talvolta con forme imbarazzanti ai limiti del raggiro, ma molte altre in piena buona fede, come è senz’ombra di dubbio questo caso. Il corredo è noto: apparizioni della Madonna alle persone più umili con messaggi all’umanità e alla Chiesa, momenti di estasi e visioni di santi e angeli, fino, nei casi più estremi, all’apposizione miracolosa di segni come stigmate e ferite a imitazione delle sofferenze inflitte al Crocifisso. Il soprannaturale è parte integrante “normale” di questa religiosità primitiva che precede (e tuttora qua è là accompagna) gli anni della modernità e del disincanto.
Vorrei citare a questo proposito alcune analogie contenute nell’esemplare fenomeno che fu, all’altro capo della penisola, quello di Natuzza Evolo. Vissuta dal 1924 al 2009 nel paesino calabro di Paravati, con un’infanzia poverissima e difficile, primogenita di cinque fratelli, senza padre, divenne nota per la spettacolarità della sua esperienza mistica che comportava visioni, stati di trance con l’assunzione di altre personalità, dialoghi con defunti, contrasti con il demonio, comparsa di stigmate e sanguinamenti, apparizione di scritte latine sulle pezze che applicava alle ferite. Pur non essendo mai stata smentita da studi scientifici accurati, l’interpretazione della sua vicenda va posta sul piano culturale e appare integralmente compresa in un decifrabilissimo universo religioso di concezione spiccatamente cattolica, che va dal tema del Purgatorio al culto della Madonna, dei santi e degli angeli, e che si evidenzia anche in precisi riferimenti iconografici tipici della tradizionale pittura sacra. I suoi primi “incontri” con la Madonna e Gesù iniziano all’età di otto anni. La Vergine è da lei descritta come “una bellissima donna” che la accarezza e la consola; Gesù Bambino “un bellissimo bambino riccioluto”; San Tommaso “un austero frate domenicano con la testa rasata”; l’angelo custode “ha un corpo umano, fulgido e bellissimo, provvisto di ali e capelli biondi lunghi ed inanellati (…) ha un vestito aureo o azzurro e bianco.” Come le immagini di un affresco in una cattedrale. Incontra tra i defunti anche il poeta Dante Alighieri che la informa di aver scontato trecento anni di Purgatorio per aver giudicato i suoi contemporanei solo in base alle simpatie personali. Natuzza non vanta guarigioni miracolose, ma si limita a dichiararsi semplice “tramite” verso Dio, continuando a vivere modestamente, “in umiltà e nascondimento”, ricevendo quanti chiedono di incontrarla e senza richiedere alcun compenso che non siano opere di carità. Tuttavia il suo caso si fa clamoroso e nei suoi confronti nasce un vero e proprio culto che ancora perdura dopo la sua morte. Ma, al di là di alcune evidenti analogie, non discuterei oltre su questo parallelismo.
Natuzza Evolo e le sue stigmate
Come si è detto, la Chiesa cattolica ha molto assecondato, o quanto meno non contrastato, questi fenomeni, anzi, spesso utilizzandoli ambiguamente al fine di operare una maggior saldatura tra la Fede dottrinale e quella spontanea religiosità contadina che affondava le sue radici in un paganesimo ancestrale; saldatura che è talvolta tornata utile anche in alcuni momenti storici per contrapposizione all’avanzare del temuto materialismo politico e sociale. Va ascritto tuttavia al merito dei sacerdoti che ebbero a che fare con Maria Cantamessa (e probabilmente a Maria stessa e alla sua famiglia) di non aver mai travalicato certi limiti, incanalando la sua accesa spiritualità nell’alveo canonico della liturgia consolidata e della dottrina caritatevole e disinteressata.