Magazine Diario personale

Libero a Mezzogiorno

Da Soniab

La sedia era dura, fredda e di paglia intrecciata, tenevo le gambe accavallate e nervosamente il piede si muoveva. Il mio viso invece, doveva apparire calmo e accondiscendente. Certo,con tutto quell’impegno che all’apparenza stavo mettendo davanti al mio interlocutore…     “Una questione da sbrigare… vieni e ci accordiamo.” Queste erano state le sue parole al telefono. Avrei evitato, a volte il tempo non ha più senso spenderlo per le battaglie perse. Il problema è proprio credere che sia una battaglia e illudersi che qualche briciola dalla guerra se ne possa cogliere, bene o male.      Lì in quello schifo di fanghiglia, tra parole immaginate che arrivavano sputate in faccia, lì un tavolo ci separava ma la distanza era paradossalmente maggiore. Due menti che non s’incontrano, due dimensioni di significato sconosciute tra loro.   L’accordo era fattibile, ma io quelle condizioni potevo accettarle solo in parte.

La mia calma stava facendo innervosire la parte vera di me stesso, quella che non sopportava  che dessi spazio anch’io all’ipocrisia. Le ferite iniziarono a toccarmi nel profondo, affermazioni taglienti come lame. I veri aguzzini non sono quelli con l’ascia in mano ma chi ti rende capro espiatorio dei suoi raconcori, sofferenze e colpe.   Le mura della stanza erano grigie, il freddo mi arrivava fino al midollo e il vomito mi saliva in gola. Lui sparava veleno, dettava legge con gli occhi vuoti. Nulla è più disarmante del non intravvedere niente nello sguardo dell’altro, nè odio, nè bene.   In quella finta calma credo che i miei occhi stessero diventando come i suoi…

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Misi una mano in tasca, stringevo il coltellino a serramanico portafortuna. Iniziai a pensare che questa volta mi avrebbe salvato. Salvato dall’assumere le sembianze di chi è perso nel suo male. Guardai l’orologio, era Mezzogiorno.Tardi.   Mi alzai e dissi che dovevo andare. Lui mi afferrò il polso: “non ho finito”, la linga del folle non dà scampo. Si dice che la Mezzanotte, come Mezzogiorno siano ore particolari, magia, leggende, credo popolare… fissai di nuovo l’ora.   C’era qualcos’altro dentro di me: la parte che non sa fingere voleva vincere, salvarmi. Mi sentii sfinito dalla sua energia, il fuoco mi scorreva nelle mani e le dita fecero scattare il coltello. Mi avvicinai, con impeto assalivo, colpivo e colpivo ancora. Quell’odore di sangue mi annebbiava i sensi mentre mettevo a tacere la personificazione del non senso. Ero sporco di sangue. Io o la parte più vera di me lo era? Chi aveva compiuto cosa? Aveva ucciso o salvato? Ucciso il male e salvato me prima che ne fossi influenzato. L’accordo con il mio interlocutore si poteva fare ma “l’altro me” non veniva a patti con l’Io. L’ ”altro me” non era grigio, aveva gli occhi caldi e fumanti, vivi. Non era sceso a compromessi con l’Io, mi aveva salvato l’anima.


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