Ho conosciuto Libero Robba casualmente, come spesso mi accade in occasione dei concerti a cui partecipo. Era assieme a Marcello Capra, musicista di lungo corso e suo concittadino torinese. L’evento in questione era quello del 3 settembre a Volpedo, dove erano di scena alcuni grandi nomi del rock mondiale, da Ian Gillian ex Deep Purple a Clive Bunker ex Jethro Tull sino ad arrivare a Bernardo Lanzetti ex PFM.Il motivo principale per cui Libero, mitico tecnico del palco degli anni d’oro, era a Volpedo, riguarda principalmente la sfera affettiva, avendo lui conosciuto molto da vicino Bunker e Lanzetti, e mantenendo di loro un ricordo fantastico, elemento da rimarcare se si tiene contoche sono proprio le relazioni umane la fonte di maggior insoddisfazione di Libero.
Abbiamo bevuto qualcosa assieme prima del concerto e Bernardo ci ha raccontato uno dei suoi aneddoti, quando Libero, giovane alle prime armi, sul palco della PFM, si trovava in imbarazzo al cospetto di un mixer “parlante inglese”, che i tecnici più navigati usavano con facilità.Da quel momento di acqua ne è passata sotto ai ponti e Libero, pur essendo felice delle opportunità non comuni che la vita gli ha dato, ha pagato lo scotto che molti uomini e donne pagano nel corso di una vita lavorativa, che si tratti di musica, industria o commercio. Il suo disagio è palese ed emerge nelle righe successive.
“Solo un libro potrebbe rendere giustizia al mio essere roadie, dando un po’ di luce ad una categoria che nessuno conosce, se non in maniera superficiale ed errata. Io non ho mai smesso di essere un roadie, nonostante la polvere mi abbia coperto dopo che sono stato messo nel dimenticatoio. Noi siamo stati i veri pionieri della fatica, con nulla abbiamo girato il mondo, sempre on the road, senza telefonini e computers, senzatom tom satellitari, con camions senza servosterzo, senza facchini in aiuto ocatering al seguito, con tutta la nostra ignoranza, con alcuni di noi considerati geni solo perché avevano la patente o sapevano un po’ di inglese. In queste condizioni, con la nostra forza,il cuore e la passione, abbiamo costruito la fortuna di centinaia di musicisti, che abbiamo fatto gioire assieme a migliaia di spettatori.Eravamo forse dei maghi? Mi “diverte”, oggigiorno, la spocchia dei nuovi rodies!!!”.
Libero con Ares Tavolazzi, "grande persona, amico"
L’intervista
Ho visto la tuapalese “soddisfazione” mentre parlavi con Lanzetti e Bunker, e ho letto della tua amarezza verso un mondo che dimentica facilmente. Qualsiasi uomo “maturo” è naturalmente portato a tracciare dei bilanci, pesando il positivo e il negativo. Quale potrebbe essere la sintesi della tua vita professionale, dagli inizi ad oggi?
La sintesi, amara, potrebbe essere questa: nel corso della mia vita ho imparato tutte le fasi di lavoro (dalla A alla Z) che conducono alla buona riuscita di un concerto. Nonostante questo sono scomparso nel nulla, come se per più di venti anni avessi vissuto d’aria!
Esiste qualche episodio particolare, favorevole o contrario, che possa essere rappresentativo della tua vita vissuta sul palco?
Considero favorevole un incontro occasionale avvenuto negli anni ’70. Dopo un concerto dei Pooh al Teatro Nuovo diTorino, durante il Tour Nazionale “Poohlover”, fui ingaggiato come facchino. Questo mi permise di entrare nel giro e farmi conoscere. Pensando invece ad un episodio negativo, ricordo un incidente avvenuto nel corso del tour nazionale dei Bad Manners. Eravamo a Roseto degli Abruzzi e riportai la rottura del ginocchio destro a causa di una rissa sul palco con alcuni esagitati. Il mio socio, capo, colse l’occasione al volo per farmi fuori, a tour terminato, anche a guarigione avvenuta. Dovetti ricominciare quasi da capo!
Un percorso impegnativo come quello che hai vissuto tu, sempre in giro senza sosta, presuppone un grosso sacrificio personale, familiare. Non ti conosco bene e spero di non toccare qualche corda delicata, ma… a cosa hai dovuto rinunciare? E… col senno di poi, ne valeva la pena?
Non ho dovuto rinunciare a niente, perché niente avevo, ma ho dovuto superare il distacco dalla mia primamoglie, vincere la gelosia e le svariate, toste fatiche legate al duro lavoro. Ne valeva la pena perché sono stato ripagato dal poter vivere un sogno, quello della leggenda del “Rock on the Road”.
L’idea che ci si fa in generale del Roadieè quella di un uomo che ha almeno un grosso privilegio, quello di stabilire un rapporto di confidenza con la star che aiuta sul palco. E’ davvero così?
Purtroppo non tutti hanno questa corretta idea perché nell’immaginario collettivo, la maggior parte delle volte, il roadie è un turista permanente che tende a divertirsi. Pochi si focalizzano sull’equazione “Roadie=Lavoro”!
Che tipo di rapporto si riesce a stabilire, al contrario, tra i vari rodies? Può esistere vera amicizia?
Alcune volte nasce un buon rapporto, soprattutto con quelli innamorati di questo tipo di lavoro. In altri casi ci si trova davanti a persone che credono di essere loro stessi artisti, e sono quelli che ho sempre cercato di contrastare, di escludere… troppa boria.
Che cosa ti impedisce di continuare il tuo lavoro… sembra strano che si possa rinunciare a competenze simili!?
Semplice, non ho mai accettato compromessi, non mi sono mai comportato con meschinità o con stile “mafioso”; non sono in un giro di eletti che cambiano pelle all’occorrenza, ma sono uno che ha sempre amatola musica, la vita, l’amicizia, l’armonia, la serietà e la lealtà. So di essere considerato un po’ vecchio, superato, primitivo, poco evoluto, con scarsa conoscenza delle lingue e dell’informatica, senza patente, e un po’ refrattario alla modernità che avanza. Roba da museo insomma!
Mi parli dei tuoi ricordi relativi a Demetrio Stratos?
Purtroppo sono molto pochi. Mi è rimasta in mente la sua figura imponente, di uomo, di artista completo, serio, meticoloso, la sua forza e umanità, il suo essere “Vero Rocker”.Ho vissuto con lui alcuni concerti con gli Area e il disco live “Rock Exhibition”, e poi, purtroppo, il mega raduno in suo omaggio, all’Arena Civica di Milano, il 14 giugno 1979.IL CONCERTO!Lavorai gratis e pagai il biglietto che conservo ancora come una reliquia … lo meritava!
Come è cambiato nel tempo il tuo mestiere? La tecnologia ha avuto il peso maggiore o è mutato il modo di pensare e l’evoluzione del businnes musicale ha inciso fortemente?
Sicuramente è cambiata la tecnologia e l’organizzazione del lavoro. Il “nuovo” modo di pensare/agire e le esigenze del businnes hanno portato a una modifica di rotta verso una dimensione più asettica, meno umana, dove conta solo il denaro e meno la qualità; manca il rapporto umano e la consapevolezza di ciò che si andrà a fare, quali siano le reali esigenze di un musicista e il tarare la propria azione in funzione del genere musicale che verrà eseguito.
Mi tracci il profilo del “bravo roadie”? Cosa si potrebbe dire ad un giovane che decide di intraprendere questa strada?
Primo… non deve avere paura di lavorare.Secondo… deve amare, capire la musica e l’artista che la interpreta.Terzo… il lavoro del roadie va imparato e messo in pratica in America o in Inghilterra, dove è considerato un vero lavoro, con scuole, agenzie, e con opportunità professionali che prescindono dalle “simpatie” (come avviene in Italia), ma tengono conto di qualità e capacità.
Una curiosità … tecnica: come era, come è inquadrato un roadie? Ha contratti regolari, marche per la pensione, straordinari, scuole di aggiornamento tecnico, insomma… può essere paragonato ad un lavoratore qualsiasi?
Per me è stato un gran lavorare senza inquadramento. Non ho mai capito/saputo quali fossero le regole di ingaggio, tanto che ho viaggiato una vita con la carta di identità che alla voce “Lavoro”, riportava la denominazione di “Tecnico”. Termine indefinibile… tecnico di tutto e di niente. L’equivalente di “raodie” in Italia non c’era. Non so quali siano le condizioni attuali nel nostro paese, se esistano forme regolamentate di ingaggio, se siano accantonate quote pensioni, se esiste un conteggio dell’orario straordinario, con indennità di usura, notturni, festivi, trasferte… ci vorrebbe un capitale ogni giorno, meglio non pensarci!
Sul palco hai “servito” i musicisti più disparati… ma qual è il genere musicale che più hai amato?
Sono nato come puro Rocker, ma ho imparato presto ad amare tutta la musica.
Più corretti (nei rapporti)i musicisti italiano o quelli stranieri?
Premesso che tutto è legato all’umanità del singolo individuo, dalla sua cultura e dalla sua sensibilità, credo di poter dire che gli stranieri sono più professionali. Ma forse è una definizione troppo semplicistica perché l’argomento è molto ricco, pieno di differenti sfaccettature, come i differenti generi musicali, l’importanza e la caratura del musicista, i manager, le case discografiche e le production varie.
Hai qualche rammarico per un treno che è passato e non hai avuto il coraggio di prendere?
Assolutamente no, mai avuto paura di prendere alcun treno! Solo tanta amarezza per aver trovato sulla mia strada tanti, troppi personaggi che, con le scuse più disparate, mi hanno di fatto impedito di salire sui molteplici treni in partenza, in diverse direzioni, che avrei avuto occasione di prendere, in tanti anni di carriera.
Levati un sassolino dalla scarpa… va pure a ruota libera.
Ti rispondo con il seguente manifesto/pensiero, rivolto ai tanti carrieristi e mestieranti che ho trovato sul mio percorso di vita:Sono stato un ribelle … ma con onestà e lealtà; lavorare nella musica voleva dire per me opporsi al sistema contrapponendo un nuovo modo di vivere, lavorando con il senso della famiglia/tribù, uniti per cambiare. Ma è stato così solo per me, mentre per molti altri è stata una moda, un’opportunità che ha permesso di fare soldi.
Libero e l'amico di sempre, Marcello Capra,"42 anni di amicizia"
Libero si racconta
“Mi chiamo Libero Robba, sono nato il 5 giugno 1955 a Torino. Ho iniziato a bazzicare la musica a 14 anni con i Flash, gruppo del mio quartiere, Santa Rita, e ancora oggi sono legato da profondamente a Marcello Capra, il chitarrista. Ho lavorato per un bel po’, sino ai 20/22 anni, per formazioni torinesi, i già citati Flash, gli OFF, Guido Monge e i Mack 9, Procession, Living Life, Enzo Maolucci, Arti e Mestieri, Esagono, Venegoni e Co, La Strana Società. Dal 1976 sono partito alla grande!”
Tra le tante attività svolte da Libero in una vita di lavoro e musica, tra security e organizzazioni varie, tra cinema e TV, quella che emerge è legata alla vita da palco, quello stage che ha contribuito ad allestire, in Italia ed Europa, per più di 3000 volte.I nomi che si possono ricordare sono da paura: si va dagli italiani PFM, Area, Pooh, Leali, Pravo, New Trolls, Concato, Fortis, Baglioni, Morandi, Vasco, sino agli stranieri Bloomfield, Police, Rory Gallagher, McLaughlin, AC/DC, Simple Minds, Wonder, Supertramp, Stones, Santana, U2, Gun’s & Roses, Madonna, Iron Maiden, Pink Floyd… e si potrebbe continuare.
Libero ringrazia
Vorrei ricordare i cari vecchi colleghi inglesi della Entec Service, i romani della SCOSSA, i magnifici angeli della PFM (6+1 che sono io), Roberto Prizzon di Treviso, Massimo Pacilli e Ragno di Roma, Tutti i colleghi di cui non ricordo più il nome ma che porto dentro di me, Franco Savio e Rodrigo Beccari che ci hanno già salutato e infine, il più grande di tutti, il mio maestro, il “padre” a cui devo tutto, Franco Mamone, il vero manager senza la cui opera non ci sarebbero stati tours in Italia!
L’entusiasmo di Libero mi pare superiore all’amarezza, l’ho capito incontrandolo, parlandogli al telefono e leggendolo tra le righe, ma la delusione è molta.
Quando sogno ad occhi aperti, e lo faccio spesso, immagino di avere a disposizione un patrimonio consistente che mi permetta di dedicarne una parte alla musica, una sorta di contenitore dove trovano spazio nuovi gruppi, nuovi progetti, nuove idee che possano arrivare a compimento senza passare obbligatoriamente dallo stato di “lacrime e sangue”. In questa scatola dei sogni, da oggi, inserisco anche Libero, immaginando di chiedere il suo ausilio per la realizzazione di qualche bel evento da me organizzato.
Ma Libero è ancora giovane, forte e pieno di voglia di fare, e ho speranza che quanto prima possa trovare una collocazione dignitosa, tra rock e palco, tra musica e luci. Rinunciarea tali competenze mi sembra un vero spreco.
E chissà che prima o poi il libro non arrivi!