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Libano, tra leggenda e realtà

Creato il 07 febbraio 2013 da Ilnazionale @ilNazionale

libano 3 8 FEBBRAIO - Già il profeta Oshea, i cui scritti risalirebbero al settimo secolo avanti Cristo, nell’Antico Testamento citava la bontà dei vini del Libano, il paese dei cedri, che, ahimè, oggi sono sempre meno presenti, a causa delle svariate guerre che ne hanno portato al taglio, per ragioni militari, delle cime frondose: “Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente, poiché la mia ira si è allontanata da loro. 6Sarò come rugiada per Israele; fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano, si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell’olivo e la fragranza del Libano. Ritorneranno a sedersi alla mia ombra, faranno rivivere il grano, fioriranno come le vigne, saranno famosi come il vino del Libano” (Osea 14, 5-8). Ci sono nella Bibbia espressioni e immagini che si possono cogliere appieno soltanto immergendosi nella geografia delle terre, dei mari e dei monti delle regioni in cui è nato il testo. Se dal mare o da qualunque luogo dei territori corrispondenti agli attuali Siria e Israele si guarda verso il Libano, ciò che lascia un’impressione profonda sono le imponenti catene montuose, con cime che, superando i 3.000 metri, si stagliano contro il cielo. Per i popoli delle regioni circostanti, abituati a climi torridi e a piane spesso desertiche, la visione di questi monti ha sempre suscitato timore e riverenza. Molti racconti ugaritici e mesopotamici fanno così delle cime libanesi dell’Ermon luoghi mitici e popolati da divinità. Data la loro altezza, esse sono spesso ricoperte di ghiacci e nevi, e questo fatto è all’origine del nome della regione. Laban nelle lingue semitiche è radice che significa “bianco” (oggi in arabo indica, ad esempio, il latte) e da qui il nome Libano. Io ci sono stato nella Chateau Valley libanese, in quella Bequa governata da Hizbollah dove siamo stati trattati come fratelli, anche perchè italiani. E i vini sono veramente fantastici: Chateau Musar, Chateau Xsara, la mia “casa” libanese Kefraya. La Bekaa sembra la Valpolicella: colline digradanti che si spingono sino a quasi mille metri, dove predomina l’antica cultura della vite ad alberello, e non viene data acqua.  Se si chiudono gli occhi per un attimo e li si riapre, si ha la sensazione  di essere davvero in un qualsiasi luogo del Mediterraneo viticolo, come la Valpolicella o le colline senesi.

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“Noi mediterranei viviamo sempre della stessa luce”, scriveva Camus. Grande è l’ospitalità, la cucina libanese e le tradizioni di un paese che fa dell’accoglienza e della cultura uno dei suoi must. E il culto di dioniso pare sia stato importato in Grecia proprio dal Libano.  Scrive il professor Patrick E. McGovern che l’ardimentosa ipotesi del passaggio dalla Fenicia (l’odierno Libano) a Creta troverebbe un’eco nell’inno omerico a Dioniso (probabilmente VI sec. A.c.), che afferma esplicitamente che Dioniso era giunto in nave dalla Fenicia.  Tra i reperti di Beirut ci sono ovviamente molte anfore vinarie e in particolare una di alabastro che Ida Oggiano ha  presentato ad un congresso e che originariamente conteneva probabilmente vino per la corte del re di Sidone. Dal Levante dunque la bevanda sacra si sarebbe irradiata dapprima in tutto il Mare nostrum per raggiungere poi luoghi inimmaginabili, come la Britannia, le antiche terre dei Vichinghi e il nuovo mondo, sino in Australia e Nuova Zelanda. Il Libano presenta uno stile di convivenza particolare, che si basa su un delicato equilibrio di forze e sembra stare in piedi quasi per miracolo. Come la Cupola del Brunelleschi costituisce la copertura della crociera del Duomo di Firenze: « Structura si grande, erta sopra è cieli, ampla da coprire chon sua ombra tutti e popoli toscani» dice l’Alberti nel De Pictura. Così è il Libano, la cui costituzione garantisce pari dignità a 19 etnie e 23 religioni diverse. All’incrocio di venti tempestosi, siamo andati a Beirut nel 2009, al termine dell’ultima guerra con Israele. Qui siamo stati ricevuti proprio a Baalbek, capitale della vallata piu’ fertile di questo spicchio di Mediterraneo che scende fino al fiume Giordano. Con tutti gli onori, grazie ad un progetto in collaborazione con l’ambasciata del Libano in Roma, per mostrare che vino e cultura di qualità affondano le stesse radici nell’unione di popoli giunti oltre tremila anni prima di Cristo dalla Valle dell’Indo. A Baalbek (il cui nome giunge dal dio Bahal, in sempiterna lotta con Yaweh per la supremazia nei cieli, patrimonio dell’umanità), situata ad est delle sorgenti del fiume Lītānī, ad un’altitudine di 1170 metri sul livello del mare, siamo rimasti sbigottiti nel vedere il santuario, i piu’ grandi
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templi costruiti dai romani e dedicati a Giove, Dioniso-Bacco, e di Venere. Qui gli Imperatori romani prendevano l’oracolo prima della campagna vittoriosa contro i Parti. Allora si chiamava Heliopolis. Qui  si può vedere ancora oggi una stele che traccia l’amicizia tra l’impero germanico e quello ottomano. Sempre qui, luogo di antichissima spiritualità, c’è la moschea azzurra di epoca Omayyaide.  Il complesso megalitico di Baalbek, in Libano, rappresenta per molti aspetti un vero e proprio enigma architettonico e culturale. Chiunque abbia costruito Baalbek, la prima cosa che stupisce visitando questo colossale complesso architettonico è l’estensione e la sua monumentalità, infatti, i tre megaliti che compongono il cosiddetto Trilithion ovvero le “tre pietre”, sono alti come una costruzione di cinque piani. Le pietre furono tagliate e trasportate da una cava non molto distante, dove in un momento successivo, fu ritrovato un quarto monolite, la cosiddetta Hajar el Gouble, Pietra del Sole, oppure Hajar el Hibla, o “pietra della partoriente”, ancora imprigionata nella cava e pronta per essere separata. Le sue dimensioni sono enormi: 21 metri di lunghezza, 10 di altezza e uno spessore di 5 m, il peso stimato è di circa 1.200 tonnellate e si ritiene che venne lasciata in sito in seguito a un errato calcolo delle dimensioni. Secondo l’archeologia ufficiale il sito attribuito ai Cananei risale all’età del bronzo, intorno al 2900-2300 BCE ed è dedicato alla triade Adad-Ishtar-Shamash. Anche il famoso ricercatore russo Zecharia Sitchin ne parla, secondo la sua opinione il sito è stato costruito da una razza aliena, gli Anunnaki provenienti dal pianeta Nibiru nel 10.500 BCE come affermano gli antichi testi sumeri; questi sono gli stessi giganti Nefilim descritti dalla Bibbia. Durante il dominio greco dei Tolomei la città fu ribattezzata Heliopolis, dedicata al Dio del sole greco Helios e a quello egizio Ra. Successivamente, durante il domino romano, la triade divina fu trasformata in quella di Giove-Venere-Mercurio, poi nell’epoca Neroniana, furono costruiti il tempio di Giove nel 60 CE, mentre allo stesso tempo fu costruito l’altare a torre d’avanti all’edificio. Nelle epoche successive, sotto i vari imperatori, Traiano, Antonio Pio e Caracalla, furono edificati il tempio di Bacco e il tempio di Venere. Infine ci fu Filippo l’Arabo nato a Damasco che costruì il cortile esagonale. Ma è evidente che i basamenti del colossale sito sono molto più antichi e non sono né di origine greca nè romana, dato l’uso di blocchi megalitici che costituiscono i templi, usanza non certo tipica di queste due grandi culture. Certamente vedendo le dimensioni dei blocchi la prima cosa che viene in mente sono ancora una volta le
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analogie con altri più celebri monumenti del mondo come i massi della piramide di Cheope, le mura ciclopiche di Cuzco in Perù, i menhir di Stonehenge o tanti altri monumenti megalitici ritrovati come abbiamo già accennato nei più svariati luoghi del mondo. La Bekaa, con capoluogo Baalbek, terra del dio Baal antagonista perdente di Yaweh, è una delle piu’ belle aree di vino al mondo, è la parte più settentrionale della Rift Valley, una area di frattura geologica della crosta terrestre che si estende dalla Siria fino al Mar Rosso ed all’Etiopia in Africa. Lunga circa 120 km, ha una ampiezza media di circa 16 km. Nella valle nascono due fiumi: l’Oronte (Asi), che scorre in direzione nord verso la Siria, dove la capitale  Damasco dista poche decine di  chilometri  dal capoluogo Baalbek, ed il fiume Litani, che scorre verso sud per poi piegare ad ovest verso il Mar Mediterraneo. I vigneti sono presenti in tutta la valle e i migliori vigneti terrazzati  si collocano tra i 900 e i 1100 metri di altezza.  Notevoli sono le storie di personaggi del mondo del vino, come quella di Michel de Bustros, signore di Kefraya, uomo di pace e di cultura, che, non senza lungimiranza e coraggio, ha iniziato a piantar vigna nel 1979, in piena guerra civile. Da allora non ha mai mancato una vendemmia, nonostante le varie guerre succedutesi, l’ultima delle quali, nel 2006, ha visto i suoi vigneti occupati dalle truppe israeliane.   

Carlo Rossi

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