Ho conosciuto Mò sul web, nei primi giorni della rivoluzione libica. Ero alla ricerca di fonti giornalistiche attendibili, e la internet tv che Mohammad Nabbous aveva allestito in pochi giorni, dopo l'insurrezione di Bengasi, era diventata un punto di riferimento strategico per chiunque volesse notizie dalla capitale degli insorti. Giornalismo di strada. Il punto di vista dei cittadini di Bengasi, senza mediazioni esterne o edulcorate dai media stranieri. Avevo scritto a Mò per ringraziarlo del suo lavoro, per dirgli che era un uomo coraggioso. Non ha fatto in tempo ha rispondermi. Un cecchino di Gheddafi lo ha centrato alla testa, sabato scorso, 19 marzo.
Mò aveva compiuto 28 anni il mese scorso. Ha lasciato la giovane moglie, che aspetta un figlio. Non è riuscito a vedere in azione gli aerei della coalizione che hanno aiutato i difensori a rompere l'assedio della sua Bengasi. Il volto del citizen journalism in Libia, ha scritto di lui il britannico Guardian. L'uomo che è stato in piedi notte e giorno per cercare di far sapere al mondo cosa sta accadendo in Libia, ha aggiunto la National Public Radio americana.
A Mò gli epitaffi sarebbero piaciuti. Ha fatto un ottimo lavoro. Nel suo ultimo reportage ha parlato della morte di due bambini di 4 mesi e 5 anni, uccisi da un missile delle forze di Gheddafi mentre dormivano nella loro camera da letto".
La moglie di Mohammad Nabbous ha detto, a tutti noi: "Non lasciate che ciò che Mò ha iniziato finisca in niente, gente, fate sì che ne non sia morto per niente".
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