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LIBRI | Richler - Nicholls - Yates

Creato il 20 aprile 2015 da Siboney2046 @siboney2046

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Dopo Il dono di Nabokov sono riuscita a riprendere il mio abituale ritmo di lettura, complici anche una serie di romanzi decisamente di più facile fruizione. I protagonisti di questo ultimo mese sono state tre vecchie conoscenze per me, ovvero Richler, Nicholls e Yates.

Richler è il Mordecai celebre soprattutto per La versione di Barney, il dissacrante ebreo canadese capace solo di complicarsi la vita cedendo alle sue molteplici debolezze. Anche L’apprendistato di Duddy Kravitz ha come protagonista un ebreo canadese, ma stavolta si tratta di un ragazzino che proviene da una classe sociale medio-bassa, un teppistello ambizioso, che aspira ad una vita agiata e non si fa alcuno scrupolo per ottenerla. Talvolta fa capolino qualche senso di colpa, qualche pensiero penitente, ma il fine stravolge sempre i suoi buoni propositi. Accanto a lui compare una teoria di personaggi minori ma altrettanto grotteschi, come il fratello coscienzioso ma debole di carattere; il feroce gangster disabile; lo zio arricchito e spaccone; il fedele aiutante epilettico, devoto ai limiti della stupidità.
Un romanzo scandito da innumerevoli vicende che mirano allo scopo di Duddy, ovvero comprare della terra perché «un uomo senza terra non è niente», ma che mostrano soprattutto la fragilità dell’essere umano che nonostante una volontà di ferro è sempre vinto dalle schiaccianti debolezze che in genere si chiamano affetti. La prosa di Richler è veloce, senza troppo pretese, i dialoghi brillanti e ben bilanciati: non siamo ai livelli de La versione di Barney, ma sicuramente si tratta di un romanzo d’evasione che vale la pena di essere letto.

Noi è l’ultimo romanzo di David Nicholls, universalmente noto per quel piccolo capolavoro sentimentale che è Un giorno che io, come molti, ho letto tutto d’un fiato. Anche Noi parla di una coppia, esattamente come Un giorno, tuttavia non di una coppia che si sta scoprendo, come Emma e Dexter, ma di una coppia che vive assieme da moltissimi anni, sposata, con un figlio. Douglas, biochimico, e Connie, aspirante artista, si conoscono negli anni Ottanta e nonostante le divergenze di carattere, di ambizione e di stile di vita, si sposano, hanno un figlio, trascorrono molo tempo sotto lo stesso tetto. Il racconto inizia proprio nel momento in cui Connie annuncia a Douglas che vuole lasciarlo, ma solo dopo il loro Grand Tour in Europa, regalo che hanno intenzione di fare al figlio Albie che, finita la scuola, si appresta a lasciare il tetto familiare (regalo peraltro poco gradito ad Albie). La narrazione è in prima persona, fatta da Douglas, che racconta il viaggio disastroso con lunghi flashback sul suo passato con Connie, quasi a spiegare come sono arrivati a quel punto. Sebbene il soggetto potesse essere molto interessante, ho trovato piuttosto scarsa la realizzazione su carta: molti, moltissimi, troppi dialoghi, per i miei gusti, che tolgono gran parte del gusto alla lettura e all’immaginazione. Molte anche le battute e gli episodi divertenti, ma nel complesso ho avuto la percezione di un puro divertissement che poco ha a che fare con la tematica piuttosto malinconica della fine di un matrimonio. Ovviamente si tratta di una scelta autoriale, ma per i miei gusti abbassare così il registro svilisce anche l’argomentazione, offrendo una manciata di risate in cambio di una storia che avrebbe potuto essere struggente (e per me il cambio non è decisamente favorevole). Si tratta comunque di una romanzo gradevole, che distrae senza troppe pretese, ma non certo di una piccola perla com’è Un giorno.

Dei tre romanzi quello che sicuramente ho apprezzato di più è Una buona scuola di Richard Yates. Yates è un mostro della letteratura americana, in passato poco conosciuto ed apprezzato dal grande pubblico, ma riscoperto di recente grazie anche alla magnifica trasposizione cinematografica di Sam Mendes di Revolutionary Road. La tematica di Una buona scuola è certamente più leggera, ma non per questo perde di vividezza e malinconia. Racconta le vicende di una scuola (fatta di alunni, professori ma anche i edifici con un anima) piuttosto strana, fondata da una patronessa âgée ed originale, che fa della bizzarria una cifra stessa dell’istituto. Si potrebbe definire un romanzo di formazione, in quanto vediamo alcuni dei personaggi crescere e farsi uomini dal primo all’ultimo anno della scuola, a partire da quello che, pian piano, spicca come uno dei protagonisti della storia, William Grove (nonché alter ego dell’autore), che da sfigatello vessato dai bulli si fa lentamente uomo, conservando le sue peculiari eccentricità. La prosa è magnifica, come solo un grande maestro sa fare, ma non pecca di tracotanza: semplice, lineare, perfettamente adatta al registro narrativo; ci sono dialoghi, senza eccedere, che sono sempre scanditi da un quid diverso, esclusivo, tipico delle belle penne anzi, delle penne dei Grandi. Non si piange, non ci si sente lacerare dentro, non si percepisce il peso del fallimento come succedeva in Revolutionary Road, ma qualcosa resta dentro e non succede sempre, neanche con i libri migliori.


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