Qualche mese fa, non ricordo esattamente la data precisa, durante una lezione di Storia del Libro e dell’Editoria, la professoressa ci propose il seguente dibattito: “cos’è meglio tra le nuove tecnologie e l’oggetto libro?”
In poche parole, la classe venne divisa in due gruppi, uno pro-tecnologia e l’altro pro-stampa, e si discusse per un’oretta e mezza sui vantaggi e svantaggi dei vari modi che esistono per la diffusione della conoscenza.
Fin da subito mi dichiarai parte neutrale, in quanto sì sono assolutamente a favore del libro, ma anche perché non disprezzo le nuove tecnologie (e-book, tablet, internet, eccetera). Durante il dibattito non riuscii a parlare molto, anche perché non sono il genere di persona che prende prepotentemente parola ed esprime in men che non si dica il proprio pensiero su un dato argomento. La mia opinione su qualsiasi cosa è frutto di un’attenta riflessione su di essa, per non parlare del fatto che mentre parlo mi da un enorme fastidio essere interrotto di continuo da altre persone.
Lasciai passare così il dibattito, meditando profondamente e tenendo conto dei vari punti di vista ascoltati.
Passarono alcuni mesi, finché un bel giorno non mi ritrovai tra le mani un libro: Non sperate di liberarvi dei libri. Sopra di esso spuntavano i nomi di Jean Claude Carrière e, squillo di trombe, Umberto Eco. In quel momento mi ricordai che la professoressa del suddetto corso ci parlò velocemente di quel libro, così decisi di cominciare a leggerlo.
Il saggio, in uno stile molto simile ad una sceneggiatura teatrale o cinematografica, ci presenta una sorta di dialogo tra i due autori sul tema libro, sulle nuove forme di stampa e tecnologie e dissertazioni storiche a non finire (nell’ottimo stile di Eco).
La lettura scorreva niente male, e arrivai così al secondo capitolo, introdotto dalla seguente domanda:
«Ci interroghiamo sulla perennità dei libri, in un’epoca in cui la cultura sembra fare la scelta di altri strumenti, forse più efficienti. Ma cosa pensare di quei supporti pensati per immagazzinare l’informazione e le nostre memorie personali – penso ai dischetti, alle cassette, ai cd-rom – che ci siamo lasciati alle spalle?»1
Qui un fulmine, usando un’espressione spugnana (se non mi azzeccate la citazione vi sparo), mi attraversò il cervello. Subito mi tornò in mente il dibattito fatto in aula, e senza indugi mi convinsi che un articolo a riguardo dovevo pur scriverlo. Mi convinsi anche di aver trovato definitivamente una risposta alla domanda presentataci dalla professoressa.
Intanto vi lascio qualche estratto dal capitolo preso in esame, cosicché anche voi possiate arrivare a formulare un vostro pensiero a riguardo:
« UE Non molti anni fa, la Patrologia Latina di Migne (221 volumi!) è stata proposta in cd-rom al prezzo, se mi ricordo bene, di cinquantamila dollari. […] Ormai, invece, con un semplice abbonamento, puoi accedere alla Patrologia on line. Stessa cosa per l’Encyclopédie di Diderot, proposta poco tempo fa da Le Robert in cd-rom. Oggi la trovo on-line per niente.»2
« JCC È questa, del resto, una delle tendenze del nostro tempo: collezionare ciò che la tecnologia si sforza di rendere fuori moda. Uno dei miei amici, un cineasta belga, conserva nella sua cantina diciotto computer, semplicemente per poter guardare antichi lavori»3
« JCC Possiamo, dunque, ancora leggere un testo stampato sei secoli fa. Ma non possiamo più leggere, non possiamo più vedere, una videocassetta o un cd-rom vecchio di qualche anno appena. A meno che non conserviamo i nostri vecchi computer in cantina»4
« JCC Le videocassette, lo sappiamo, perdono colore, definizione e si cancellano rapidamente. I cd-rom sono finiti. I dvd non avranno vita lunga. E del resto, come abbiamo detto, non è neanche sicuro che disporremo, nell’avvenire, dell’energia sufficiente a far funzionare tutte le nostre macchine. Pensiamo al black-out avvenuto a New York nel luglio 2006. Immaginiamo che possa estendersi e prolungarsi. Senza elettricità, tutto è irrimediabilmente perso. Al contrario, potremmo ancora leggere dei libri, durante la giornata, o la sera con una candela, quando tutta l’eredità dell’audiovisivo sarà scomparsa.»5
« JCC In ogni caso, se la memoria visiva e sonora del XX secolo andrà perduta con un enorme tilt elettronico, o in un qualsiasi modo, ci resterà comunque sempre il libro. Troveremo sempre il modo di imparare a leggere da piccoli»6
« UE Quando la salvaguardia è possibile, quando si trova il tempo di mettere gli emblemi di una cultura in un luogo sicuro, è più facile salvare il manoscritto, il codex, l’incunabolo, il libro, che la scultura o la pittura»7
« UE Perché correre il rischio di riempirci di oggetti che rischierebbero di restare muti, illeggibili? Abbiamo dimostrato la superiorità dei libri su ogni altro oggetto che le nostre industrie della cultura hanno messo sul mercato in questi ultimi anni. Dunque, se devo salvare qualcosa, di facilmente trasportabile e che ha dato prova di capacità di resistere agli oltraggi del tempo, scelgo il libro»8
« JCC Torniamo alla domanda: quali libri tenteremmo di salvare in caso di disgrazia? La tua casa va a fuoco: sai quali opere cercheresti di proteggere?
UE Dopo che ho parlato così bene dei libri, lasciami dire che porterei via il mio disco rigido esterno di 250 giga, che contiene tutti i miei scritti degli ultimi trent’anni. Dopo di che, se ancora ne avessi la possibilità, ovviamente cercherei di salvare uno dei miei libri antichi, non necessariamente il più costoso, ma quello che amo di più»9
Indubbiamente tutti e due gli autori sono convinti dell’utilità dei nuovi supporti: si trasportano più facilmente, possono contenere più informazioni e possono essere aggiornati più velocemente. Pensiamo anche solo ai cataloghi on-line, alle enciclopedie liberamente consultabili rimanendo seduti a casa e senza spendere un soldo di troppo, o senza recarsi in qualche biblioteca remota.
Addirittura Umberto Eco salverebbe per prima cosa i suoi scritti, conservati in un hard disk esterno. Molto più comodo che salvare dalle fiamme una pila interminabile di manoscritti, magari perdendo metà dei fogli nella fuga. Diciamo pure che, un computer, per quanto riguarda la scrittura è uno strumento fantastico. Anch'io lo uso per scrivere, e devo dire che è di una comodità estrema. Però bisogna anche tener conto della capacità di questi nuovi supporti di divenire obsoleti nel giro di pochi anni.
Il punto centrale del dibattito che ci propose la professoressa, per come la vedo io, è proprio l’elemento base di cui abbisognano queste tecnologie per essere utilizzate: l’elettricità. Ora come ora, se l’ipotetico black out di New York ci colpisse, cosa ci rimarrebbe?
I nostri cellulari, iPad, computer ed e-book nuovi di zecca risulterebbero essere degli inutili pezzi di plastica e metallo. Forse i nostri laptop potrebbero divenire dei buoni leggii. E sempre per lo stesso motivo televisione e radio scomparirebbero all’istante.
Cosa ci rimarrebbe? Il libro. Certo, la stampa tornerebbe ad essere un processo lungo e faticoso, ma la cultura troverebbe comunque il suo mezzo per essere veicolata in tutto il mondo. Pensiamo anche che il settore editoriale procederebbe sì con più lentezza, ma ritroverebbe nuovo vigore dato che sempre più persone dovrebbero lavorare anche solo alla stampa di un quotidiano e che rimarrebbe l’unico veicolo necessario per diffondere la cultura.
Tra l’altro, un libro può essere letto anche senza l’ausilio della luce artificiale. Possiamo dire che è lo strumento base per la diffusione della cultura: è uno strumento che, in quanto già perfetto in sé, non può essere perfezionato da alcunché.
Or dunque… cos’è meglio tra libro e nuove tecnologie?
Diciamo pure che il libro non presenta limiti insormontabili per quanto riguarda la sua lettura e produzione. Le nuove tecnologie sì.
In caso di apocalisse energetica la risposta è semplice: il libro.
E.
1. Jean-Claude Carrière e Umberto Eco, Non sperate di liberarvi dei libri, Bompiani, Milano, 2009, p. 21
2. Ibidem, p. 23
3. Ibidem, p. 23
4. Ibidem, p. 24
5. Ibidem, p. 30
6. Ibidem, p. 31
7. Ibidem, p. 32
8. Ibidem, p. 36
9. Ibidem, p. 38