Efraín Ríos Montt sarà giudicato per i reati di genocidio e lesa umanità. Giustizia lentissima in Guatemala, ma che alla fine cercherà almeno di stabilire un precedente. Per il momento, tenuti in conto i suoi 85 anni, l’ex generale trascorrerà ai domiciliari il periodo di tempo che lo separa dal 17 marzo, data in cui si deciderà se il processo sarà o no istruito. Sulla figura di Ríos Montt iniziamo la serie delle Letture per l’Inverno che, come già accaduto per il ciclo pubbicato in estate, ospiterà interventi esterni. Buona lettura.
Ríos Montt era stato personaggio chiave della storia recente del Guatemala. Capo di stato maggiore nel 1970, a soli 44 anni, si riciclò come civile per perdere però le elezioni farsa del 1974 contro un ex collega, Laugerud García. Un sassolino che Ríos Montt si sarebbe portato nella scarpa per diverso tempo. Appoggiando la linea dura promossa dal gruppo degli ¨ufficiali giovani¨ aveva atteso l’occasione propizia per rifarsi dell’affronto: dietro il golpe del 1982 c’è lui, che organizza e che, una volta consumato il fatto, relega il generale Horacio Maldonado Schaad e il colonnello Francisco Luis Gordillo –che furono gli esecutori materiali- ad un ruolo secondario.
Ríos Montt non ha dubbi di essere l’uomo del destino, il personaggio centrale di un piano divino per fare del Guatemala il regno dei perfetti sulla Terra. Quando assume il potere, Ríos Montt deroga le garanzie costituzionali, istituisce tribunali segreti ed dá avvio alla repressione. Niente di nuovo, in quanto a dittature; con una differenza basilare, peró. Ríos Montt si sarebbe contraddistinto per la ferocia, giustificandola con il fervore religioso e la certezza di essere stato destinato a svolgere un’opera di carattere divino.
Il generale del destino
Ríos Montt è nato nel 1926 nella città di Huehuetenango, situata nel nord-ovest del paese, nelle vicinanze del Chiapas messicano. Una città dell´altipiano, a quasi duemila metri di altitudine, in cui la presenza indigena è molto forte, rappresentando questa il 35% della popolazione. Per molti giovani della sua generazione, appartenenti all’oligarchia locale, esistevano all’epoca solo due opzioni: o farsi carico degli affari di famiglia o intraprendere la carriera militare. Efrain decide per la seconda e nel 1943 entra nell’Accademia militare del Guatemala, per poi essere inviato a specializzarsi nel tristemente famoso forte Gulick, della zona del Canale di Panama, in quella scuola da dove uscivano gli ufficiali destinati a seminare le stagioni del terrore e della repressione nei paesi latinoamericani. Dopo la Seconda guerra mondiale è anche in Italia per studiare e mano a mano sale gli scalini della gerarchia dell´esercito, fino a fungere da aggregato militare nell’ambasciata guatemalteca di Washington. Nel 1974, lasciato il grado di Capo di stato maggiore, si presenta alle elezioni indette per eleggere il successore del generale Carlos Manuel Arana Osorio. La sua coalizione, composta da dirigenti di centro-sinistra con una forte influenza socialdemocratica, è quella vincitrice, ma le manovre fraudolente del foro militare lo privano del potere, che viene invece consegnato al rappresentante della destra, il generale Kjell Laugerud, candidato appoggiato dagli Stati Uniti. A Ríos Montt non rimane che riconoscere la sconfitta ed accettare a denti stretti il posto di aggregato militare all’ambasciata di Madrid da dove torna nel 1977. L’anno seguente, per lui fervente cattolico e con un fratello vescovo, avviene la conversione alla Chiesa cristiana del Verbo. I termini ed i motivi di questa conversione non sono mai stati chiariti. Negli anni successivi, però, Ríos Montt si dedica all’organizzazione della sua chiesa, presentandosi sia a fedeli che a scettici come un predestinato, chiamato al vertice del potere per compiere con il destino messianico in un paese, il Guatemala, che era stato scelto da Dio come il punto di partenza di una crociata che doveva interessare tutto il continente americano. Ogni gesto, ogni storia riguardante il generale si converte in leggenda, per creare in un popolo alla costante ricerca di segnali ed interventi divini per mediare la miseria quotidiana, l’immagine di una figura al bordo del mito. La descrizione che fa della sua investitura a dittatore segue i canoni biblici: è in chiesa, assorto in preghiera, che riceve la visita dei militari golpisti che lo investono del potere. Una versione preparata appositamente per inculcare nella gente (il 70% della popolazione guatemalteca del tempo era analfabeta) l’intervento diretto di Dio nel segnare il destino della nazione.¨È Dio che mi ha voluto qui¨
Già dal primo discorso alla nazione si capisce che aria tira. Nell’annunciare il cambio di regime, Rios Montt dimostra subito quale sarebbe stata la sua strategia di potere, imbevuta di un narcisista culto della personalità e di un pericoloso fanatismo: “Ho fiducia in Dio, il mio signore ed il mio re, che mi illuminerà, perchè solo lui dà e solo lui toglie l´autorità”. Come primo provvedimento, il generale scioglie la Costituzione, ma permette con una legge apposita, la ricostituzione dei partiti politici. Gli Stati Uniti di Reagan, che soffrono per la situazione nel Salvador, elogiano il provvedimento, tolgono l’embargo al Guatemala che durava ormai da cinque anni, riconoscendo di fatto, come prova sufficiente di democrazia il governo golpista.
Con aspetto severo e con tono perentorio, Rios Montt appare ogni domenica in televisione nel sermone ai cittadini, pastore di anime e di consenso, in discorsi che vengono proposti anche dalle radio e dai giornali, in maniera che possano giungere in ogni angolo remoto del Guatemala. La retorica dei suoi discorsi moralisti giustifica quella che è l’azione violenta e repressiva dell’esercito che massacra intanto i contadini maya, bruciando raccolti e villaggi in una offensiva contro la popolazione civile che non si era mai vista in venti anni di guerra. Guidato da un cieco credo messianico (“È Dio che mi ha voluto qui” ripeteva nei suoi discorsi), Ríos Montt guida la nazione con pugno di ferro, eliminando con furore fanatico quanti si oppongono alla sua visione di uno stato basato sui concetti puritani di stampo anglosassone.Nei suoi sermoni alla nazione Ríos Montt parla con i toni del profeta, chiamando in causa davanti a Dio stesso ogni cittadino come responsabile delle proprie azioni. Allo stesso modo dichiara al popolo intero che la sua responsabilità è quella di esercitare il potere per amministrare una giustizia che è diretta espressione della volontà di Dio. Per questo la sua missione non è tanto quella di governare uno stato, ma di combattere con tutte le forze “i quattro cavalieri dell’Apocalisse” che, nel suo fervore religioso, ha individuato nei flagelli della fame, della miseria, dell’ignoranza e della sovversione, castighi scatenati dagli agenti comunisti. In ogni messaggio rimane chiaro che è lui l’uomo designato da Dio per salvare il Guatemala dal comunismo e guidarlo verso le braccia protettrici del Cristo protestante. Nelle sue apparizioni televisive il tema ricorrente è quello della famiglia. La mancanza di una morale, la crisi dei valori all´interno del nucleo famigliare sono causa non solo della decadenza della società guatemalteca, ma della guerra in atto in cui la guerriglia è l´espressione dell’anarchia, dell’egoismo, della criminalità e, soprattutto, della mancanza di rispetto verso l´autorità. Chi sceglie la resistenza armata cade nel peccato e in difetto di pentimento deve pagare con l’eliminazione fisica, l’unico mezzo per ottenere la redenzione. Il conflitto guatemalteco, sorto sulle rivendicazioni sociali –ricordiamo ¨los hombres de máiz¨, di Miguel Ángel Asturias-, viene quindi ridefinito in una logica religiosa di buoni e cattivi, di santi e peccatori che rende legale il ricorso ad ogni mezzo di persuasione, tortura ed assassinio compreso, giustificati come estrema possibilità di redenzione, alla stregua dei metodi impiegati dall’oscurantista Inquisizione cattolica nell’epoca buia della Storia moderna.
Fucili e fagioli
Per rendere possibile il pentimento, Ríos Montt organizza il programma “Fusiles y frijoles”, fucili e fagioli, con il quale i contadini ottengono alimenti in cambio della loro partecipazione alle Pattuglie di Autodifesa Civile, i gruppi paramilitari che hanno il compito di rintuzzare gli attacchi della guerriglia nelle province dove è più difficile il controllo da parte dell’esercito. In questa maniera cinica il dittatore cambia radicalmente il corso al conflitto, trasformandolo in tragica e odiosa guerra civile, dove famiglie, parenti ed amici si trovano divisi su due fronti diametralmente opposti. Il programma “Fusiles y frijoles” viene accompagnato dalla strategia militare della “tierra quemada” che generalizza i massacri e le deportazioni delle popolazioni indigene perchè, come assicura il generale, il buon cristiano è quello che si esprime con la Bibbia in una mano e il mitra nell’altra.
Le Pattuglie di Autodifesa Civile sono il vero organo repressore della strategia di Ríos Montt. Di fatto, il coinvolgimento dei civili nella guerra disgrega le comunità e consegna il potere locale nelle mani di capataz spietati, alla ricerca di prestigio e dell´opportunitá di eseguire vendette personali protetti dalla legalitá. La coercizione alla quale sono sottoposti invece i semplici peones, come il dovere di partecipare ai pattugliamenti senza ricevere compenso alcuno, pesa notevolmente sull’economia dei villaggi. Con la mancanza di mano d’opera i campi sono trascurati e i prodotti della terra sono sostituiti dalle sterpaglie e dai terreni incolti. Ciononostante, vivendo nel timore delle rappresaglie dell’esercito, i contadini fanno tutto quanto è loro ordinato anche se questo significa lasciare l’agricoltura ed aprire sicuramente le porte a una stagione di stenti. Non c’è nulla da fare: i civili sono diventati degli strumenti nelle mani dell’esercito e di quei potenti che si servono dei militari per difendere i propri interessi. L’opera delle Pac fu infaticabile, lasciando alla fine una tragica stele di almeno diecimila morti, tutte persone alle quali non fu concesso il diritto a un debito processo e che furono giustiziate senza alcuna pietà. La paura del genocidio spinse, inoltre, almeno centomila persone all’esodo e all’esilio nel vicino Messico, alla ricerca della pace e della tranquillità che il furore messianico di Ríos Montt aveva per sempre compromesso.
Protestantesimo e genocidio
Il generale non si scomponeva. Alle denunce degli osservatori internazionali che parlavano di stragi e di esodi, rassicurava i governi stranieri che i diritti umani, nonostante la guerra, erano rispettati. Le tre principali organizzazioni protestanti del Guatemala si unirono nel tentativo di dare al mondo una versione ripulita e coerente di quanto stava succedendo sull’altopiano. La fondazione Behrhorst, la Chiesa del Verbo ed il Sil (Summer Institute of Linguistic, il famoso istituto fondato da William Cameron Townsend) si unirono nella organizzazione del Fundapi, la Fundación de Ayuda para el Pueblo Indígena. Scopo della fondazione era quello di dimostrare alla comunità internazionale come il governo di Ríos Montt stesse provvedendo ad aiutare i villaggi indigeni con ogni genere di cui avessero bisogno: cibo, medicine, abiti, strumenti necessari per il lavoro. Per il generale ed i suoi complici, l’opera del Fundapi era però più profonda. La fondazione Behrhorst ed il Sil provvedevano infatti ad inviare nei villaggi quel personale che offriva sí aiuti, ma in cambio chiedeva conversioni ed adepti per quella Chiesa del Verbo che, dal luglio di quell’anno, aveva cominciato a ricevere una valanga di fondi dagli Stati Uniti attraverso la consorella Gospel Outreach. Negli Usa, infatti, era stata inaugurata la International Love Lift –il Ponte internazionale dell’amore-, una campagna che si impegnava a raccogliere fondi per i meno fortunati fratelli del Guatemala.A chiedere soldi attraverso le televisioni via cavo erano esperti imbonitori di fede come Pat Robertson, Bill Bright e Jerry Falwell che invocavano l’appoggio economico dei fedeli per il presidente cristiano del Guatemala, impegnato nella gloriosa crociata contro il pericolo comunista. Trattandosi di crociata, Ríos Montt aveva affidato la direzione del Fundapi a un personaggio inquietante, Harris Whitbeck. Whitbeck era stato sergente dei marines ed era giunto in Guatemala in veste di contrattista per la costruzione di opere di infrastruttura. L’americano dimostrò essere la persona giusta, in grado di trattare con i più alti ranghi dell’esercito e capace di vantare amicizie a Washington che avrebbero permesso a Ríos Montt, nonostante si trattasse di un golpista, di ottenere l’appoggio incondizionato dell’amministrazione Reagan. Whitbeck avrebbe fatto carriera ed è ancora oggi tra i personaggi più potenti del Guatemala, dove ha ricoperto tra l’altro, l’incarico di Segretario di Stato nella contestata e corrotta presidenza di Alfonso Portillo.
L’opera di Whitbeck fu preziosa. In poco tempo riuscì, grazie alla enorme elargizione di fondi (Ríos Montt si vantava di essere riuscito a racimolare due bilioni –bilioni, esatto- di dollari dai fedeli statunitensi) a presentare ai giornalisti e alle organizzazioni umanitarie internazionali, delle realtà completamente differenti da quelle che l’esercito si era lasciato dietro nella sua offensiva di tierra quemada. Proprio questo tipo di operazione sarebbe riuscita per anni a nascondere quanto fosse realmente successo sull’altopiano durante la dittatura di Ríos Montt, fatti che sono stati svelati nella loro crudezza solo nel 1997, con la presentazione del rapporto “Nunca más” sulla verità storica di trentasei anni di guerra in Guatemala. Per tutti, in quei giorni, la colpa di quanto stava succedendo –la distruzione dei villaggi e dei raccolti, gli esodi, i massacri della popolazione civile- era attribuibile ad una guerriglia feroce, ai comunisti che non rispettavano quanto di più sacro avesse l’uomo: la vita.
Nessuno degli ingenui fedeli negli Stati Uniti pensava che fosse invece proprio Ríos Montt il responsabile della strategia della terra bruciata. I fondi arrivavano con generosità, grazie alla grande pubblicità di cui godeva l’iniziativa per il Guatemala. Era la prima volta che un paese latinoamericano prendeva apertamente la strada del verbo protestante e l’avvenimento era un tema che stava a cuore ai fedeli statunitensi, sempre generosi in quanto ad aprire il portafogli quando si profila una crociata moralizzatrice.
Il centro che raccoglieva i fondi per la campagna politico-evangelizzatrice del generale Ríos Montt si trovava in California, nella cittadina di Eureka, sotto il nome di Gospel Outreach, una chiesa fondata nel 1971 dal predicatore ex agente immobiliare Jim Durkin. Durkin ed i suoi fedeli si erano opposti negli anni Sessanta ad ogni rinnovamento della società statunitense, raggruppandosi nel “Jesus People”, un’associazione religiosa di stampo conservatore che aveva come scopo la salvaguardia dei valori morali tradizionali nordamericani. Con tre comunità principali (a San Francisco, Los Angeles e Seattle), la gente di Gesù si propagò in tutti gli Stati Uniti grazie a iniziative di indole popolare, come le riunioni nelle caffetterie dove venivano serviti gratis caffè e paste mentre gli astanti discutevano di religione e società. A queste riunioni partecipavano, oltre a Durkin, pastori e motivatori come Linda Meissner, Chuck Smith, Jack Sparks, Arthur Blessit e Duane Pederson, che avrebbero successivamente puntato sull’editoria e poi sulle televisioni per la diffusione del loro messaggio. Pederson diede l’esempio, editando per primo il Duane Pederson’s Hollywood Free Press, però la rete si estese ben presto con una miriade di più piccole pubblicazioni: Right On!, The Truth, Free Love, Street Level che si editavano dalla California sino alla costa atlantica, prima con tirature limitate a un massimo di diecimila copie, ma che poi sull’onda del successo giunsero a stampare fino a centomila esemplari per numero. I leader del movimento di Jesus People con il passare del tempo presero successivamente strade differenti. Jim Durkin fondò il Lighthouse Ranch che cambiò il nome in Gospel Outreach.
Durkin dettò le regole del ranch seguendo i fondamenti dei cristiani carismatici, latori di una disciplina piuttosto ferrea, che prevedeva una serie di privazioni, che servivano a purificare i fedeli nell’attesa della seconda venuta di Cristo. Ciò non toglieva che il predicatore desse ai suoi lezioni di sopravvivenza e di economia, primo fra tutti su come trarre profitto da differenti occupazioni all’interno della fattoria, diversificando gli investimenti ed accaparrando alimenti per quando sarebbe stato installato il millenario regno di Cristo sulla terra. Ai discepoli che avevano acquistato già sufficiente esperienza veniva ordinato di lasciare la sede per dedicarsi all’opera di pastori: nel 1983, nel momento della sua maggiore espansione, la Gospel Outreach contava con una quarantina di congregazioni tra gli Stati Uniti e l’estero, principalmente in Guatemala, Nicaragua ed in Europa. Oggi, cambiato il panorama internazionale, funziona in Argentina, Brasile, Ecuador, oltre che nei due paesi centroamericani.
Ancora oggi, la regola numero uno della Gospel Outreach è l’accettazione inquestionabile della Bibbia, in quanto espressione alla lettera della parola di Dio: se Dio creò la donna da una costola di Adamo è perchè avvenne esattamente così. Banditi l’evoluzionismo e la discussione critica sulla Bibbia, i pastori di questa chiesa sono tra i più intransigenti nel variegato mondo protestante di radice anglosassone. Quando la fattoria di Lighthouse si trasforma nella Gospel Outreach tra le sue prime operazioni c’è l’organizzazione dei soccorsi in seguito al terremoto del Guatemala del 1976. I termini usati per ricordare l’opera dei missionari inviati nel paese centroamericano sono mistici e trionfalistici allo stesso tempo: “They come to Guatemala to rebuild a city. But God had a different plan in mind. He wanted to rebuild a people”, (ossia: “giunsero in Guatemala per ricostruire una città, ma Dio aveva in mente un piano differente: ricostruire un popolo”). La Iglesia del Verbo, come venne ribattezzata in America Latina, da allora ha seguito alla lettera il motto di natura pentecostale che caratterizza la chiesa centrale Gospel Outreach: “Và, e fai discepoli in tutte le nazioni”, “Go ye therefore and make disciples of all nations”.
Che il Guatemala potesse diventare la prima nazione dell’America Latina con un governo direttamente influenzato dalle idee cristiane fondamentaliste, spinse i pastori di Gospel Outreach ad un’opera continua e massiccia nella società guatemalteca, prima intervenendo sulla classe dirigente e poi sulle popolazioni indigene. Il governo di Ríos Montt promosse ed organizzò grandi concentrazioni, installando tendoni da circo o dando a disposizione piazze e luoghi pubblici perchè i pastori potessero predicare a folle di persone e dare avvio a conversioni di massa. Luis Palau, che fu chiamato a parlare, disse che Ríos Montt era la soluzione ai problemi spirituali dell’intero continente. Il Vangelo era lo strumento attraverso il quale i guatemaltechi avrebbero potuto liberarsi dalla miseria e dalla povertà. Con lui, sul palco, c´era lo stesso dittatore a gongolarsi, sicuro che il destino del Guatemala sarebbe stato quello di diventare la vera nazione di Cristo.
Niente di tutto questo. Nel rapporto sulla memoria storica Remhi, il governo di Ríos Montt viene ricordato per i massacri perpetrati sulla popolazione civile, soprattutto nel dipartimento del Quiché e nell’area di Ixil, dove tutti i villaggi (600, secondo un rapporto dell’Onu del 1999) vennero praticamente rasi al suolo. La formazione delle Pac, le Pattuglie di autodifesa civile, era stata pensata per togliere basi ed appoggio alla guerriglia, ma messa in atto si era trasformata nello strumento ideale per la risoluzione di vendette personali nei centri isolati della provincia. La pratica della delazione diventò prassi, costringendo interi nuclei familiari all’esodo per evitare lo sterminio.
La persecuzione della Chiesa cattolica
Ma anche per la Chiesa cattolica, i cui sacerdoti in maggioranza seguivano le regole della Teologia della liberazione, venne il tempo della persecuzione. Preti, catechisti, attivisti si trovarono sotto il mirino dell´esercito, in una offensiva che non aveva precedenti nel conflitto guatemalteco. Il vuoto lasciato dai ranghi cattolici venne approfittato dalle sette evangeliche, la cui opera venne facilitata dall’esercito che contava, in questa maniera, di esercitare un controllo pressoché assoluto sugli individui. Gli evangelici trasmettevano un messaggio di sottomissione, che incolpava le vittime del loro destino e obbligava all’obbedienza cieca all’autorità, senza possibilità di critica o di discussione: il pastore, il sergente, il presidente dettavano la legge religiosa e politica. Il rito, poi, era una vero e proprio sfogo di massa, dove decine di persone si prostravano davanti al pastore a chiedere il perdono di quanto stava accadendo, oramai convinti che ogni disgrazia che cadeva su di loro fosse stata designata da Dio per il loro comportamento licenzioso. La lezione di Ríos Montt era stata appresa a dovere.
La visita di Papa Giovanni Paolo II nel marzo del 1983 fu salutata con sei fucilazioni e con un disprezzo generale verso le autorità cattoliche. Il Papa, ciò nonostante, invece di condannare apertamente e duramente Ríos Montt durante la sua omelia, fece un discorso generico, condannando l’ingiustizia, l’odio e la violenza. Ríos Montt approfittò del blando discorso papale per dichiarare che il Papa era un alleato nella crociata di moralizzazione. Il clero locale, che però viveva sulla propria pelle la repressione, si schieró apertamente due mesi più tardi contro il regime, con la Lettera pastorale “Confirmados en la Fe”.
Anche Ronald Reagan visitó il Guatemala, ai primi di dicembre del 1982. Il presidente Usa fece pubblicamente le sue felicitazioni al dittatore: ¨il presidente Ríos Montt é un uomo di grande integritá… il suo scopo é quello di migliorare la qualitá di vita del popolo guatemalteco promuovendo la giustizia sociale¨. Con amici cosí, Ríos Montt era sicuro che il suo governo sulla terra dei Maya sarebbe durato in eterno. Invece, con il passare dei mesi, l’affiorare dei cadaveri mal sepolti, la repressione all’estremo, il culto sfrenato alla personalità cominciarono a debilitare la figura del dittatore. Un gruppo di militari, guidati dall’allora Ministro della Difesa, Oscar Mejía Víctores produsse un nuovo colpo di stato, l’8 agosto 1983. Nessuno si mosse per salvare la dittatura di Ríos Montt. Il suo furore messianico era durato sedici mesi ed aveva cambiato radicalmente il Guatemala esacerbando la guerra e creando nuove fratture nella società, fratture che ancora oggi rimangono aperte e che difficilmente potranno essere rimarginate. Secondo i rapporti dell’Onu e del Rehmi, durante il regime di Ríos Montt morirono almeno tremila persone al mese, quasi cinquantamila durante l’intero periodo.Il potere dopo il potere
Nemmeno il colpo di stato di Mejía Víctores riuscí però ad allontanare Ríos Montt dal potere. L’ex generale giá nel 1986 poteva contare con 250 congregazioni della sua chiesa sparse su tutto il territorio nazionale. Alla fine della decada degli anni Ottanta –quella conosciuta come la década perdida-, con la guerra ancora in corso ma con il paese che finalmente aveva preso la strada della democrazia, Ríos Montt riuscì a presentarsi ai guatemaltechi nella veste di politico democratico e consono ai tempi. Eliminata la divisa, ha cominciato a vestire in giacca e cravatta, prediligendo i colori chiari, attento a mostrarsi sempre elegante e con i baffi ed i capelli ben curati. Nel 1990 ha fondato il Frente Republicano Guatemalteco, un partito che riprende in tutto e per tutto gli insegnamenti ed i precetti della Chiesa del Verbo. La sua influenza è stata tale che nel 2000 Alfonso Portillo, il candidato del partito, è stato eletto Presidente della repubblica. Neanche a dirlo, Portillo (un pluriomicida ricercato a lungo dalla giustizia messicana) si é rivelato come il peggior presidente nella storia guatemalteca (e ce ne vuole…): corruzione, peculato, riciclaggio sono alcuni dei capi di imputazione. Incarcerato e poi rilasciato, è ora in attesa dell’estradizione negli Stati Uniti.
Ríos Montt, inabilitato dalla Costituzione a presentarsi come candidato alla presidenza della Repubblica, il grande vecchio della politica guatemalteca è stato però presidente del Congresso durante l’amministrazione Portillo, controllando di fatto, ancora una volta, il paese. Nemmeno il tentativo della Menchú di portarlo davanti a una corte spagnola è riuscito a smuoverlo e la magistratura iberica ha dovuto riconoscere di non poter intervenire in questo caso, come invece aveva fatto con Pinochet e con il suo connazionale Mejía Víctores.
Come Presidente del congresso ha fatto e disfatto leggi, dimenticandosi a suo piacere del motto di “non mentire, non rubare e non abusare” che lo ha sempre accompagnato da quando ha smesso i panni del generale golpista. Come nel caso della Legge sulle bevande alcoliche, che prevedeva una tassa che andava contro gli interessi dei suoi amici produttori di liquori. Non ci ha pensato due volte e, istruiti i suoi scagnozzi, ha fatto sparire non solo il testo della legge, ma anche le registrazioni audio e visive della sessione in cui il Congresso votava la legge, nonchè la registrazione tachigrafica. Credendosi Dio ha cancellato tutte le prove materiali di una votazione congressuale, pensando in questa maniera di cancellare una legge della Repubblica. Nel suo delirio di onnipotenza, Ríos Montt aveva pensato di poter eliminare un giorno nella vita dei guatemaltechi.
Nel 2003, a settantasette anni suonati, è tornato in campagna elettorale. All´Associated Press, ha ricordato ancora una volta di essere il leader di una crociata morale: “la severa moralità è ciò che ha fatto grande gli Stati Uniti. Quello che manca al Guatemala è una cultura dei valori”. Ha fatto la campagna spostandosi in elicottero, giungendo dove i suoi contendenti non sarebbero mai riusciti ad inoltrarsi. Ogni suo comizio era uno show di predicazione evangelica: “Siamo tutti figli di Dio ed io sono il suo umile servo”, era il suo motto d’inizio. Dagli altoparlanti, intonava una musica di inni cristiani. Circondato da militari e da guardiaspalle, vestito rigorosamente di bianco come l’angelo che crede di rappresentare, parlava di come Gesù Cristo lo abbia sempre guidato per ricomporre un paese perduto nella degenerazione. Ad una giornalista che gli ricordava gli eccidi consumati durante il suo governo golpista, ripeteva che non aveva nulla da rimproverarsi: “Non ne ho mai saputo nulla. Nessuno mi ha mai informato”. E a chi lo incalzava rispondeva duramente: “Ci sono stati momenti in cui, forse, abbiamo esagerato. Ma io non ho mai commesso atrocità”. Nel 2007 è riuscito a farsi eleggere in Senato, rimandando ancora una volta l’inevitabile appuntamento con il destino di un’aula processuale, destino al quale non potrà opporsi il prossimo marzo.