Liborio Romano (Patù, 27 /10/1793 – 17/7/1867)
Liborio Romano (Patù, 27 /10/1793 – 17/7/1867), Ministro degli Interni durante il regno di Francesco II di Borbone e nel primo Governo unitario, è una delle tante figure politiche meridionali ingiustamente screditate dalla storia. A onor del vero, è improprio attribuire colpe alla storia perché le notizie biografiche del Romano, pervenuteci negli ultimi 150 anni, sono state spesso attinte da fonti molto influenzate dalle fazioni politiche del tempo. Nessuna di esse, infatti, è propensa a fare, di questa enorme figura politica, una critica capace di tener conto delle effettive contingenze storiche che caratterizzarono il tumultuoso periodo napoletano pre-unitario e in cui il politico salentino dovette districarsi.
Interrogando i documenti e valutando con lucido distacco le scelte politiche operate da don Liborio, specialmente negli anni in cui il Regno delle Due Sicilie era ormai agonizzante e pronto a lasciare il passo a Garibaldi, si scopre un uomo straordinario capace di gestire gli eventi con scelte intelligenti e allo stesso tempo coraggiose. Un atteggiamento, quello del Romano, sempre mirato a salvaguardare il popolo napoletano dai prodromi di una guerra civile che poteva nascere tra i disordini sorti in seno agli spiriti liberali ostili al governo di Francesco II. Neanche la concessione della Costituzione ferdinandea del ’48 e la promessa di una lega col Piemonte erano riuscite a placare gli animi dei liberali napoletani. Ciò per la consapevolezza popolare secondo la quale un sovrano legatissimo ai retaggi dell’assolutismo non poteva in così poco tempo maturare l’idea di uno stato garante di maggiori libertà. Gli stessi sovrani delle maggiori nazioni Europee, come Napoleone III di Francia, condividevano questo pensiero. Tuttavia, il Borbone si sforzò di creare un primo governo con basi costituzionali ma i ministri nominati si dimostrarono ben presto incapaci di adempiere al loro mandato.
Già prefetto di polizia, Liborio Romano fu nominato Ministro degli Interni per la sua notorietà presso il popolo e per la sua efficienza nella gestione dell’ordine pubblico. Fu egli stesso a costituire la Guardia Nazionale attraverso la quale controllò i disordini generati dai fedeli borbonici contro le masse popolari e liberali. L’impegno assunto da don Liborio, dunque, continuava nel suo programma di mantenimento dell’ordine pubblico a tutela del popolo napoletano il quale rappresentava il vero e solo interesse del ministro salentino.
La situazione politica di Napoli che si presentava al Romano, non era meno confusa e tumultuosa del popolo. Da una parte c’erano i costituzionalisti dinastici che propagandavano un governo con basi costituzionali incoraggiando a credere nei buoni propositi di Francesco II e, dall’altra, tutti i liberali che, seppur concordi a mandar via il Borbone, si dividevano tra repubblicani e filo-monarchici. I primi erano concordi a costituire un governo su basi democratiche i secondi, invece, volevano un governo costituzionale con a capo Vittorio Emanuele II di Savoia. Liborio Romano era conscio che per tener quieta la popolazione, e quindi per il bene dello Stato, era necessario dialogare con tutte le fazioni politiche in modo da poterle controllare e, in un certo senso, dominare. Il ministro salentino fu sempre saldo alla fedeltà della nazione, sia che fosse di corona borbonica o meno, perché un buon governo e la salvaguardia del popolo esulavano dalla monarchia regnante. In tale ottica, il Romano più volte chiese a Francesco II la concessione, con i fatti e non con le parole, di maggiori libertà al popolo ma il sovrano, dando sempre maggior peso ai consigli dei suoi fidi, non lo ascoltò mai. Intanto la popolarità di Garibaldi cresceva, la Sicilia era stata liberata e le simpatie della politica cavouriana e per Vittorio Emanuele II erano penetrate nel profondo delle coscienze del popolo napoletano. La monarchia borbonica non poteva essere salvata e il rischio di una repressione, insensata, degli spiriti liberali avrebbe suggellato l’insorgere di una guerra civile. Liborio Romano capì, allora, che non potendo sostenere il regno comunque era fattibile salvare la dignità del sovrano e pertanto, di fronte ai fatti, Francesco II seguì il consiglio di don Liborio rifugiandosi a Gaeta.
L’arrivo di Garibaldi nella capitale partenopea fu accolta dal plauso generale della popolazione. Il Romano fu, a fronte del suo buon operato e malgrado le sue tante titubanze, da Garibaldi riconfermato, poi anche dal principe Eugenio di Savoia, al Ministero degli Interni e sposò definitivamente la causa dell’Unità d’Italia.
Questo comportamento destò non poche critiche da parte delle fazioni politiche che videro nel Romano un opportunista capace di cambiare idee politiche e tradire la fedeltà a patto di mantenere il suo potere politico. Nessuno aveva capito che le scelte del ministro salentino furono mirate esclusivamente al bene del popolo e alla libertà indipendentemente dalla corona che riusciva ad attuarle. Lui era un uomo della nazione e non un burattino dei sovrani.
Con questo scritto non si pretende di giustificare tutti gli atti compiuti da Liborio Romano ma esclusivamente dimostrare che il suo atteggiamento politico giovò all’Unità d’Italia e al popolo napoletano. Per tali motivi, non si può soprassedere al fatto che don Liborio mise nelle file della polizia, ma mai ai vertici, alcuni esponenti della camorra i quali, pur continuando dopo l’Unità a esercitare le proprie attività criminali, diedero comunque man forte a mantenere l’ordine pubblico. Inoltre, se si considera che questi criminali sarebbero potuti diventare pericolosissimi nelle vicissitudini del popolo napoletano al momento del passaggio dai Borbone ai Savoia, la scelta di Liborio Romano di inserirli nelle forze di ordine pubblico li rese inoffensivi. Tutte le scelte del Romano devono essere, allora, difese e lette nel contesto prospettato dalle emergenze sociali pre-unitarie. In questo stesso quadro storico e con lo stesso grado di riflessione emergerà degnamente l’impegno patriottico di quest’uomo che ha sacrificato ogni forza e ogni dignità per il bene del popolo meridionale. Dicevano i latini:
«è grande [solo] il cittadino che immola sé stesso alla salute pubblica e della patria».
e per questo, la storia dell’Unità d’Italia deve annoverare il nome di Liborio Romano tra i benefattori d’Italia il cui peso delle scelte politiche molto influenzarono il percorso della nazione verso l’indipendenza e la libertà.