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“Licenziati” a 8 anni dalla società sportiva

Creato il 10 novembre 2012 da Educalcio

“Licenziati” a 8 anni dalla società sportivaNon ha lasciato indifferente il Csi (e ovviamente neanche la redazione di EduCalcio.it) la recente storia della società calcistica San Giovanni di Trieste che ha licenziato sei baby calciatori di 8 anni con una lettera spedita a casa. I bambini ed i rispettivi genitori l'hanno presa molto male perché si è trattato di un vero e proprio licenziamento. Il presidente della società, Spartaco Ventura, ha risposto, "In ogni caso, dopo il 30 giugno di ogni anno, come i bambini sono liberi di cambiare società, anche la società è libera di fare le sue scelte".

È una storia che lascia l’amaro in bocca quella raccontata venerdì 9 novembre da Il corriere della sera. Vi si parla di un gruppo di sei bambini triestini di 8 anni che si sono visti recapitare a casa una bella lettera con cui il presidente della società sportiva di appartenenza comunicava loro di non poterli tesserare per il 2012-2013.

Motivo ufficiale: la necessità di sfoltire il gruppo, per l’impossibilità di seguire tutti i ragazzi già tesserati. I bambini “licenziati”, si leggeva su quotidiano milanese, erano rimasti così male da volere abbandonare lo sport. Aver dovuto leggere una vicenda così sbagliata ha fatto male anche a noi.

Primo errore: un bambino di 8 anni non è un esodato, cui il datore di lavoro comunica per posta, secondo i canoni burocratici, che deve abbandonare il lavoro per inderogabile ristrutturazione aziendale. I bambini quando si vedono spezzare i loro sogni hanno bisogno di spiegazioni, di dialogo, di umana attenzione, di affetto e di consolazione. Niente che si trovi in una lettera circolare. Quel presidente poteva almeno parlare con loro.

Secondo errore: per i bambini e i ragazzi il gioco è un diritto umano sacrosanto, riconosciuto dalle massime autorità sovranazionali. Mettendo alla porta i piccoli tesserati, quella società sportiva ha violato, oltre al buon senso, un diritto stabilito in una convenzione recepita dallo Stato italiano.

Terzo errore: i club del calcio professionistico non possono mettere alla porta i giocatori sovrannumero, e se si azzardano a provarci vengono puniti di brutto secondo le norme sportive vigenti. Possibile, invece, che i diritti dei bambini che fanno sport ancora oggi non siano garantiti da alcuna norma?

Quarto errore: in una società sportiva bene organizzata e bene motivata 6 ragazzini in più non possono costituire un peso insostenibile. Se ciò accade, o latita l’organizzazione o latita la motivazione. Soprattutto latita il senso di responsabilità.

Quinto errore: non risulta che alcuna istituzione, amministrativa o sportiva, si sia fatta viva con le famiglie di quei sei ragazzi per scusarsi e promettere l’impegno perché non accada mai più. Un silenzio che stona e fa dubitare del futuro. Che senso ha affermare di volere ampliare il bacino dei ragazzi sportivi, se poi di fronte a una società sportiva che “licenzia” sei bambini e espone il cartello virtuale “Andate altrove. Siamo al completo”, nessuno accerta, nessuno si indigna, nessuno interviene?


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