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Letture per l’inverno/6: La lotta di Guaman Poma per i diritti del suo popolo negati da Sendero quattro secoli dopo, di Gimena Fernández

Creato il 27 febbraio 2012 da Eldorado

Gimena Fernández, argentina, laureata in Filosofia all’Università di Bologna, dal 2004 si occupa delle popolazioni autoctone peruviane. Attualmente a Parigi, all’Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales (EHESS) sotto la direzione di Carlo Severi, ritorna sul blog Eldorado dove era già stata ospite in agosto: http://www.mauriziocampisi.com/letture-per-lestate5-viaggio-tra-passato-e-futuro-nei-luoghi-di-guaman-poma-de-ayala-di-gimena-fernandez/. Le foto dell’articolo sono del fotoreporter Lillo Rizzo (http://lillorizzo.wordpress.com/).

Letture per l’inverno/6: La lotta di Guaman Poma per i diritti del suo popolo negati da Sendero quattro secoli dopo, di Gimena Fernández
Un anno fa, in questo stesso blog, Maurizio Campisi pubblicava un articolo sulla morte mai avvenuta di Sendero Luminoso (SL). Poco più di un mese fa, il 20 gennaio, il Jurado Nacional de Elecciones –JNE (Comitato Nazionale per le Elezioni) ha negato per la seconda volta la richiesta d’iscrizione come partito politico al Movadef (Movimiento por Amnistía y Derechos Fundamentales), erede della parte “acuerdista” dell’ex-movimento (sostenitori di Abimael Guzmán e del “pensamiento Gonzalo” disposti a tentare la via politica). Le firme ora sono 350.000, di cui, secondo l’analista ed esperto di terrorismo Carlos Tapia, 5 mila o addirittura 8 mila appartengono al Partido Comunista del Perú – Sendero Luminoso (PCP-SL). Come conseguenza, il 25 gennaio, Perù Posible, il partito dell’ex-presidente Alejandro Toledo, ha cacciato una sua affiliata, Martha Páucar Carrillo, fondatrice del Movadef. Il Ministro di Giustizia e Diritti Umani, Juan Jiménez Mayor, sottolinea che “non c’è posto nella democrazia per gruppi che ricorrono alla violenza”. E molti si chiedono come mai, soprattutto i giovani, possano aderire alle sue fila.

Un fatto che fa riflettere

La cifra è impressionante e dovrebbe preoccupare anche in Europa, dove, come dice Maurizio nel suo articolo, “non se ne parla quasi mai”. A differenza dei giornali peruviani, dove se n’è sempre parlato, soprattutto in seguito alla escalation di attacchi da parte di Sendero a basi militari e convogli in questi ultimi tre anni. Ne parlano ininterrottamente, almeno da novembre 2011 e in quest’ultima settimana, dopo la cattura del “camarada Artemio” nella zona del Huallaga, capo dei “centristi” (quella parte di SL che rifiuta la via politica, non rinuncia alle armi ma neanche ai negoziati). Restano sempre in agguato il “camarada José” e il “camarada Alipio” nel VRAE, la valle tra i fiumi Mantaro, Apurímac ed Ene, la zona di più difficile accesso anche per l’Esercito e controllata dal narcotraffico. Sono il terzo gruppo di quello che era una volta SL. Si ritengono i veri eredi del “pensamiento Gonzalo” e si autodenominano “proseguir”, cioè coloro il cui unico scopo è quello di proseguire la guerra. È di qualche giorno fa (19 febbraio) la notizia che il “camarada José” tenta di prendere il comando del Huallaga e arrivare fino a Junín, infiltrandosi attraverso Satipo, La Merced, Cerro de Pasco, Huánuco y San Martín, una valle che, insieme a quella del VRAE, produce più del 50% di foglie di coca e cocaina di tutto il paese. Ma sta anche cercando una nuova via della droga verso il sud, verso la Bolivia, attraverso Andahuaylas e i dipartimenti di Cusco e Puno.

Letture per l’inverno/6: La lotta di Guaman Poma per i diritti del suo popolo negati da Sendero quattro secoli dopo, di Gimena Fernández
Pochi giorni fa, il 16 febbraio, c’è stato l’ultimo attacco di SL a una base militare a Unión Mantaro, in provincia di Huanta, ad appena due ore da Ayacucho. Sembra che sia stato ordinato dal “camarada Alipio”. Penso alle mie comunità, a quelle che furono di Guaman Poma, che si trovano a solo quattro ore dal luogo dell’attentato. Penso che tutto è cominciato a Chuschi nel 1980, in provincia di Cangallo, sempre dipartimento di Ayacucho, con l’incendio delle urne elettorali da parte di SL, decretando con quel gesto antipolitico il passaggio all’azione terroristica. Durante il mio soggiorno ad Ayacucho ho conosciuto una ragazza di Chuschi che si trovava lì per lavoro. Mi ha raccontato della sua famiglia, dei suoi lavori d’artigianato locale mai venduto a turisti che non ci sono, della sua comunità, povera e dimenticata. Dal suo racconto, Chuschi potrebbe benissimo somigliare alle comunità della valle di Sondondo, a quei luoghi sperduti e di difficile accesso di cui ho già parlato quest’estate, che non interessano quasi a nessuno. Prede facili, i suoi abitanti, di lingua e cultura quechua, zone propizie per chi vuole agire indisturbato. Già nel 2009 era diventato serio il problema dei quasi 40.000 ronderos (gli abitanti a capo delle ronde contadine) nel corridoio della droga, nel VRAE, la maggior parte di loro cocaleros e ancora armati, abbandonati dallo Stato e alleati col narcotraffico. All’epoca avevamo intervistato ad Ayacucho  il “comando Koki” – ex-rondero e tra i primi fondatori dei comitati di Defensa Civil Anti-subversivos-DECAS (Difesa Civile Anti-sovversivi) che lottarono contro SL – e il Maggiore César Vásquez Guevara, presente nel 1987 a Tambo, provincia di La Mar. Già allora ci avvertivano del pericolo che gli altri 700.000, preparati militarmente e sempre armati, potessero essere pronti a combattere contro lo Stato, se non si fossero sentiti protetti e garantiti. Ci avevano parlato di uno “stato di calma apparente”.

Il palesarsi del narcotraffico

Nella valle di Sondondo non si produce coca, il clima e l’ecosistema non lo permettono. Ma quella che si chacha (mastica) proviene dalle zone VRAE, passando per Ayacucho. Qui, il cambiamento è tangibile. Nel mio primo viaggio nel 2005 si vedevano in giro solo macchine vecchie. Quattro anni più tardi, nel 2009, sfilavano per le vie della città delle 4×4 da migliaia di dollari, ben al di fuori dalla portata della maggior parte della popolazione locale. Erano l’evidenza che i soldi del narcotraffico erano arrivati anche in città. E non solo. Anche i rituali si trasformano. Durante le feste patronali e non, da quelle della Settimana Santa a quella dell’acqua (la yaku raymi), i mayordomos, gli incaricati di preparare la festa, fanno sfoggio e ostentano sempre più il loro potere economico. Sia ad Ayacucho che nelle comunità. Soprattutto coloro che sono originari, che risiedono fuori la maggior parte dell’anno e che vi fanno ritorno solo in quell’occasione. Preparativi troppo costosi, a volte migliaia di dollari spesi che non si sa da dove provengano, per cui sorge immediato il sospetto che dietro tutto questo ci possa essere il narcotraffico.

Ricordo di un massacro

Triste da pensarsi, ma dopo i sanguinosi ed efferati eventi vissuti tra il 1980 e il 1993 portati avanti sia dall’Esercito che da SL e che lasciarono 69.280 vittime, la maggior parte tra queste comunità, resta il sospetto. Sospettano di tutti, anche di chi, universitario come me, raggiungono questi posti lontani nel tempo e nello spazio nell’ambito di una ricerca scientifica e si sentono chiamare “spie”. Inoltre, il portare con me un fotografo potrebbe essere visto come una copertura. Ovviamente si è trattato di un episodio isolato, mai più ripetutosi durante il mio soggiorno, nel corso di una festa in una comunità vicina a quella che avevo scelto come base. Quindi, in “paese”, non eravamo conosciuti da tutti e si mormoravano voci. Mi ricordo che quando commentai il fatto a chi veramente ci conosceva a Cabana Sur, tutti mi dissero di non preoccuparmi, che forse era qualcuno ubriaco ma innocuo. Forse, poi pensai, era qualcuno che continuava a ubriacarsi oltre il limite del festeggiamento e del significato antropologico dell’alcol nelle celebrazioni rituali, che favorisce la comunicazione coi morti e permette la transizione tra i diversi cicli, per alleviare il dolore causato dalla perdita di una persona cara. Sono arrivata in questa valle e mi hanno accolto tra queste comunità sofferenti. Soffrono nel presente per la loro povertà, per la mancanza d’infrastrutture e di visioni per il futuro dei loro figli, costretti a migrare in mancanza di alternative. Soffrono anche per le perdite del passato durante quel periodo nefasto della recente storia del Perù. Sono andata alla ricerca di una memoria lontana di cinque secoli e oltre, i cui echi si ritrovano ancora nel vivere quotidiano, e ho trovato una memoria di pochi decenni, che fa male, fatta di episodi di paura, di violenza, di negazione, di abbandono. Per chi transita nella regione di Ayacucho, è impossibile non venire a conoscenza di questi fatti. Non solo al ricercatore, ma capita anche al semplice turista (quasi sempre peruviano, essendo pochi gli stranieri che si avventurano in queste terre, soprattutto all’infuori del periodo della Settimana Santa) che, seduto su uno scalino di una chiesa o in una panchina nella piazza centrale a riposarsi, venga affiancato da qualcuno che inizi senza un perché a raccontargli la sua storia. Il racconto diventa più sofferto e drammatico specie durante le feste, sotto l’influsso dell’alcol, al punto da arrivare alla compassione, nel senso latino del termine, fino a sentire il dolore sulla propria pelle, le lacrime di rabbia e d’ingiustizia. pronte ad esplodere. Tra le tante storie, voglio ricordarne una, quella del “Expreso de la muerte” (Espresso della morte). Il 16 luglio 1984, nei pressi di Soras (Sucre, Ayacucho), l’autobus interprovinciale “Expreso Cabanino”, proveniente da Lima, venne preso d’assalto da un gruppo di 30 o 40 membri di SL, armati di fucili e machete. Una volta a bordo e travestiti da militari, percorsero l’ultimo tratto del tragitto abituale. A ogni fermata, scesero e uccisero per vendetta i contadini che si opponevano al movimento. I senderisti assassinarono brutalmente più di 100 persone e gettarono i loro corpi in oltre 34 posti dispersi. Nel 2009 la Comisión de Derechos Humanos-COMISEDH (Commissione per i Diritti Umani ) fece i primi sopralluoghi a Pallca-Chalapuquio, nel distretto di Chipao (Lucanas), per dare inizio alle esumazioni tra il 21 settembre e il 18 ottobre dell’anno successivo. Ventotto anni dopo, lo scorso 31 gennaio, a Soras, sono stati consegnati ai familiari i resti delle ultime quattro vittime. L’”Expreso de la muerte” rimane il più grande massacro perpetuato da SL. Al comando di quest’azione vi era un certo “camarada José”.

I luoghi del percorso

Letture per l’inverno/6: La lotta di Guaman Poma per i diritti del suo popolo negati da Sendero quattro secoli dopo, di Gimena Fernández
A Soras non ci sono arrivata, ma è nei miei progetti raggiungerla attraverso il camino inca che parte da Aucarà. Ci vogliono diversi giorni di cammino e delle ottime guide già predisposte ad accompagnarmi, che aspettano soltanto il mio ritorno. Dovrò prepararmi fisicamente e psicologicamente per un viaggio del genere, che non so quando avverrà, dovrò essere pronta. Sempre a Soras, nove mesi prima che ci inoltrassimo nella valle nel 2009, è stato ritrovato il corpo senza vita di un archeologo. Dicono vittima di un furto, oppure di credenze locali (vedi il pistaco in Perù o lik’ichiri in Bolivia, incarnati in stranieri che uccidono gli umani per ricavarne il grasso). Questo posto è una tappa obbligata nel mio percorso: Guaman Poma era capac apo (capo di comunità) dei Lucanas, Andamarcas e Soras. In quelle zone ebbe luogo nel 1564 il movimento del Taki Onqoy, in quechua “la malattia del ballo”, forma di protesta contro la religione cattolica che proclamava il ritorno delle huacas (esseri sacri e avi) sotto forma di danza seguita da trance, da cui derivano gli attuali dansaq o “danzantes de tijeras”. Guaman Poma partecipò alle campagne contro l’idolatria alla fine del XVI secolo per debellare il movimento, facendo da guida e interprete agli spagnoli. Abbiamo anche cercato di raggiungere la valle di Sondondo da Ayacucho via Querobamba, ma avendo spostato di quasi un mese la date del nostro viaggio, era sconsigliabile percorrere quella strada in terra battuta che in epoche di pioggia diventa come il sapone. Comunque, casomai avessimo percorso quella rotta, eravamo già stati avvertiti di non spostarci dopo il tramonto e di mandare una mail o fare una telefonata massimo ogni due o tre giorni. Era l’aprile del 2009.

Un imperativo categorico

Vedere la presenza di Etecsa Expreso Cabanino una volta a settimana mentre suona il suo clacson per avvertire gli abitanti di Cabana, Andamarca, Ishua che si parte per Lima mantiene vivo il ricordo di quel massacro, anche in chi, come me, non c’era. Movadef si presenta come partito difensore dei diritti umani contando sul vuoto di memoria dei giovani, che non conoscono neanche la storia e che non sanno che quel “Artemio” appena catturato era a capo di una colonna di quello che fu un movimento illegale. Di quali diritti possono parlare dopo stragi come quelle di Lucanamarca, l’Expreso Cabanino e tante altre, essendo stati loro a negare il primo diritto fondamentale dell’uomo, quello alla vita? Come comunità scientifica, dobbiamo impedire che queste manifestazioni antipolitiche che minano ogni democrazia allarghino il consenso. Diffondere ampiamente queste notizie diventa il nostro imperativo categorico. Perché la storia non si ripeta.


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