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Lezione di tecniche di vendita a una classe di un istituto commerciale. Avevo una seconda, che di solito implica un'età che si aggira intorno ai quindici anni, e invece in quell'istituto la media per le seconde si alza a diciassette. Qualcuno arriva a scuola in macchina (nel senso che la guida). Quando chiedo ai ragazzi la motivazione che li ha spinti a iscriversi a quella scuola, la risposta corale è: "Perché è la più facile". Sarà, ma questi qui fanno lezione fino alle cinque del pomeriggio. Hanno rientri pomeridiani praticamente ogni giorno. Sono sempre stravolti. Mi domando dove stia tutta sta pacchia. Cioè, sono io che me la godevo al liceo classico, dove finivo a mezzogiorno tre giorni la settimana e gli altri all'una. Okay che poi a casa dovevo studiare, ma almeno avevo tutto il pomeriggio.Comunque. Cerco di impostare la lezione in modo che mi riescano a seguire tutti. Quindi parlo come se mi rivolgessi a mio figlio di quattro anni. E nonostante questo, c'è qualcuno che rimane indietro. Di solito quelli con la macchina, perché probabilmente pensano a quando devono fare la revisione. Una ragazza, nel mezzo della spiegazione, alza risoluta la mano per chiedere la parola. M'illumino d'immenso. Mi sarà capitato due volte in tutta la mia (per fortuna) saltuaria vita da docente di rispondere a domande di studenti particolarmente attenti."Prof, posso andare in bagno?"Ecco. Sono la solita ingenua."Speravo avessi qualcosa di più intelligente da chiedermi"."No - ride - no, no".Improvvisamente comprendo tante cose. Comprendo tutte le facce che ho visto nella sala insegnanti, quei tic nervosi dei docenti di ruolo, che magari sono vent'anni che insegnano in quella scuola. Comprendo la vicepreside che urla la sua frustrazione agli altri professori. Comprendo il bidello che rincorre gli studenti con la ramazza. E quindi, in definitiva, comprendo anche tutta la situazione italiana.Proseguo imperterrita con esempi, casi pratici, citazioni da film di serie B, e alla fine, arrivata al capitolo "cliente", chiedo:"Qualcuno mi sa fare un esempio di stereotipo di un professionista, mettiamo di quarant'anni, maschio?"Silenzio. Ma non di quei silenzi carichi di tensione, come quando la professoressa d'italiano chiedeva a quale verso della Divina Commedia siamo arrivati. È un silenzio sereno. Indifferente direi."Sapete cos'è uno stereotipo vero?"Un'altra ragazza alza la mano. Stavolta non mi frega. "Vai pure"."Allora, stereotipo significa..." E inizio a spiegare. Come se questo servisse a qualcosa.Dopo tipo mezz'ora, tra uscite in bagno, dissertazioni terminologiche e divagazioni sul tema, torniamo alla mia domanda iniziale: lo stereotipo del professionista maschio di quarant'anni.I ragazzi adesso sono pronti. Reattivi. Hanno messo via i telefonini. Sono presenti e iniziano a rispondere con dovizia di particolari."Si veste in giacca e cravatta"."Guida una Mercedes o una BMW, o un'Audi"."Va in vacanza ai Caraibi".Il bullo della situazione dice la sua: "È stronzo".Una ragazza, con sguardo malizioso risponde: "Ha un sacco di donne. Oppure è sposato e ha l'amante".Raccolgo la sfida e rilancio: "E se invece si tratta di una professionista donna?"Unanimi, e quasi stupiti dall'idiozia della mia domanda, mi rispondono tutti: "È uguale!"E io, improvvisamente, sento di amarli.
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