C'è qualcosa di insito nell'animo umano e che spinge ad una dimensione più grande di sè. C'è un richiamo inesorabile che ci vuole portare verso l'infinito. Non per impeto di superbia, a voler sorpassare il tempo e lo spazio, ma quasi come escamotage alla consapevolezza di essere invece esseri perfettamente finiti. Non so se sia possibile definirla quindi umiltà in un qualche modo, perchè comunque con quest'idea di inifnito non possiamo non misurarci.
"...Time doth transfix the flourish set on youth
And delves the parallels in beauty's brow,
Feeds on the rarities of nature's truth,
And nothing stands but for his scythe to mow:
And yet to times in hope my verse shall stand,
Praising thy worth, despite his cruel hand."
[...] Il Tempo trafigge il fiorire della giovinezza / e scava solchi sulla fronte della bellezza/ nutrito dalle rarità della natura / e nulla può impedire alla sua falce il movimento / Eppure la mia poesia potrà impedirlo/ lodando il tuo valore, nonostante la sua crudele mano.
Non c'è umiltà in Shakespeare e nella sua consapevolezza che "...nothing stands (...) my verse shall stand (...)". L'inesorabilità del tempo è un dato di fatto e lo scorrere del tempo è un fatto. Non ci si pone il dubbio che qualcosa possa davvero arrestare questa corsa ma si sottolinea come solo la poesia può resistere all'inarrestabile falce del tempo.
Il dato del tempo che scorre e che finisce per tutti, è qualcosa che ritroviamo ovunque. Diverso invece è l'atteggiamento nei confronti di questa verità. Andrew Marvell sembra prendere il tutto molto più alla leggera, quando invita la sua amata ritrosa a non abusare del poco tempo a loro disposizione, e di concedersi di gustare i piaceri che possono, qui e ora. Perchè l'eternità non è una dimensione umana.
"Had we but world enough, and time
This coyness mistress were no crime. [...]"
Se avessimo tempo e spazio a sufficenza / la vostra ritrosia, signora, non sarebbe un delitto.
Marvell si rivela subito come infinitamente più "godereccio" del suo predecessore. Il tempo non gli basta, vuole anche lo spazio a sua disposizione per esprimere in pieno tutta la sua devozione alla donna amata, o almeno questo è quello che le dice per convincerla. In una frase in cui anche la grammatica partecipa al sentimento, esprime tutta l'ipoteticità di questa condizione "avessimo.... / sarebbe...". Ma così non è. E non è l'infinito che invoca Marvell, ma un semplice "abbastanza". Non c'è abastanza mondo e tempo per potersi perdere in vaghi corteggiamenti. La frase ipotetica e il suo continuo ci fan pure capire che se ci fosse, saprebbe bene come impiegarlo.
"But at my back I always hear
Time's winged chariot hurring near; [...]"
Ma alle mie spalle sento sempre /l'avvicinarsi precipitoso del carro alato del tempo;
Quel "but" dissipa ogni dubbio. Il tempo non è fermo immobile a guardarci ed aspettarci. Ma corre, si affretta ed è alato, se qualcuno ha ancora dubbi sulla sua velocità. Quindi è ora che dobbiamo vivere, è ora che dobbiamo inseguire le nostre passioni.
"[...] Now therefore, while the youthful hue
sits on thy skin like morning dew,
[...] Now let us sport us while we may[...]
Ora quindi, mentre la giovinezza colora /la tua pelle come rugiada del mattino/ ora divertiamoci finchè possiamo
Ora, ora, ora, ripete il poeta come un mantra. L'unica cosa su cui possiamo avere un controllo è il nostro presente e l'uso che ne facciamo. L'invito a godersi le gioie della giovinezza si conclude quasi sornione con gli ultimi due versi:
"[...]Thus, though we cannot make our sun
Stand still, yet we will make him run."
Così, dal momento che non possiamo fermare /il nostro sole, allora lo faremo correre.
In fondo noi non siamo Giosuè e non possiamo fermare il sole, ma possiamo fare andare il tempo più veloce proprio godendoci ciò che ci è stato dato.
Marvell è decisamente più concreto di Shakespeare, non punta all'eternità, non chiede di forzare la sua finitezza di essere umano, ma vuole godersela fino in fondo, a questo punta. Al diem, all'oggi, rimanendo in questo ancorato alla sua finitezza, ma non per questo mortificato.
W. Shakespeare, Sonnet 60
A. Marvell, To His Coy Mistress
Le traduzioni dei testi sono funzionali alla comprensione, e sono opera mia, pertanto vi chiedo di non servirvene senza informarmi.