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di Gaetano ValliniLe squadre che affrontano e gli stadi in cui giocano non sono certo quelli prestigiosi della Champions League, nonostante che in passato non siano mancati — grazie alla fantasia di alcuni dirigenti locali — avversari con nomi tanto impegnativi quanto improbabili, come il Borussia. In realtà le partite sono quelle del campionato regionale dilettanti di terza categoria e i campi di calcio quelli polverosi della periferia romana e dei piccoli centri limitrofi. Ma per i giocatori della Liberi Nantes Football Club ogni partita ha il sapore di una finale, anzi, di una rivincita: una rivincita con la vita, con un’esistenza sicuramente difficile, finora avara di soddisfazioni e felicità. Perché loro, i calciatori, appartengono a una squadra davvero singolare: è l’unica in Italia — al mondo ne esiste solo un’altra simile, negli Stati Uniti — formata da persone vittime di migrazioni forzate, ovvero rifugiati e richiedenti asilo. Questa «nazionale dei senza terra» scende in campo con la maglia azzurra, il colore delle Nazioni Unite. E dietro lo stemma dell’Unhcr, l’agenzia che si occupa di rifugiati e profughi che ha concesso il patrocinio, si celano drammi legati a guerre, persecuzioni, violenze e soprusi di ogni genere. Ma anche la speranza di un futuro migliore. In fuga da un passato doloroso, con un’esistenza calibrata su emergenza e precarietà, per questi ragazzi la squadra costituisce non solo un’occasione di svago, ma soprattutto un importante momento di identità, di integrazione. Per novanta minuti possono dimenticare problemi e difficoltà, e sentirsi parte di qualcosa che è loro. «Il nuovo campionato non è ancora iniziato, non abbiamo ripreso gli allenamenti e dunque — ci dice la presidente della società, Daniela Conti — non sappiamo ancora quanti ragazzi avremo a disposizione per la prossima stagione. C’è sempre molto ricambio. Alcuni, quando riescono a ottenere lo status di rifugiati, lasciano Roma, e a volte anche l’Italia, per ricongiungersi con i familiari. Lo scorso anno i venticinque calciatori a disposizione arrivavano da Afghanistan, Eritrea, Guinea, Iraq, Nigeria, Sudan, Togo, Repubblica Centroafricana. Non escludo che ora si presentino ragazzi provenienti da Egitto e Siria» La nostra squadra è una sorta di termometro delle emergenze planetarie. Per questo è un pezzo significativo di mondo quello passato in questi sei anni sul campo di Pietralata, con oltre quattrocento ragazzi provenienti da più di trenta Paesi. Chiunque arriva qui può giocare, anche una sola volta, e si cerca di coniugare le necessità proprie di una squadra di calcio con quelle di uomini impossibilitati a pianificare il proprio tempo e più in generale il proprio futuro. I ragazzi che arrivano alla Liberi Nantes nella quasi totalità sono da poco in Italia, non hanno lavoro, vivono nei centri di accoglienza in attesa di ottenere il permesso di soggiorno. Attrezzature e materiali sono forniti dalla Liberi Nantes Asd, società nata nel 2007 grazie a un gruppo di amici appassionati di calcio, ma anche attenti ai problemi sociali. «L’idea — dice uno dei fondatori, Gianluca Di Girolami — nacque dopo la partecipazione ai Mondiali antirazzisti, manifestazione che si disputa da una quindicina di anni in Emilia Romagna. Ci si chiese che cosa si poteva fare per rendere quell’esperienza meno estemporanea e per portarne il senso anche a Roma. Si pensò così ai rifugiati, con l’intento di dare a queste persone, passate tra le mani di avidi e spietati trafficanti d’uomini, la possibilità di conoscere un’umanità diversa, capace di accoglienza, condivisione e ospitalità». Dopo aver vinto nel 2011 «L’Altropallone» — premio annuale alternativo al blasonato Pallone d’oro, assegnato a chi si adopera per uno sport equo, solidale, popolare, contro il razzismo e in favore del multiculturalismo e l’integrazione — la Liberi Nantes quest’anno si è vista assegnare dagli organizzatori dei Mondiali antirazzisti la «coppa degli invisibili», dedicata a persone a cui viene negato un diritto. Ebbene, a questa multinazionale del calcio è stato negato il diritto di salire sul podio. La scorsa stagione la squadra è arrivata seconda, ma solo virtualmente, perché, pur se regolarmente iscritta al campionato della Federazione italiana giuoco calcio, per il tetto agli extracomunitari non è ammessa a pieno titolo: di fatto, è fuori classifica; quando gioca la Liberi Nantes non ci sono punti reali in palio. Un premio di riparazione, dunque, che la società ha voluto dedicare a tutti gli invisibili, e sono tanti, che vivono ai margini di questo Paese. In particolare ai molti ragazzi nati in Italia da genitori non italiani, che non hanno diritto alla cittadinanza e quindi considerati stranieri, che trovano difficoltà a fare sport a livello agonistico, sia pure come dilettanti. Nel 2009 la coppa degli invisibili venne idealmente assegnata ai tanti, troppi senza nome morti nel Mediterraneo in cerca di un futuro migliore. Quelle migliaia di uomini, donne e bambini mai approdati sulle coste italiane, per i quali ha pregato e chiesto perdono il Santo Padre a Lampedusa. «Siamo grati a Papa Francesco — sottolinea Conti — per aver acceso i riflettori su questo dramma. E siamo certi che anche la visita al centro Astalli, che per noi è un punto di riferimento importante e con il quale collaboriamo tantissimo, servirà a puntare ulteriormente l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sul fenomeno. I migranti forzati sono forse i più invisibili. Occorre superare gli stereotipi e la logica dell’emergenza perenne. C’è assolutamente bisogno che la Chiesa da una parte e le istituzioni dall’altra mostrino la situazione reale, mettendo anche in rilievo l’opera importante degli operatori e dei volontari». Pur se di altre religioni, i ragazzi della Liberi Nantes guardano con interesse e fiducia al Papa. E alcuni di loro forse lo incontreranno nella sua visita al centro Astalli. Il Santo Padre potrebbe persino ascoltare qualcuna delle loro storie. Tutte in attesa di un lieto fine. Come quella di Diabaté, della Costa d’Avorio, che ora è mediatore culturale e, pur legato alla sua vecchia società, è riuscito a entrare in una squadra di una categoria superiore. Oppure quella Amadou, della Guinea, che gioca da quattro anni e che lavora con un contratto in un’azienda di prodotti biologici. O quelle di Fabrice, della Repubblica Centrafricana, e di Saravan, afghano, due dei veterani della squadra: il primo è il capitano, il secondo è addirittura diventato socio; loro però sono ancora alla ricerca di un’occupazione stabile e si arrangiano con lavori stagionali. Per molti il sogno è poter rientrare nel proprio Paese, riabbracciare i familiari e contribuire allo sviluppo delle comunità locali. Per tanti, però, il presente è ancora qui. E per loro, e per altri con storie analoghe, la Liberi Nantes rappresenta un’opportunità. Che da qualche tempo va anche oltre il calcio. La società, che da tre anni ha avuto in affidamento dalla Regione Lazio il campo «xxv aprile» nel quartiere di Pietralata, ha avviato, oltre a una scuola di italiano, anche una sezione di soft rugby, destinata a ragazze immigrate e romane, e un’esperienza di escursionismo, aperta anche questa al quartiere. Un modo per avviare sul territorio un progetto di integrazione e di educazione alla convivenza. Dunque, c’è tanto da fare. Soci e volontari sono impegnatissimi, ma i fondi sono pochi. «Ci servirebbe uno sponsor — conclude Daniela Conti — e sappiamo che questo è un brutto periodo. Ma noi continuiamo a sperare».(©L'Osservatore Romano – 11 settembre 2013)
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