di Pervinca Paccini
- È una delle iniziative che stiamo portando avanti, anche questa realizzata attraverso la collaborazione con il FestivaLetteraturaMilano. Per raccontarla, lascio la parola alla nostra autrice, che ha steso in presa quasi diretta queste note sull’esperienza. (c.a)
Carcere di San Vittore, terzo raggio. Oggi, 15 novembre, ore 10 e 30.
Si discute sul romanzo Viola di Pervinca Paccini, edito da Autodafé Edizioni, presentato una settimana fa in questa stessa stanzetta, stipata di partecipanti.
I commenti sul romanzo portano a interventi vivaci, non sempre controllati, ma pieni di entusiasmo. All’inizio i presenti parlano un po’ tutti insieme, hanno bisogno di dire la loro, di confrontarsi, di uscire dal ghetto.
Prendendo spunto dalla lettura, qualcuno affronta temi sociali, a volte con qualche pregiudizio, ma con grande ansia di partecipazione e di giustizia, espresse forse con ingenuità – anche se questa parola suona strana, qua dentro – ma che sono un chiaro segnale che queste persone ci sono, si sentono parte integrante della società, nonostante la reclusione.
Alcuni sono piuttosto informati, dimostrano di conoscere, almeno a grandi linee, ciò che succede nel mondo. C’è anche chi azzarda riferimenti personali, e in questo caso emergono la rassegnazione o più spesso la rabbia, espressa nei tentativi di scrittura o nella durezza di affermazioni provocatorie.
Quello che risalta è la critica alle condizioni di vita all’interno del carcere dove o si fa la doccia o si gode dell’ora d’aria, dove i prodotti acquistati presso la cooperativa di servizi costano molto di più di quanto costino fuori, dove ci si stringe in quattro in una cella troppo piccola in cui il gabinetto è a vista e l’igiene scarsa.
La lettura collettiva di un brano del romanzo porta l’attenzione sull’uso della violenza per far valere i propri diritti. Le posizioni sono diverse, a seconda delle esperienze e delle delusioni.
C’è chi spera in un riscatto sociale e in un futuro, e magari prova anche a progettarlo attraverso le attività legate alla biblioteca o alla legatoria che intanto riempiono il presente. Ma c’è anche chi non riesce nemmeno a immaginarlo, questo futuro.
Di sicuro la rabbia e la sfiducia trovano terreno fertile se le condizioni materiali non sono decorose, nonostante l’impegno dei servizi sociali e del volontariato che operano nel carcere.
Incontri come quello di oggi aprono la comunicazione, tendono un filo sottile fra il dentro e il fuori. È importante non spezzare questo filo.
Si discute sul romanzo Viola di Pervinca Paccini, edito da Autodafé Edizioni, presentato una settimana fa in questa stessa stanzetta, stipata di partecipanti.
I commenti sul romanzo portano a interventi vivaci, non sempre controllati, ma pieni di entusiasmo. All’inizio i presenti parlano un po’ tutti insieme, hanno bisogno di dire la loro, di confrontarsi, di uscire dal ghetto.
Prendendo spunto dalla lettura, qualcuno affronta temi sociali, a volte con qualche pregiudizio, ma con grande ansia di partecipazione e di giustizia, espresse forse con ingenuità – anche se questa parola suona strana, qua dentro – ma che sono un chiaro segnale che queste persone ci sono, si sentono parte integrante della società, nonostante la reclusione.
Alcuni sono piuttosto informati, dimostrano di conoscere, almeno a grandi linee, ciò che succede nel mondo. C’è anche chi azzarda riferimenti personali, e in questo caso emergono la rassegnazione o più spesso la rabbia, espressa nei tentativi di scrittura o nella durezza di affermazioni provocatorie.
Quello che risalta è la critica alle condizioni di vita all’interno del carcere dove o si fa la doccia o si gode dell’ora d’aria, dove i prodotti acquistati presso la cooperativa di servizi costano molto di più di quanto costino fuori, dove ci si stringe in quattro in una cella troppo piccola in cui il gabinetto è a vista e l’igiene scarsa.
La lettura collettiva di un brano del romanzo porta l’attenzione sull’uso della violenza per far valere i propri diritti. Le posizioni sono diverse, a seconda delle esperienze e delle delusioni.
C’è chi spera in un riscatto sociale e in un futuro, e magari prova anche a progettarlo attraverso le attività legate alla biblioteca o alla legatoria che intanto riempiono il presente. Ma c’è anche chi non riesce nemmeno a immaginarlo, questo futuro.
Di sicuro la rabbia e la sfiducia trovano terreno fertile se le condizioni materiali non sono decorose, nonostante l’impegno dei servizi sociali e del volontariato che operano nel carcere.
Incontri come quello di oggi aprono la comunicazione, tendono un filo sottile fra il dentro e il fuori. È importante non spezzare questo filo.