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Il futuro, che fino a qualche anno fa sembrava mera fantascienza, è ormai diventato presente in divenire. Lentamente, ma inesorabilmente, stiamo infatti subendo un'invasione di forme e strutture tecnologiche altamente sofisticate, destinate a cambiare radicalmente la qualità della vita e a influire verso una metamorfosi antropologica nel rapporto uomo/macchina. In Italia non ce ne stiamo accorgendo perché il disastro generato da una classe dirigente mafiosa e incompetente ci sta velocemente rigettando in un passato che c'illudevamo estinto.
Quello che pensavamo futuro è già una realtà operante e presente perché è in atto un prodigioso sviluppo tecnologico robotico e cibernetico. I robot, il cui nome deriva da un'opera teatrale del 1920 del praghese Karel Capek, sono esseri artificiali, tecnoelettromeccanici, dalla morfologia che riconduce a sembianze umane; Capek li immaginò costruiti da uno zelante padrone di un'industria tech per sostituire gli operai umani nelle fabbriche. La cibernetica è una scienza applicata che si basa sullo studio delle analogie tra i princìpi di funzionamento delle macchine e le funzioni del cervello animale, specificamente umano, il cui scopo è la realizzazione di apparecchiature automatiche e strumenti elettronici.
A metà ottobre 2013 al museo delle scienze di Londra è stato presentato ufficialmente Rex, il primo “uomo bionico” interamente costruito e funzionante, fornito persino di un artificiale volto umanissimo. È la cibernetica applicata alla riproduzione degli organismi viventi che, seguendo minuziosamente le indicazioni strutturali della neurofisiologia e dell'elettrofisiologia, crea organi artificiali in grado di sostituire perfettamente quelli naturali controllati direttamente dal sistema nervoso. L'uomo bionico è una produzione artificiale tecnoelettronica capace di surrogare in toto un essere umano, ricostruito nelle sue parti e nelle sue funzioni.
Questo evento si combina perfettamente con l'apparizione di Baxter, ultimo perfezionamento di una presenza diffusa nei luoghi di produzione più avanzati da circa una decina d'anni, in costante e sistematico miglioramento e perfezionamento. Baxter è un robot, rapido efficiente e instancabile, che pesa quanto un uomo medio, 75 chili, progettato per muoversi con lentezza, cautela e in modo misurato. Ideale per esser rassicurati avendolo accanto. Il suo attuale costo di mercato è di 22.000 dollari, più o meno un anno di salario di un operaio. È intuibile che se la richiesta aumentasse fino ad assicurare una rilevante produzione in serie il suo costo si abbasserebbe di molto. Seguendo la programmazione elettronica che gli viene inserita, Baxter è in grado di lavorare 24 ore su 24 producendo in modo standard e con ritmo costante. Ha soltanto bisogno di un'indispensabile ordinaria manutenzione elettro/ingegneristica, che rappresenta perciò l'unico costo di gestione per il suo mantenimento.
Una combinazione insieme robotica e cibernetica destinata a far tendenza, a diffondersi ovunque nel giro di qualche decennio, fino a sostituire in grandissima parte il lavoro e lo spazio d'intervento umano. Alcuni dati ne danno conferma. Già nell'auto e nell'elettronica globali ci sono al lavoro 1,4 milioni di robot perfettamente efficienti e funzionanti. Robert Shapiro, esperto che ha lavorato sia con Clinton che con Obama, segnala che in Alabama dal 2010 un'azienda gode di un aumento di produttività di 300.000 freni in più all'anno senza aver assunto nessun altro operaio. Anche gli autori di Race Against the Machine (Come prosperare nell'era digitale), per esempio, sottolineano che fra il 2000 e il 2010 in America non ci sono state assunzioni e il numero di posti di lavoro è rimasto invariato.
Tutto ciò è perfettamente logico e conseguente per come sta andando il mondo. Se programmati in modo adeguato, i robot lavorano senza sosta e senza bisogno di illuminazione, producendo ai ritmi richiesti con regolarità e praticamente senza errori. Non mangiano, non hanno bisogno di dormire né di riposarsi, non hanno sentimenti né pulsioni che possano rendere ondivaghe le prestazioni, non vanno in ferie, non protestano, non fanno sciopero e non piantano grane. Se trattati nel modo giusto hanno una capacità di resistenza molto superiore a quella di un lavoratore in carne ed ossa. Perché non dovrebbero essere impiegati per sostituire mano d'opera umana, portatrice al contrario di un sacco di incognite e di beghe che fanno perdere tempo e denaro?
Progressiva emarginazione degli esseri umani È qui importante ricordare che in Verso una tecnologia liberatoria, saggio pubblicato all'interno di Post-scarcity anarchism, Bookchin già nel 1965, quando gli scenari attuali erano veramente fantascienza, affrontava con grande acutezza e una buona dose di preveggenza il rapporto tra tecnologia e libertà. Era convinto che se impiegata e pensata nel modo giusto la tecnologia può instaurare una nuova dimensione per la liberazione dell'uomo, perché è potenzialmente in grado non solo di liberare dai bisogni e dalla schiavitù del lavoro, ma anche di condurre a una forma di socialità libera, armonica ed equilibrata, ad una comunità di tipo ecologico che favorirebbe il libero sviluppo delle proprie potenzialità.
Oggi ciò non è possibile. Nell'era attuale, in cui si è raggiunto un livello di conoscenza di base elevatissimo, finanziando equipe di scienziati con a disposizione tutto il necessario per la ricerca si possono programmare e commissionare le invenzioni di cui si ha bisogno. “...il problema non è più la possibilità o meno di riuscire a realizzarli, ma la loro maggiore o minore convenienza dal punto di vista dello sfruttamento commerciale”, afferma lo stesso Bookchin in Post-scarcity anarchism a pagina 64. Ma chi può mettere a disposizione risorse tanto ingenti come richiedono ricerche così aggiornate? Soltanto gli stati, le università, le multinazionali, gli eserciti, le holding finanziarie, cioè chi gestisce la ricchezza interessato soprattutto a perpetuare il proprio potere e ad arricchirsi, là dove il dominio si può muovere liberamente in tutta la sua potenza. Questo spiega molto bene come mai, inequivocabilmente, gli indirizzi di ricerca e le produzioni tecnologiche siano sempre funzionali allo sviluppo capitalista e in perfetta sintonia coi modelli di potere imperanti.
L'intuizione bookchiniana, che andrebbe aggiornata perché è di un cinquantennio fa, mi trova concorde perché vuole spostare il problema collegandosi a una visione libertaria. Se una tale potenzialità a disposizione riuscisse a venire incontro alle esigenze di vita di tutti e a rispondere ai problemi sociali in modo comunitario, invece di essere al servizio dei potentati di turno, non saremmo soffocati dalla colonizzazione tecnologica imperante. Non ci troveremmo, come di fatto sta avvenendo, subissati da un aumento di schiavizzazioni del lavoro, da un impoverimento progressivo delle classi meno abbienti, da un immiserimento delle scelte politiche, da un inquinamento insopportabile e da un incremento, sempre meno collusione sempre più convergenza, delle varie mafie che stanno occupando i mercati e gli assetti finanziari del mondo.
Con l'attuale progresso tecnoelettronico e cibernetico si sta verificando una progressiva emarginazione degli esseri umani, ridotti a massa di manovra e sfruttati economicamente ed esistenzialmente da parte di élite che, attraverso lo smisurato dominio che stanno accumulando, attuano una crescente totale subordinazione, abbinata all'annullamento di ogni possibilità di autonomia sia individuale sia degli aggruppamenti spontanei, tenendo saldamente in mano le sorti del mondo.
Contrastarle sul piano delle lotte tradizionali è ormai inefficace perché non abbiamo più a che fare con un nemico fatto di strutture/apparato che concentrano tutto il potere su se stesse. Il dominio attuale, fluido e spesso sfuggente, è molto più pregnante e non alberga in palazzi del comando da conquistare. Bisogna diventare creativi e trovare il modo di sottrarsi alla cappa di potere che ci stanno costruendo addosso. Bisogna riprendere fortemente a sognare di riappropriarsi della propria vita. L'invadenza tecno/cibernetica che oggi sta avanzando, relegandoci in ambiti sempre più asfissianti, ci dice con forte imperio che il futuro del dominio è già pienamente cominciato.
A noi spetta cominciare a dare avvio con dirompenza al futuro della libertà, diventando consapevoli che non possiamo più demandarlo a eventi macroscopici, come le grandi rivoluzioni del passato, illudendoci che siano d'incanto liberatorie e taumaturgiche. La nostra azione si deve spostare dalla costruzione dell'evento risolutore, che ormai dovremmo aver capito che non esiste, al cambiamento qui ed ora con la costruzione continua di spazi autogestiti di libertà che si sottraggano all'imperante sottomissione organizzata.
Andrea Papi
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