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La “fuga dei talenti” sbarca con prepotenza sulle pagine dei quotidiani internazionali. Negli ultimi mesi ben tre quotidiani e settimanali internazionali sono tornati sul tema, a dimostrazione che -nonostante i nostri media continuino a ignorare la realtà- chi ci osserva da fuori ce l’ha ben presente. Ma andiamo con ordine:
-l’Economist, in un articolo dal titolo “Italy’s Brain Drain“, ha centrato il problema. Come al solito, in perfetto stile british/anglosassone: citando la storia di un fotografo 37enne emigrato, spiega senza giri di parole perché se ne è andato. “Le citazioni sulle riviste mostrano che i fotografi che possono vantare legami famigliari o di altro tipo lavorano regiolarmente, in Italia. Chi non ce li ha, non può“, spiega Alessandro Wandael. L’Economist spiega pure come -secondo le statistiche 2005 dell’Ocse- ben 300mila italiani dall’alto profilo abbiano lasciato il Paese. E ricorda come nel 2002 un sottosegretario del Governo arrivò addirittura a smentire che il problema del “brain drain” esistesse. Poi cita un non meglio identificato Ministro dell’attuale Governo, che riconosce -in privato- l’esistenza della questione, ma la contestualizza solo al limitato recinto dei ricercatori e scienziati. “Tuttavia, nessuna delle due affermazioni regge“, attacca l’Economist: “uno studio del 2004 sostiene che -tra tutti gli emigranti italiani- la percentuale di coloro che erano in possesso di una laurea è quadruplicata tra il 1990 e il 1998. Nel 1999, secondo un altro studio, 4000 laureati si sono trasferiti all’estero. E solo il 17% dei laureati italiani negli Stati Uniti si occupano di ricerca e sviluppo, secondo la National Science Foundation. La fetta più grossa di emigrati è costituita da managers”. Infine, l’affondo più duro: “ciò che distingue l’Italia dagli altri grandi Paesi non è il numero assoluto dei suoi laureati in esilio -nel 2005 un numero maggiore di laureati britannici, francesi e tedeschi ha lasciato il proprio Paese- ma il fatto che possiede un saldo netto nel “brain drain” tipico di una economia in via di sviluppo. Il numero di italiani con laurea che lasciano il Paese supera quello dei laureati stranieri in ingresso“.
-il New York Times, nell’articolo “Europe’s Young grow Agitated over future prospects“, analizza invece il problema più generale dei giovani dell’Europa meridionale. Anche qui -però- il punto di partenza è l’Italia, con la storia di Francesca Esposito, 29enne leccese, poliglotta (cinque lingue parlate), ma ridotta al rango di stagista non retribuita… nientemeno che per l’amministrazione pubblica. “Non solo lavorava gratis per gli anziani della nazione, che hanno generalmente escluso i più giovani dal mercato lavorativo, ma gli sforzi che produceva lì non riuscivano nemmeno a garantirle la pensione“, annota con incredulità la giornalista Rachel Donadio. Che cita anche il messaggio di Capodanno del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. L’articolo allinea i problemi dei giovani italiani a quelli dei coetanei greci, portoghesi e spagnoli.
-”La Nacion“, quotidiano argentino, dipinge in un altro bell’articolo i nuovi emigranti del Sud Europa: “un secolo fa erano contadini che se ne andavano in nave, con valigie di cartone e il sogno di un futuro in America. Oggi sono giovani cosmopoliti e laureati, che se ne vanno con i loro computer e voli low-cost, a cercar fortuna dovunque“. Nel capitolo dedicato all’Italia, l’articolo ripete il vecchio refrain: “l’Italia non è un Paese per giovani“, pronunciato questa volta da un giovane emigrato in Australia, attualmente professore all’Università di Adelaide. “La verità è che in Italia, senza un contatto personale o una raccomandazione, è molto difficile entrare nel mercato del lavoro“, afferma il protagonista dell’articolo, Domenico Dentoni.
“Solo lacrime di coccodrillo, dopo averli massacrati“, titolava la scorsa settimana “Famiglia Cristiana”, riferendosi alla legge Controesodo. “I migliori fuggono all’estero. E ora si spera di farli tornare con facilitazioni di piccolo cabotaggio“, denuncia il settimanale. Sono totalmente d’accordo: le lacrime della politica italiana sono finte, hanno solo paura che questa frustrazione sfoci in un qualcosa che possa mettere a repentaglio il destino di questa inetta classe dirigente. E cercano di tenere sotto controllo le fiamme. Dissento però su Controesodo: conoscendo la storia di questo ddl, posso affermare che è nato veramente con uno spirito “outsider”. I “big” della politica italiana (mi riferisco ai leader di partito) lo hanno notato solo a percorso avanzato, senza prestarci peraltro neppure grande attenzione. Avrebbero potuto prendersene i meriti, ma sono -ormai- talmente isolati dal contesto sociale che neppure capiscono di cosa si tratti. Se ben utilizzato, e inserito in un contesto di modernizzazione più ampio, può realmente costituire un “cavallo di Troia”, per far rientrare chi ci può salvare dal disastro. Facendosi nuova classe dirigente.
Chiudo segnalando due riflessioni: la prima di Alessandro Rosina, professore universitario che ha fatto della denuncia della condizione giovanile in Italia la bandiera del suo operato. Anche lui parla di “lacrime di coccodrillo” e “ipocrisia”, quando denuncia i falsi mea culpa dell’attuale classe dirigente sulla condizione giovanile. E cita come esempio l’imbarazzante classifica del quotidiano “La Repubblica”, sui libri relativi ai giovani. Solo due su dieci erano scritti da “under 40″. Siamo il Paese dove i vecchi non solo soffocano i giovani, ma pretendono pure di disaminare sulle loro difficoltà. Bullshit, verrebbe da dire. Perdonate il “francesismo”…
La seconda riflessione è di Irene Tinagli, pubblicata su “La Stampa”: definisce “incredibili” le affermazioni del Ministro del Lavoro Sacconi, che addebita la colpa della disoccupazione giovanile ai cattivi genitori, che spingono i figli a studiare e laurearsi, quando invece potrebbero imparare un mestiere e adattarsi meglio alle esigenze del mercato. La Tinagli centra il problema, quando afferma: “chissà se è venuto in mente al Ministro che il mercato del lavoro è anche frutto delle politiche economiche e sociali che un Paese persegue. E che è il Governo di un Paese che dovrebbe mirare ad adattare il proprio sistema economico e sociale alle dinamiche internazionali in modo da tenerlo competitivo, non i giovani che devono adattarsi al declino del Paese, e all’incapacità dei politici di rimetterlo in moto“. Per favore, leggetevi il resto dell’articolo: è illuminante. Smaschera il “metodo Sacconi”, già brillantemente adottato con il tema della sicurezza sul lavoro: il messaggio è sempre lo stesso. “Il cretino sei sempre e solo tu. Che non ti proteggi sul luogo di lavoro. O che non accetti il primo impiego che ti capita“. La colpa, insomma, non è mai della politica. Ma del cittadino. La storia darà il suo giudizio sull’operato di questo Ministro, che potremmo anche regalare a qualche altro Paese non appena riapre il “calciomercato”. In cambio di un panettiere danese.