“Liceali – L’insegnate va a scuola” di Francesca Luzzio: vengono colti attimi fuggenti di vita vissuta

Creato il 10 luglio 2014 da Alessiamocci

“Liceali – L’insegnante va a scuola“. Francesca Luzzio, docente di italiano e latino, palermitana, dal fulgido curriculum, riversa in questo testo tutta la sua passione di insegnante, costretta a sopperire alle mancanze provocate dalla frantumazione della trimurti Stato-Scuola-Famiglia, che un tempo coese nel conseguimento dello stesso nobile intento  di costruire cittadini capaci e rispettosi delle leggi civili, ora si trovano a vivere una comunicazione molto disturbata in uno stantio rigettarsi delle responsabilità e delle competenze.

Non saprei dire quanto questo sia attribuibile al fatidico Sessantotto, come si sostiene nella prefazione, e quanto non sia invece l’esito di una degenerazione inevitabile che già i Greci avvertivano come tratto ineludibile della storia dell’uomo. Certo non mi sento di attribuire al Sessantotto tutte le responsabilità, perché era già nell’aria da tempo, dalla crisi del primo Novecento che qualcosa dovesse cambiare.

Siamo entrati in una crisi radicale, apparentemente senza ritorno, ma dal prosimetro ben strutturato della professoressa si evincono anche palpiti non irrilevanti di speranza. I giovani, le prime vittime dello Stato e della Famiglia, soli, smembrati, disillusi, nichilistici, narcisistici ,danno a volte prove inattese di rivalsa interiore e di autentico vitalismo.

Da insegnante di latino e greco dal 1987, posso testimoniare che il quadro che emerge della scuola italiana è del tutto corrispondente alla realtà attuale. Mi pare un po’ idealizzata la figura del Dirigente Scolastico, che deve essere un’eccezione all’interno dei circuiti lobbistici che la fanno da padrone sì da rendere la scuola un feudo del dirigente con i suoi bravi e feudatari.

A parte questo appunto che va fatto, perché la crisi della scuola risente molto dello strapotere iniquo dei dirigenti scolastici con spartizioni di favori illeciti, il libro mi ha veramente toccata nelle corde più intime: ho rivisto davanti ai miei occhi i tanti alunni che mi sono passati tra le mani, quelli che ce l’hanno fatta e quelli che si sono lasciati trascinare dalla fiumana di un apparente progresso, che è realtà allucinata, perdita di consapevolezza e di valori sani e introiettati. Ho visto nello sguardo attonito e perso di questi ragazzi lo sbandamento dei miei alunni, la loro difficoltà a concentrarsi, il loro perdersi dentro arcani pensieri.

Dietro l’altezzosità di qualcuno si nasconde la profonda fragilità, l’assenza di intelligenza emotiva, l’animo indurito dal lungo patire situazioni di disagio risalenti all’infanzia. Il senso di abbandono e di frustrazione, la non corrispondenza degli affetti, perché i genitori sono separati o assenti per inseguire la chimera della carriera. Così come vera è la forte sperequazione sociale che si crea sempre di più tra ricchi e poveri, la sofferenza degli uni e degli altri, la difficoltà a trovare un centro della loro esistenza, fino a cadere nella rete della droga, fino a tentare una notte da prostitute per il gusto di esperire emozioni nuove.

Sotto di loro il nulla, il vuoto esistenziale; allora si diventa violenti per divertissement, si spaccia, ci si droga, si picchia il diverso, il gay, il barbone, si derubano le vecchiette inermi e si gode per un attimo il brivido intenso di una pseudo-vita. Sperimentati da me anche i colloqui con i genitori: arroganti, saccenti, detentori di verità di fronte a noi poveri insegnati straccioni, che lavoriamo di fatto come volontari, come assistenti sociali, come crocerossine, come Caritas e Fate bene fratelli… Per poi passare nella vox populi come quelli che lavorano 18 ore la settimana con tre mesi di vacanza, sminuendo tutta l’operazione di ricostruzione delle coscienze che tentiamo di operare durante in nostro uffizio.

Ma quando un insegnante mette tutto se stesso nella propria missione,gli alunni se ne avvedono e si aprono e mostrano le ferite interiori, ma a volte troppo tardi per essere rimarginate. La professoressa-autrice risponde alla categoria dell’insegnante alla Montesquieu: quella che lascia gli alunni diversi da come li abbia trovati. E intanto osserva la trepidazione degli insegnanti più giovani che dinanzi questo imponente compito di rieducazione alla salute psico-sociale con tutta la trepidazione del caso.

La professoressa di Palermo che in un’insolita giornata di nebbia rimembra il suo passato e la memoria storica del padre circa gli orrori della seconda guerra mondiale vale più di mille manuali asettici e nozionistici, difatti il messaggio arriva forte e pungente ai discepoli che si commuovono davanti ai versi recitati di Quasimodo.

Perché i ragazzi hanno l’esigenza di sentire profondamente il collegamento tra la scuola e la vita, che di norma sono scollegate e tutto diventa noia e obbligo ad uno studio coatto e non motivato. La silloge poetica che costituisce la seconda parte è assolutamente commuovente e ben strutturata in quel punto in cui il talento naturale della poetessa si incontra col tirocinio e la tecnica.

Vengono colti attimi fuggenti di vita vissuta che con folgorazioni di pensieri riportano a riva tutti i contenuti sviluppati nella parte in prosa, con dedica agli alunni e alle classi con cui in fondo si condivide con passione indefessa anni di vita, proprio coincidenti con quelli della formazione degli individui.

Non posso che complimentarmi con la mia collega e invitarla a spedire l’opera all’attuale Ministro della Pubblica istruzione che dalla proposta di demolizione ulteriore della scuola dimostra che in un’aula scolastica non vi è mai entrato.

Written by Giovanna Albi


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