Si sarà sentito un po’ tradito, oltreché deluso. Ma non ha mai pensato di mollare. Ha fatto da sé. Oggi il suo manoscritto, che in Italia ha ricevuto silenzi e in alcuni casi rifiuti, in America è diventato testo per esercitazioni di italiano. Non solo. E’ entrato nella rosa dei finalisti sia ai Global eBook Awards di Santa Barbara, in California, che sono gli Oscar del settore digitale, sia agli Usa Best Book Awards di Los Angeles
Parlo di Guido Mattioni, nato ad Udine nel ‘52, giornalista, che ha pubblicato con Ink una “favola” per adulti, dal titolo “Ascoltavo le maree”. Il percorso non è stato semplice.
Ma facciamoci raccontare tutto da lui in questa intervista.
Come è andata?
In realtà, io non avevo spedito il manoscritto a nessuno, perché so che non si fa, ma solo un’email per valutare un eventuale interesse altrui. Non ho quindi avuto rifiuti, ma due sgradevoli silenzi (Mondadori e Rizzoli) e un educato e professionale “al momento non rientra nei nostri piani editoriali” da parte della Sperling, che, non solo mi ha risposto, ma mi ha chiesto il manoscritto, lo ha letto e mi ha fatto avere una scheda di valutazione – peraltro molto lusinghiera – giustificando il “no grazie” soltanto con la loro linea editoriale. La loro è stata professionalità e buona educazione. Mi si dia pure del suscettibile, ma il silenzio, specie se nei confronti di un giornalista sessantenne, con 37 anni di carriera ad alto livello sulle spalle, lo considero invece soltanto pura maleducazione. Che non ammetto e non tollero nei confronti di chicchessia, figuriamoci nei confronti miei.
Non avrà ben digerito il silenzio della Mondadori!
Beh, il silenzio della Mondadori è stato senz’altro quello più irritante, considerato che alla casa di Segrate ho dedicato 14 anni del mio lavoro e della mia vita come inviato speciale di Epoca prima e come vicecaporedattore del mensile economico Espansione, poi. Per non dire del fatto che negli anni Novanta, proprio per la Mondadori e su espressa richiesta dell’allora vertice della Saggistica, fui il ghost writer per l’autobiografia di un grosso personaggio del mondo manageriale internazionale.
L’ha presa male!
Non l’ho presa poi tanto male. Per natura e per scelta io amo sorridere al prossimo, ma esperienza professionale e vita personale mi hanno lasciato una scorza molto resistente! Più che rabbia ho provato un senso di rassegnata desolazione, dovendo constatare come ormai il tessuto umano si stia “sfilacciando” dovunque, anche in una gloriosa casa editrice, dove avevo avuto la fortuna di lavorare insieme e accanto a splendide persone. Ma tant’è, capitolo chiuso.
Dunque, un tipo parecchio tosto.
La scorza dura è forse nei cromosomi, friulani al 100% . Per lo stesso motivo è ancora più dura la testa. Così, seguendo i consigli di un amico, un pioniere italiano del self publishing, ho imboccato la medesima via. Mi sono registrato come autore sulla piattaforma Smashwords (è di San Josè, Silicon Valley, 180 mila titoli in catalogo e 60 mila autori di tutto il mondo) e mi sono studiato il manuale per formattare un testo da trasformare in ebook. Intanto, considerato che il mio romanzo è ambientato nella città americana di Savannah, in Georgia, lo avevo fatto tradurre in inglese con il titolo Whispering Tides al posto dell’italiano Ascoltavo le maree.
Perché non ha rinunciato e perché l’ha fatto anche tradurre?
Per colpa di quella mia testa dura, ma soprattutto perché in quello che avevo scritto ci credevo. E ci credo tuttora.
A quel punto?
Una mattina, dopo mille revisioni e controlli a testo e copertina – sì, anche quella autoprodotta – ho messo online Whispering Tides dal pc di casa la versione italiana, che pure era già pronta, l’ho lanciata, però, soltanto il giorno dopo, per puerile quanto sterile ripicca personale nei confronti di certa editoria nazionale. Insomma, mentre davo quel click sul tasto d’invio, mi auguravo in cuor mio che andassero tutti quanti cordialmente a quel paese! Ci andassero loro, gli spocchiosi e polverosi salotti modaioli che frequentano – poveri mentalmente, intendo dire – e anche i tanti premi letterari nei quali spesso i risultati da spacciare al grande pubblico vengono decisi a tavolino.
I risultati?
Io non sono tipo da vendere la pelle di un orso che non ha ucciso. Quantitativamente il mio ebook è stato scaricato in America da un numero di lettori proporzionato a quelle che erano le possibilità di uno scrittore autoprodotto, senza casa editrice alle spalle, perdi più straniero e costretto a nuotare e a farsi notare – ma senza un salvagente fosforescente- in un mare di milioni di titoli prodotti. In Italia, dove l’ebook è ancor oggi una rara avis è andata meno bene. Ma io, oltre che avere la testa dura sono anche un tipo paziente, che si era informato e sapeva che per avere successo sul mercato online serve almeno un anno soltanto per “seminare”. Oppure una grossa “botta” di lato B.
La critica?
Sul fronte della critica posso dire di sentirmi invece “milionario”. Lo giuro: non scrivo per arricchirmi o tantomeno per diventare uno al quale chiedono per strada l’autografo. Dio me ne scampi da un simile incubo! Scrivo con la stessa motivazione che ha reso “leggeri” ben 37 anni di lavoro, intenso come giornalista. Certo, mi considero un uomo fortunato, perché scrivere mi diverte e perché scrivere, oltre che cucinare, è la sola cosa che so fare davvero molto bene.
Diceva che si sente milionario.
Sì, quantomeno considerando quello che ho raccolto negli Stati Uniti in un solo anno. A parte le tante recensioni a cinque stelle ottenute non solo sulla stampa ordinaria, ma anche su importanti riviste letterarie e accademiche e su temuti blog editoriali, nel 2012 Whispering Tides è entrato nella rosa dei finalisti sia ai Global eBook Awards di Santa Barbara, in California, che sono gli Oscar del settore digitale, sia agli Usa Best Book Awards di Los Angeles. In entrambi i contest concorrevano un migliaio abbondante di autori di tutto il mondo, e in tutti e due io ero il solo italiano iscritto. Tengo a sottolineare che i giurati di entrambi gli Awards erano “popolari”, ovvero Grandi Lettori del tutto anonimi che votavano da casa loro, sparpagliati ai quattro angoli d’America, non contattabili da nessuno. E quindi non influenzabili. Ogni paragone con quello che accade da noi, in alcuni paludati concorsi, è puramente casuale.
Qual è stata la gioia più grande?
Non ho dubbi. E’ stata un’email ricevuta l’estate scorsa da Atlanta e nella quale il professor Richard Keatley, docente della Georgia State University,
uno che prima di allora io non avevo mai sentito nominare, mi informava che il mio ebook in versione originale era stato adottato come testo di lettura e di esercitazione per i suoi corsi di Italiano in quel prestigioso ateneo. Un mese dopo ho ricevuto il primo compito svolto da una sua allieva sul mio Ascoltavo le maree. Un’emozione fortissima. Sapere che a 9 mila chilometri di distanza da dove vivo dei ragazzi americani imparano la nostra lingua usando anche il mio romanzo, beh, è una cosa che per me vale migliaia di copie vendute. Poi, a Novembre 2012 sono volato ad Atlanta, su invito del professor Keatley, a presentare il mio lavoro agli studenti nella biblioteca del campus tappezzata di manifesti con la mia faccia che annunciavano l’evento.Quanto ha investito?
Non ho investito nulla, se non il mio lavoro, in quanto realizzare da casa un ebook è a costo zero. Le piattaforme internazionali sulle quali lo metti in vendita trattengono una percentuale su ogni ebook scaricato. Smashwords, addirittura, trattiene e paga per me anche l’ammontare delle tasse statunitensi, mandandomi poi a fine anno la contabilità e i giustificativi fiscali. Quanto alla traduzione sono stato fortunato, dato che si è trattato di un regalo fatto in famiglia.
E veniamo alla sua favola
Favola è una parola che mi piace e non a caso la vicenda di Ascoltavo le maree è stata definita “una favola adulta che commuove e fa sorridere”. Comunque, per essere precisi, ad arrivare è stata una telefonata di Francesco Bogliari, ex manager editoriale di grande esperienza e di lunghissimo corso in tutti i principali gruppi nazionali. Ci eravamo conosciuti ai tempi in cui lavoravamo entrambi in Mondadori e prima di quella telefonata ci eravamo ritrovati su Facebook. Proprio su Facebook Francesco aveva letto il primo capitolo del romanzo, postato per autopromozione. “Sapevo che eri un bravo giornalista, ma non che tu fossi anche un ottimo romanziere. Hai una copia del manoscritto?”- mi ha chiesto. Il giorno dopo mi ha richiamato, chiedendomene un’altra: “Mia moglie si è presa la mia e non la molla più. Buon segno, perché lei (è sua socia nella casa editrice, ndr) è esigentissima e ipercritica”. Una settimana dopo, la notizia: “Abbiamo deciso di lanciarci anche nella narrativa, il marchio si chiamerà Ink e vogliamo che il tuo sia il primo nostro romanzo. Ci crediamo”. Volendo fare un paragone, la cosa ricorda molto l’allenatore di baseball che ingaggia Charlie Brown per averlo visto prendere al volo sulle tribune una palla finita fuori campo. Eppure è andata proprio così. Francesco, molto coraggiosamente, specie in un periodo difficilissimo per l’editoria come l’attuale, ha curato il libro davvero come se fosse un primo figlio, dalla carta alla scelta del carattere fino alla legatura a filo di rete come si usava una volta. Ha affidato la copertina a un mago del settore come Marco Pennisi, uno che legge i libri che deve illustrare e il risultato infatti si vede, dato che la cover è la sintesi visiva della vicenda narrata. Così come lo è, in poche righe magistrali, da par suo, l’endorsement in quarta di copertina scritto dal caro amico e bravissimo collega Toni Capuozzo, conduttore di Terra! e vicedirettore del TG5.
Ma davvero non ha mai pensato di mollare?
A mollare non ci ho pensato nemmeno per una frazione di secondo. Non l’ho fatto nemmeno in momenti ben più tragici e dolorosi della mia vita, figuriamoci se lo facevo per un libro e di fronte al muro di gomma di una grande editoria, che ormai ha scelto di seguire la via più facile, quella di pochi mallopponi commerciali da vendere a scatola a chiusa a milioni di acquirenti che poi li ripongono in libreria senza nemmeno leggerli. Questa è gente – gli editori, intendo – che ha smarrito il senso ultimo del suo meraviglioso mestiere, cioè fare scouting di nuovi autori, come si usava una volta. Del resto, perché mai dovrebbero dannarsi se quello è un mestiere che fanno ormai per loro le trasmissioni come Zelig o Master Chef, le classifiche dei cannonieri del calcio o i soliti potentissimi “papà di figli” (e di tante figlie!) in fregola di fare i romanzieri. Tanto, anche se i comici o i “figli di” non sanno scrivere, non è certo un problema: un bravo e sottopagato redattore da “mettere ai remi” lo si trova sempre.
Un aggettivo per descrivere il mercato dell’editoria italiano?
E’ in stato comatoso. Pesa senz’altro la crisi che fa tagliare i beni non primari, ma buona parte della colpa la attribuisco a quegli editori che stanno “drogando” la massa dei lettori, i meno attrezzati culturalmente, con “robaccia” scadente, scritta male, ma facile da vendere, facendo leva su dei media che oggi sono fatti da gente di bocca altrettanto buona e che hanno ormai perso i concetti stessi del bello e dello spirito critico. I librai finiscono con l’essere le seconde vittime di questa logica di mercato – le prime vittime sono i lettori – perché volenti o nolenti sono costretti a mettersi in casa montagne di paccottiglia del momento. Questo danneggia i piccoli e medi editori indipendenti e i loro autori – la terza fascia di vittime – i cui libri, spesso di qualità, di fatto scompaiono dietro i “colonnati” eretti con la suddetta paccottiglia. Ma così facendo, quegli editori stanno percorrendo a mio avviso una strada suicida, che farà di loro le quarte vittime. Perché prima o poi la domanda di qualità tornerà a salire dal basso, dai lettori più colti e oggi nauseati. Ma loro, quel giorno, la qualità non sapranno più nemmeno riconoscerla.
Un giudizio senza pietà. Quanto sulla sua tostaggine ha inciso l’aver lavorato con Indro Montanelli?
La scuola di Montanelli? Sì, certo, lo è stata anche di vita, pur se da lui penso di aver soprattutto appreso, più che carpito – non sono così presuntuoso – i segreti della sua insuperabile scrittura. Per lui era un dono, era un atto naturale come il respirare. Lo capivi quando passavi davanti alla sua stanza e ti arrivava il ticchettio della Lettera 22, che “suonava” senza mai un’esitazione, come il pianoforte di Benedetti Michelangeli. Poi, un’ora dopo, andavi a leggerlo in bozza e capivi che quella era per davvero musica, pura melodia, senza mai una caduta, senza una nota stonata, senza quei fastidiosi “spigoli” verbali che oggi sembrano, invece, molto in voga tra certi scrittori e scrittrici nazionali che per motivi imponderabili sono divenuti bestseller. Non faccio ovviamente i nomi, ma buona parte di loro sono illeggibili. Vedo sempre più spesso diventare libri delle “cose” scritte in un Italiano misero, da sms, anoressico perché privo di “carne” e di “curve”, frasette da scuola di telegrafia – tre parole e un punto – o peggio ancora un gergo giovanilistico spacciato per vezzo artistico. Roba che ai tempi in cui io iniziavo a lavorare alla scuola dei Montanelli, dei Bettiza o dei Piovene, non sarebbe mai finita in pagina. Anzi, avrebbe comportato il taglio della mano destra (o della sinistra, se mancini) con pubblica ignominia nello stanzone della tipografia.
Quanto della sua vita c’è nel romanzo? Il protagonista non scherza quanto a determinazione. Riesce a trasformare un dolore profondo in un’occasione per rinascere.
Sì, ammetto che anche Alberto Landi, il protagonista di Ascoltavo le maree sia un tipo tosto. È un metropolitano sui generis che all’indomani di un terribile lutto, la perdita improvvisa della adorata moglie Nina, al fianco della quale ha vissuto per 23 anni, capisce come la grande città in cui vive un’esistenza agiata stia diventando per lui una gabbia sempre più piccola, insopportabile. Il dolore e il senso di vuoto, gli aprono di colpo gli occhi, finalmente vede tutto chiaro. Così, si dimette da un lavoro prestigioso, si libera di tutto, dalla sua elegante mansarda agli abiti di sartoria e acquista un biglietto di sola andata per Savannah, antica e splendida città coloniale della Georgia, nel Vecchio Sud degli Usa.
Lui la conosce bene, è il luogo dove è stato più felice con Nina. Sa bene che lì potrà contare su tanti amici, umani spesso bizzarri e animali invece profondamente saggi – è la regola a Savannah- !Lì, giorno dopo giorno, vivendo lo straordinario succedersi che è soltanto dei fatti ordinari, in quanto autentici perché privi dei “lustrini” metropolitani, Alberto troverà il modo per elaborare il lutto e ricostruirsi una nuova vita. Il finale, che è a sorpresa, ovviamente non lo rivelo. Ascoltavo le maree non è, come molti pensano, la mia autobiografia. È vero, ho usato un “io narrante”, ma solo perché tecnicamente mi sembrava di poter comunicare meglio, così, le sensazioni e i pensieri, i dolori e le gioie del protagonista. Lo stabilirà chi lo leggerà. Fatta questa premessa, ammetto che di autobiografico nel racconto c’è comunque lo spunto, ovvero un avvenimento della mia vita personale di 11 anni fa dal quale è poi scaturito il romanzo. Il resto è tuttavia fiction, è una storia inventata.Di vero non c’è altro?
C’è senz’altro Savannah, una città “femmina”, che non è infatti il semplice scenario del racconto, ma ne diventa una co-protagonista, quasi in carne e ossa, altrettanto quanto un’altra “lei”, Madre Natura, che nelle mie pagine troverete scritta sempre così, con le maiuscole che le si devono per rispetto.
Affascinato, dunque, dalla Georgia
Sì, è vero, la Georgia mi piace molto. Ma cara – in realtà ben più che cara, perché io la amo – mi è soltanto Savannah, che frequento ininterrottamente dal 1991 e della quale sono un orgoglioso cittadino onorario dal 1998. Perché la amo? Buona domanda, in quanto è di difficile risposta. O meglio, una risposta ci sarebbe, ed è che l’amore è il sentimento più bello in quanto non gli puoi dare un perché, come invece puoi fare con il dolore, la gioia, oppure con la rabbia o la frustrazione. Nel senso che l’amore “è” e basta. Non si spiega, non lo puoi spiegare, perché se riesci a farlo non è più amore, ma grande amicizia o al massimo simpatia. Il fatto è che io ho avuto la fortuna di girare e raccontare per lavoro buona parte del mondo e mi sono sempre sentito a mio agio in qualsiasi luogo; ma il giorno in cui sono capitato più o meno per caso a Savannah qualcosa mi è scattato dentro e ho scoperto – nel romanzo lo faccio dire al protagonista, uno che mi assomiglia molto – “come e perché ci si possa innamorare anche di un luogo e non soltanto di una persona”. Amo Savannah così come un uomo ama una donna, con i suoi pregi, ma anche con tutti i suoi difetti.
Alberto Landi ce l’ha fatta. Ma come si può rinascere dopo un dolore immenso?
Penso che il segreto per tornare a vivere, soprattutto dopo un immenso dolore, sia proprio quello che ho appreso da Mother Nature nei miei regolari soggiorni a Savannah, in una casa quasi invisibile dall’esterno perché avvolta da alberi secolari, dove di notte il buio e il silenzio sono assoluti, dove alla bellezza mozzafiato di un tramonto può sostituirsi di colpo la paura di un uragano, dove nell’erba alta vicino al fiume possono esserci sì orsetti lavatori ma anche meno simpatici alligatori e infine dove, soprattutto, l’immutabile alternarsi ogni sei ore delle maree ti insegna come un uomo diventi per davvero grande soltanto quando, di fronte a questi fenomeni che lui e i suoi simili non potranno fortunatamente mai mutare, capisce quanto piccolo in realtà lui sia. È soltanto quando hai la fortuna di perdere quella presunzione da superuomo di città che riacquisti tutta la tua potenzialità di forza interiore. Quando hai quella, poi tutto diventa possibile, anche affrontare positivamente il dolore dei ricordi. Anzi, sono proprio loro i mattoni della nuova vita.
Cinzia Ficco