Il fallimento lo avevo messo in conto: tre anni fa, agli inizi del conflitto, quando ancora Al Jazeera e la diplomazia occidentale parlavano la stessa lingua, io avevo parlato, invece, de «l’intervento militare più cretino di questo secolo» e di «una storiaccia che non può finir bene»; ma certo un esito così disastroso, o per meglio dire, un esito così ignominiosamente disastroso, andava al di là di ogni possibile immaginazione. Non essendovi stata alcuna «primavera libica», tranne che nella testa del vanesio Bernard-Henry Lévi e del vasto popolo dei rivoluzionari da salotto, oggi non è neanche possibile intravvedere dietro la cortina della guerra per bande e del caos totale una qualche «società civile» sulla quale in un futuro più o meno prossimo rifondare una nuova Libia. Sarkozy, Cameron e Obama agirono per semplice opportunismo: scelsero di voltare le spalle al loro amico Gheddafi – amico da almeno più di un lustro – pensando di portarsi a casa facilmente un bel trofeo, di compiacere parte del mondo arabo, di estendere la propria influenza nella regione, il tutto a prezzo scontatissimo, impegnandosi quel tanto che bastava per portare a termine con successo la caccia grossa al Raìs. Il falso umanitarismo democratico che li aveva spinti ad intervenire senza costrutto, ora, quando un intervento «umanitario» assai muscolare e deciso sarebbe più che mai necessario, li spinge a mollare l’osso e ad abbandonare a se stesso un paese in macerie ed in mano non a uno, ma a orde di banditi che ammazzano con allegra ferocia «il loro stesso popolo».
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