
Le organizzazioni criminali locali dal 2000 ad oggi pare che abbiano realizzato un volume d'affari in soldoni pari a circa sedici miliardi di euro, lucrando sulla pelle di chi ha cercato di attraversare il Mediterraneo dalle coste libiche per giungere in Italia e da lì in Europa.
Un dato, questo in cifre, difficile da stimare con dovuta esattezza in quanto il "fenomeno" della vergognosa tratta, come si sa, è sommerso.
Inoltre gli importi chiesti per la traversata quasi sempre variano da persona a persona, a seconda della provenienza del richiedente, dei mezzi utilizzati per mettersi in mare e delle rotte da percorrere.
E , ancora, per i trafficanti di "carne umana", c'è anche la variante molto importante di reinvestire questo genere di profitti in altre attività, legali o illegali, sempre per fare business.
Si attiva il contrabbando d'ogni genere redditizio, droga in primis, e il commercio di persone, maschi o femmine indifferentemente. Quando non addirittura di bambini.
C'è sempre un compratore.
Come la schiavitù è realtà pure ai nostri giorni e neanche troppo lontano da noi.
E poi in loco da parte dei trafficanti-imprenditori si crea lavoro nei cantieri, lavoro legale o illegale non importa, dove le carrette del mare dismesse sono rimesse a nuovo (si fa per dire) per metterle in condizione di prendere il mare.
In finale ci sono (e anche questa è ormai cosa nota) le tangenti che si pagano alla polizia del posto (fino agli alti gradi consapevoli e corrotti) quando si intercettano le imbarcazioni e il loro carico.
Tutto questo da quando, caduto il regime di Gheddafi, in assenza e/o latitanza di Europa e di Usa, il boom petrolifero della Libia ha cessato d'essere e confusione civile, povertà sociale, malaffare diffuso assieme a politiche di angolazioni discutibili ne hanno preso il posto.
Deterrente ultimo parrebbero essere interventi anti-scafisti dell'Unione Europea in acque internazionali, autorizzati da un risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, approvata appena due giorni fa con alcune riserve legate a eventuale uso eccessivo della forza nella missione.
Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
