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Libri: “Autopsia dell’ossessione”

Da Uiallalla

Pubblichiamo un estratto da Autopsia dell’ossessione”, l’ultimo romanzo di Walter Siti (Mondadori) che sarà presentato venerdi 25 marzo alle 18.00 al Chiaja Hotel di Napoli (via Chiaia, 216).

la copertina del libroQuesto sole da Reggio Calabria, che ci viene a fare qui in Emilia? Questo calore straniero, il quattro di maggio, esalta il peggio nell’anima di ciascuno. ‘Anima’ è una parola che Danilo non dovrebbe usare; il suo rivale, che a forza di sfruttare la vita degli altri è diventato uno scrittore di fama, non la userebbe mai. È furbo quello, è moderato anche nell’esibizionismo. (Il lampo di un congelatore). «Il bene non fa rumore, il rumore non fa bene», diceva un prete all’oratorio. «Come posso permettermi di dettare una morale io», riflette Danilo, «che conosco soltanto la distruzione e la morte?».

Danilo osserva la madre trafficare coi coperchi, avanti e indietro tra il pensile e i fornelli; lui ha già cucinato polpette e frittata, ma lei insiste che le farfalle al burro vuol prepararsele da sola.

Arranca come uno scarafaggio, Danilo ha l’impressione che l’appartamento stia rimpicciolendo intorno a lei; guardandola muoversi, intuisce come pensano gli insetti. Mentre è girata di spalle la segue imitandola, camminando ingobbito a gambe larghe. «Da quando», si assolve mentalmente, «non ho più paura dell’amore, non ho paura nemmeno dell’odio». La sua cattiveria l’ha ridotta così; ecco che versa una bustina di Aulin nell’acqua, forse credendolo sale, e Danilo lascia fare sperando che si avveleni.

Realtà e risentimento formano nel suo cervello un unico groppo di negazione; mangia le farfalle direttamente dal tegame come una barbona. Dal fondo del disgusto nasce la serenità, esserle compagno di giochi nel deserto del niente. «Come il mio rivale», pensa Danilo, «mi ha rubato la religione, così mia madre mi ha sequestrato l’infanzia; mi ha esonerato dalla vita che veniva dopo, come a scuola mi esonerò dalla ginnastica». «I suoi soldi non mi servono più, dunque il mio gesto sarebbe finalmente un gesto libero»: Danilo confonde come al solito la libertà con l’inesistenza.
I soldi non gli servono più. Alla notizia che Angelo è morto, passato il primo impulso di gioia vendicativa, Danilo non ha reagito con l’interezza delle proprie emozioni; dubita perfino di riuscire ad averne ancora, delle emozioni, se non darà a quella morte una risposta adeguata. (Nel congelatore, resti umani).

Danilo decide unilateralmente un gesto di pace, prepara un budino al cioccolato: «mia madre è l’unica persona per cui io sono importante, nel bene o nel male». Lei accorre infatti, premurosa, offre come recipiente per il budino una bottiglia dal collo strettissimo, impossibile. Strano che non mi hai offerto il vaso da notte. Accentua i tratti di demenza quando è sola con lui, li gestisce come un rimprovero; vuole fargli pesare che lui è lì solo in prestito, fin che la badante non uscirà dalla clinica, «non vedi l’ora di andartene». Certo, se non sapessi che è per poco non potrei sopportarlo. «Mi resta appena il tempo, devo eseguire il mandato» – come una scossa improvvisa, il richiamo di una missione (prima terribile poi euforica: «io non devo esistere più»).

All’avifauna di via Panerazzi, Danilo compra un bel coniglione vivo da quattro chili e cento; scherza con la padrona sulle prestazioni amatorie di cui è stato privato per ingrassarlo. Gli hanno legato le quattro zampe per il trasporto, nella borsa di tela; Danilo ferma la macchina in aperta campagna, vicino a un tabernacolo tra due olmi. Sa che dovrebbe estrarlo e colpirlo con la mano a taglio dietro la nuca, dove la pelliccia è biancastra; «è un futuro arrosto, ucciderlo è legittimo». Ma getta la borsa sul terreno appena arato e sferra calci alla cieca; il coniglio stridendo cerca di uscire ma la borsa è ben chiusa. Danilo prende il cric dalla macchina, tornando si accorge che la borsa ha cambiato di posto per gli sforzi sovrumani del coniglio; comincia a pestarlo con furore suicida, cercando di indovinare dove stia la testa, se non altro per costringerlo a smettere quegli orrendi guaiti – non è sazio fin che la tela non è completamente intrisa di sangue. Quando Danilo rientra, dopo un’ora e un quarto, la madre lo accoglie preoccupata, «è da ieri che ti cerco». Non vale la pena di contrastarla: basta «scusami mamma» e lei già pensa ad altro. Si è bucata il dito con l’apparecchietto e ha misurato la glicemia, dice che era cinquantacinque e teme un collasso ipoglicemico. Danilo gliela misura di nuovo, in realtà segna cinquecento cinquanta, altissima. Ma anche in questo caso, perché smentire? «È troppo bassa, hai bisogno di zuccheri» – nel piatto una porzione abbondante di budino al cioccolato, su cui la madre si getta con avidità.

 


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