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Li-miti dell'Amore: il Mito dell'antiedipo

Da Massimo Silvano Galli @msgdixit
Li-miti dell'Amore: il Mito dell'antiedipo Un altro mito molto attuale e insidioso per la coppia, è quello che potremmo chiamare “dell’Antiedipo”, pensando, con un certo qui funzionale riduzionismo, alla famosa vicenda narrata da Sofocle in "Edipo re", dove il sovrano di Tebe, dopo una serie di intricate vicende finisce, senza saperlo e con tutta la iattura del caso, per uccidere il padre e sposare sua madre Giacosa.

Il mito di Edipo si presta, infatti, a molteplici riflessioni che vanno ben al di là del popolare e superato complesso di lettura freudiana, riflessioni che potremmo più genericamente declinare quale pretesto narrativo per metaforizzare le dinamiche inconsce nelle relazioni intra-familiari. Tra queste metafore non farà dunque difetto il nostro prendere a prestito questa storia per rintracciarne una mitizzazione a mio avviso molto in voga, suppur nella sua veste rovesciata, nelle coppie contemporanee. Sofocle, attraverso la sventura di Edipo, ci racconta, anzitutto, la complessità che sempre si instaura nel rapporto con coloro che ci hanno generato e che, durante la nostra crescita, ci forniscono, soprattutto nei primi anni di vita, i pattern per leggere, interpretare e determinare il mondo; compresi quindi quei pattern che da adulti (insieme a componenti culturali, sociali, etc.) ci fanno ritenere una persona desiderabile. Si pensi agli stili di attaccamento primario postulati da Bowlby (di cui in questo blog abbiano già avuto modo di parlare diffusamente nei post: "Amare con stile" e nei successivi stili affettivi: "Secure", "Obsession", "Freezer" e "Stick") a partire dai quali il bambino configura i modelli di tutte le relazioni affettive future: nell'infanzia, come nell'adolescenza e nella vita adulta. La mamma, il papà, sono le prime persone con cui, in diversi modi, sperimentiamo l’innamoramento; le prime persone che desideriamo e da cui ci sentiamo desiderati; è quindi del tutto naturale, quasi meccanicistico, conseguente, che questo modo di desiderare e essere desiderati lo si trasporti anche nelle relazioni di coppia extrafamiliari di modo che, tra i vari fantasmi, le varie immagini, che cerchiamo nell'Altro ci sia, in qualche modo, per sovrapposizione o per opposizione, anche il fantasma della mamma o del papà.

Ci innamoriamo dell’Altro, dunque, proprio perché, insieme ad altre componenti, egli ci restituisce qualche elemento di quel rapporto amoroso, ingenuo e mitizzato che per la prima volta abbiamo conosciuto con i nostri genitori, e non per forza per similitudine, anzi, magari proprio cercando quello che avremmo voluto ma che mamma o papà non sono mai riusciti a darci.

L’Altro di cui ci innamoriamo diventa, allora, per noi, anche una sorta di tentativo di riavvicinamento con la figura materna o paterna, ma senza che questo abbia nulla di patologico, almeno fino a quando tale tentativo, tale ruolo, è amalgamato alla molteplicità dei ruoli in gioco nella relazione amorosa e tra questi in continua alternanza, affinché nessuno di essi si cristallizzi in rigide strutture monolitiche e dominanti.

Il fatto di avvertire una certa attrazione nell'Altro che amiamo che risenta, in qualche modo, della presenza dei nostri genitori, è del tutto normale; rischia di divenire insana solo laddove questa presenza si fa eccessivamente ingombrante o laddove se ne genera un suo azzeramento. Oggi, il riflusso di un certo femminismo che si manifesta in forme sempre più superflue e bislacche (mentre ha indietreggiato all'inverosimile rispetto ai suoi significati più civili e profondi, subendo e accettando una riduzione del femminile a carne da bordello o a forme di riproduzione machiste), insieme alla caduta verticale del ruolo del maschio (le cui reazioni violente all'avvicendarsi del femminile, come soggetto storico libero e indipendente, non sono che il segnale più evidente di questo declino) sembrano fare emergere sempre più frequentemente il rifiuto di darsi in forme materne e paterne nella relazione con l'Altro che amiamo.

Il legittimo sbotto: “Io non sono mica tua madre,” di certe donne esasperate, pare oggi sintetizzare, insieme al rifiuto, la difficoltà e l'incapacità di ricoprire quel ruolo, valicando ogni confine di genere e di senso, fino a negare, sia nei maschi che nelle femmine, non solo la possibilità ma finanche la necessità (per citare solo alcuni archetipi) di essere maternamente accolti e paternamente protetti.

In questo senso parliamo del mito dell’Antiedipo, ossia di una sorta di opposizione o difficoltà a ricoprire nella relazione di coppia il ruolo della madre o del padre (e non per forza vincolati per genere), di restituire, cioè, costruttivamente all'Altro quei modelli interiorizzati di cura, accoglienza, disponibilità, tenerezza per quel che concerne il materno e, per quel che attiene al paterno: di protezione, responsabilità, sicurezza, forza, che avevano caratterizzato la nostra vita infantile e che anche nella relazione più matura desideriamo, in alcune situazioni, ritrovare per avere conferma profonda del nostro essere desiderati.

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