Agar rimane muta nell’irrigidimento dei tratti che le si accanisce sul volto ogni volta che, attraverso Luca, ascolta i racconti di Marcello su di lei.
«Marcelo era una persona tanto strana, tanto forte e debole insieme… Non voglio parlare di lui, ora. Ma prima di arivare a Iraklio ti chiedo di salire verso il vilagio di Fòdele». L’auto comincia la salita, tornante dopo tornante. Il mare alle loro spalle si allunga. A destra lo strapiombo, a sinistra comincia una discesa tra valli boscose cosparse di gruppi sparuti di case, che formano i villaggi dell’interno.
«Ecco la strada per Fòdele. Ma perché ci stiamo andando?». «Devi sapere che quando tornai da Fotinù a Pachia Ammos, portando con me le munizioni che mi aveva consegnato Nikos, prima mi acompagnò un uomo di fiducia di Laridatsis. Fino a qui vicino. Ma gli requisirono il camion e così io rimasi a piedi. Avevo però le credenziali del nuovo capo delle trupe tedesche in Creta, me le aveva mandate Mavrudìs, e così chiesi ai soldati tedeschi se potevano acompagnarmi a Iraklio, che lì mi aspetava proprio il dotor Mavrudìs. Vài, vài avanti, ecco, vai a destra. Fermati qui». Dal piccolo promontorio dove hanno parcheggiato lo sguardo domina una valle di platani, canne e alberi di arancio, lungo la quale serpeggia un fiume sottile. Dopo una breve ma ripida salita si trovano di fronte a una chiesa di pietra, antichissima. «Questa è chiesa dela Panaghìa, la Madona, così diciamo noi». La chiesa è ombreggiata dalla chioma di un ulivo snello e solitario. La porta d’ingresso, semiaperta, sbatte di tanto in tanto.
«Devi ascoltare un’altra dele mie storie della guera. Qui è suceso, e per questo anche qui ti ho voluto portare».
I soldati tedeschi accettarono di prenderla con sé, dopo aver accuratamente visionato le credenziali e senza ispezionare il bagaglio della minuta creatura biondocastana dalla tosse co- stante che la rendeva innocua e fragile quanto un fiore passeggero.
Era talmente stanca che, salita sul camion dei tedeschi e in attesa di giungere a Iraklio, si assopì. La svegliò di soprassalto un odore acre, seguito da un lamento. Si affacciò dalla parte anteriore del carro. C’erano soldati che gridavano e il guidato-re del carro merci annotava qualcosa su un blocco. Quando la vide che sbirciava fuori, le disse in un greco corretto: «Se vuoi puoi scendere, ma non è un bello spettacolo».
Dal carro vide le porte mitragliate e un fuoco che bruciava indumenti. Il guidatore le tese una mano per aiutarla a scendere e lei ebbe paura di opporre un rifiuto. Percorse piano il tratto di strada sino a una chiesa di pietra davanti alla quale c’era un piccolo spiazzo e, al centro, un ulivo. Il lamento veniva da una donna in ginocchio che passava sul suolo pavimentato di piastrelle rosse un lungo straccio grigio. Lo avvolgeva strizzandolo dietro di sé, nel terriccio dove aveva radice l’ulivo, e ricominciava. Quando strizzava, usciva acqua rossa. La donna a terra levò lo sguardo su di lei senza interrompere la pulizia. Agar passò sul pavimento come su una brace, quasi sulle punte.
Vide quindi distintamente i corpi accatastati uno sull’altro, accanto alla chiesa. Dietro, una fontana continuava a zampillare acqua fresca. Senza guardarli, aggirò i cadaveri e andò a bere. Era sbigottita dal terrore. Si voltò e diede uno sguardo fugace al mucchio. Una mano arrossata di donna stava stesa verso l’ingresso della chiesa. Con l’altra copriva il capo bruno di un bambino. Sentì mancarle il fiato, ma più si sforzava di aprire il torace per prendere ossigeno, più l’odore di fumo e sangue le opprimeva i polmoni.
La vista della testa del bimbo dai capelli ancora soffici le diede una specie di soddisfazione. C’era qualcosa di tragicamente consolante nella facilità con cui quella vita era stata spezzata. Forse significava che non c’è un solo destino di donna; o forse che Dio Onnipotente non dà valore alla vita. “E allora” pensò, “non vale la pena di impegnarsi e lottare”. Corse verso il camion e, una volta salita, palpò l’orlo della veste: era arricciata di sangue rappreso.