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Libia: una vittoria di Pirro

Creato il 30 agosto 2011 da Zamax

Chi abbia tempo da perdere provi a cercare quante volte negli ultimi tre decenni, prima dell’anno fatidico 2011, Ben Ali di Tunisia o Mubarak d’Egitto siano stati omaggiati dalle nostre più illustri gazzette democratiche del titolo poco onorifico di “dittatore”: che io ricordi, mai. E’ soltanto dopo le rivoluzioni della primavera araba che a questi affidabili leader, per gli interessi dell’Occidente, e a questi moderati autocrati, per gli standard arabo-mediorientali, le penne dei nostri più venerabili e compassati commentatori hanno riservato con la tranquillità di sempre tale prestigiosa nomea. E’ perciò normale che in un simile contesto morale la guerra di Libia abbia consentito al vizio dell’oblio e della mistificazione di raggiungere traguardi impensati, tanto che adesso, da più parti, non ci si vergogna punto di dare una patente di legittimità alle aborrite “guerre per il petrolio” e di rimproverare al governo Berlusconi, gran prodigio delle guerre umanitarie, una condotta insufficientemente cinica nella difesa dei nostri interessi.

Fino al 2000 Gheddafi è stato per più di un quarto di secolo insieme un dittatore sanguinario, un laico (per i canoni islamici) e stravagante rivoluzionario con qualche idea di grandezza e di riscatto per il suo paese, un fomentatore del terrorismo internazionale, un nemico giurato ma non isolato dell’Occidente. Dopodiché, ammaestrato dalle vicende irachene, ha cominciato, passo dopo passo, a negoziare con europei ed americani una resa profittevole per tutti gli interlocutori, trovando in fin dei conti assai piacevole dedicare la vecchiaia in via esclusiva allo sviluppo del suo poco abitato ma potenzialmente ricco paese, riservandosi solo di tanto in tanto il diritto d’intrattenere il mondo con le sue innocue pagliacciate pubbliche. Gli Occidentali, piaccia o non piaccia, e a noi anti-gheddafiani della prima ora la cosa non è mai piaciuta, hanno accettato, fino alla progressiva e pressoché completa normalizzazione dei rapporti diplomatici. Ma una ragione c’era ed era solidissima: siglata la pace, Gheddafi, isolato nel mondo arabo ed islamico “moderato” a causa del suo passato estremista ed in quello “estremista” a causa del suo presente “moderatismo”, sarebbe stato legato mani e piedi all’Occidente. Questa mancanza di appoggi internazionali spiega perché la macchina della propaganda abbia potuto girare a pieno regime; perché un lupo spelacchiato ed in pensione sia diventato finalmente agli occhi di coloro che negli anni ruggenti derisero le “ossessioni” dei falchi anti-gheddafiani il mostro di cui non riconobbero mai in precedenza i connotati; e perché, sotto le false sembianze della primavera araba, l’attacco al regime sia stato pianificato con tanta sbrigativa mancanza di scrupoli.

Prima del conflitto la Libia era un paese relativamente prospero per gli standard africani, ed in pieno sviluppo, grazie alla fitta rete di rapporti economico-commerciali intessuta con l’estero dopo la fine del periodo delle sanzioni; rapporti che si sarebbero sommati a quelli più specificatamente culturali dovuti alla rinnovata “amicizia” coi paesi occidentali, in primis l’Italia naturalmente, per favorire una maturazione senza strappi delle istanze democratiche in un regime che si stava già addolcendo; le quali istanze avrebbero potuto prender corpo quando si fosse presentata la questione della successione di una “Guida della Rivoluzione”, ricordiamolo, ormai settantenne. Oggi, dopo sei mesi di guerra e, forse, decine di migliaia di morti lasciati sul terreno per soddisfare la fama di gloria e gli appetiti di chi pensava ottimisticamente di spogliare un mezzo cadavere senza combattere per davvero, ci troviamo con un paese “liberato” in preda al caos e all’anarchia, un paese da “ricostruire” e dal futuro incertissimo.

Eppure queste sono quisquilie. Non è questo che rende la “liberazione” di Libia una vittoria di Pirro. Questa sconsiderata avventura in realtà non farà altro che solleticare, senza che ce ne fosse bisogno e per ragioni tutt’altro che virtuose, le voglie sempre latenti di revanscismo anti-occidentale delle potenze emergenti, che dall’irridente violazione della risoluzione ONU sulla Libia da parte della NATO si sono sentite prese in giro. I “ribelli” hanno già fatto sapere che per gli interessi economici e per gli investimenti già in essere nel paese nordafricano di Russia, Cina e Brasile la caduta di Gheddafi potrebbe essere fatale. Qualche cretino ha salutato questa minaccia ai tre giganti, e indirettamente a paesi come India e Sudafrica che si erano mostrati critici dell’intervento NATO, come un salutare avvertimento, senza rendersi conto che questi nuovi protagonisti della scena mondiale dalla vicenda usciranno certamente ammaestrati, ma non nel senso da lui auspicato.

[pubblicato su Giornalettismo.com]


Filed under: Esteri, Giornalettismo Tagged: Guerra di Libia, Muammar Gheddafi, NATO, ONU

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