Gabriele D’Annunzio nacque a Pescara il 12 marzo 1863 e pare sia morto a Gardone Riviera, in provincia di Brescia il 1º marzo 1938. Dico pare in quanto un anno fa circa, in occasione del 150° anniversario della nascita, si susseguivano voci secondo le quali il poeta sarebbe stato visto aggirarsi tra le stanze della sua residenza, il Vittoriale.
Capirete bene che non è possibile che il vate sia ancora vivo e diciamolo, credo poco ai fantasmi, agli spiriti o quant’altro di questo genere. Perciò ho deciso di recarmi di persona nello splendido paesino sulle rive del Garda, nonostante vi fossi già stata anni addietro. La splendida giornata mostrava il lago in tutto il suo splendore e l’interno della casa pareva essere ancora più ricco di libri ed oggetti collezionati dal padrone di casa.
È stato un piacere poter visitare ancora una volta quell’incredibile casa-museo ma di D’Annunzio neppure l’ombra. Se non fosse che quando mi recai all’esterno, verso il parco mi parve di essere seguita. Si trattava di un giorno feriale e i visitatori erano di numero inferiore rispetto al solito ed oltre a me ben poche persone passeggiavano lì fuori. Proseguii la mia passeggiata fino alla Nave Puglia dalla quale si gode di uno splendida vista sul lago quando notai che a prua un individuo si sporgeva in modo sospettoso.
Non c’era nessun altro lì in quel momento e non potevo certamente andarmene facendo finta di niente. Così mi avvicinai e chiesi a quell’uomo se andasse tutto bene. Quello si girò con un ghigno sulle labbra e non immaginate che sorpresa e spavento al tempo stesso provai riconoscendo in lui Gabriele d’Annunzio!
Ma secondo voi io potevo credere che si trattasse del grande poeta in persona? Certamente no. Doveva essere un sosia ma egli, leggendo stupore nei miei occhi, cercò di convincermi di essere “l’originale”.
E sapete quale prova mi fornì per convincermi della sua veridicità? Si sollevò la camicia e mi mostrò una cicatrice sul costato. Si trattava forse di un emulatore? Fatto sta che cominciò a sciorinare la sua vita ed ancora più incredula fui quando pronunciò queste parole: “Rebecca, mi conceda un’intervista per Oubliette”.
Come poteva conoscere il mio nome e sapere di cosa mi occupa nella mia vita? In quel momento ho deciso di abbandonare ogni pensiero razionale consapevole di poter finalmente incontrare e addirittura intervistare uno dei miei scrittori preferiti.
Il risultato del nostro proficuo incontro è qua sotto.
R.M.: Non so come ringraziarla per questa opportunità signor D’Annunzio.
Gabriele d’Annunzio: Mi chiami pure Gabri, sono certo che dopo quest’intervista la nostra conoscenza si sarà certamente approfondita.
R.M.: La ringrazio ma cercherò di mantenere un atteggiamento professionale. La mia prima domanda è questa: ha saputo che la sua dimora è divenuto un museo visitato quotidianamente da centinaia di persone?
Gabriele d’Annunzio: Sì, ahimè. Anni a collezionar ninnoli di pregio per poi lasciarli alla stregua di chissà quali individui vogliosi solamente di curiosar tra i beni altrui. Per fortuna il mio fidato Gian Carlo Maroni ha fatto un buon lavoro, così come mi auspicavo, ed è stato in grado di preservare ciò che più mi era caro.
R.M.: Non trova però che si tratti di un modo tramite il quale il pubblico possa conoscerla meglio?
Gabriele d’Annunzio: “Io ho quel che ho donato perché nella vita ho sempre amato”, dissi qualche anno fa ma con ciò non intendevo donare i miei averi al popolo. Si tratta di beni privati, non pubblici. E chi mi vuol conoscere poteva venire a trovarmi anni fa, oppure limitarsi a leggere i miei libri.
R.M.: Capisco. A proposito dei suoi libri, ce n’è uno tra i tanti da lei scritti al quale è più legato?
Gabriele d’Annunzio: “Il piacere” è stato il mio primo grande amore poiché contiene la mia essenza e alcune tra le mie parole che più sono care: “Bisogna fare della propria vita, come si fa un’opera d’arte. Bisogna che la vita d’un uomo d’intelletto sia opera di lui. La superiorità vera è tutta qui.” Non sono da meno le altre mie opere naturalmente, per non parlare delle mie liriche così personale e così sentite. E che dire poi del mio “Notturno”, forse il mio vero capolavoro. Tutti prima di questo mio scritto ritenevano che io fossi un uomo perennemente avvolto da eventi paghi ma dove mettevano la mia sofferenza, la mia pena per come pareva volgersi la mia esistenza in quegli ultimi anni? Quell’incidente aereo fu un momento di profonda riflessione per me. Ora come allora rimembro quegli istanti, quell’urgenza di solitudine… “Lasciatemi respirare! Lasciatemi bevere il vento, fiutare il rischio, spegnere nella mia ansia le faville e le stelle! Lasciatemi rivivere il silenzio la vittoria e la notte! Non sono rovescio sul mio letto di miseria. Sono diritto sul ponte dell’Impavido; e io il cacciatorpediniere e tutto l’equipaggio abbiamo il medesimo nome verace.”
R.M.: Che onore poter udire dalle sua labbra tali parole. Ma tornando alla sua vita, lei è stato definito Poeta, Vate, Comandante. In quale di questi si rispecchia maggiormente?
Gabriele d’Annunzio: Per me non vi è differenza, appellatemi come prediligete e se necessitate di un nuovo aggettivo apprezzerei “Amante guerriero” come sono stato definito da uno dei miei biografi e grande presidente di quella che è diventata la Fondazione Il Vittoriale degli Italiani, Giordano Bruno Guerri.
R.M.: Durante gli ultimi anni della sua esistenza è stato calunniato da coloro i quali hanno asserito che lei era troppo coinvolto in questioni politiche e che malignavano sul suo rapporto con Benito Mussolini. Qual è la sua opinione al riguardo?
Gabriele d’Annunzio: Che malignino pure, la loro è pura invidia per il mio operato. La questione è semplice: il mio essere nazionalista e il mio confidare realmente nelle esigenze degli Italiani faceva paura a tanti. Per quale ragione lei crede che io abbia volato sui cieli di Vienna o avviato l’impresa di Fiume? E il volo a bordo dell’Impavido? A me costò un occhio ma la dipartita del mio caro amico ed alleato Miraglia non può e non deve essere stato vano! Il mio unico intento era quello di adoperarmi per l’Italia, per la sua unità. Temevo, e, vedo, a ragione, per la sua incolumità. Benito negli ultimi anni operava in modo troppo egoistico, non poteva che finire male.
R.M.: Cambiamo argomento, discorriamo di donne, sono certa ne sarà felice, vista la sua fama di Don Giovanni. E’ noto a tutti il fascino da lei scaturito nei confronti di alcune tra le donne più belle di quegli anni. E’ lecito domandarle se vi sia stata una donna che ha preferito alle altre?
Gabriele d’Annunzio: Immagino che lei si aspetti che io dica Eleonora Duse. Senza dubbio lei è stata la donna che più mi ha trascinato tra le sue seducenti braccia, così intrisa d’arte e di fascino. Ma non è stata l’unica. Vogliamo discutere della passione provata per Barbara Leoni? Quelle labbra perfette, quegli occhi sempre vibranti… Come dimenticare poi Nathalie de Golubev che fu così arduo far cedere alle mie avances amorose, lei sempre così elegante e sofistica ma fin troppo inflessibile e ferma nelle sue idee. Che dolce il pensiero delle mia amata Olga Levi Brunner, così convinta della sua validità come musicista ma in realtà piuttosto mediocre. Ma che amante! Olga, cara amica… galeotta fu la sua amicizia che mi condusse all’indimenticabile Luisa Baccara… Ah che reminiscenze! Cara e dolce Srnikrà, così giovane, con quelle gambe slanciate e l’ugola d’oro. Mai scorderò le nostre lettere appassionate, le nostre giornate trascorse sul morbido giaciglio ad esplorarci, le sue lunghe dita, la sua devozione. I miei alani la adoravano. Potrei proseguire per ore e chissà quanti nomi apparrebbero a lei ignoti. Altro che Don Giovanni! Al confronto egli sarebbe oggi ritenuto un pivello!
R.M.: Non ne dubitiamo. Ma mi tolga una curiosità: una delle stanze più attraenti ed interessanti della sua dimora è senza dubbio l’Officina. La guida che conduce all’interno di questa spiega che il basso architrave che va attraversato per accedervi era tale cosicché chi veniva a colloquio con lei si chinasse come dinanzi ad un re. Questo era il suo intento o vi è un’altra soluzione e noi ignota?
Gabriele d’Annunzio: Desidera venire a conoscenza della realtà?
R.M.: Certamente.
Gabriele d’Annunzio: Bene. Tutto ebbe principio con il mio amore per le donne. Quando il Vittoriale mi venne dato in dono l’Officina fu la prima stanza che mi adoperai per disporre al meglio. L’entrata era piuttosto bassa e sarebbe stato sufficiente distruggerla e ricostruirla successivamente. Ma quale occasione poteva rivelarsi per me? Gli individui si sarebbero chinati addentrandosi nel mio studio e lo stesso avrebbero fatto uscendo. Le donne che visitavano la mia dimora erano tutte dotate di grazia tangibile, corporea, di bramosia, e perché non concedermi di ammirarle in ogni occasione, di fronte e a tergo, accentuando il tutto con movimenti imposti dall’uscio così basso? Immagini inoltre quale vista per i miei occhi grazie alle donzelle che comparivano abbigliate da leggeri e soffici veli ondeggianti… Comprende cosa intendo o gradisce che le esplichi meglio?
R.M.: No, no, la ringrazio. È sufficiente.
Gabriele d’Annunzio: Come desidera. Il nostro tempo è scaduto, mi lasci riposare sotto l’ombra dei cipressi, lasci che io possa godere degli ultimi caldi raggi del sole, patisco un certo gelo tra le ossa. La ringrazio per queste sue domande e spero di poterla rivedere un giorno.
R.M.: Sono io a doverla ringraziare, non sa cosa significhi per me aver potuto fare la sua conoscenza. Buon riposo e grazie per ciò che ha fatto con la sua arte.
Con un galante baciamano che per un attimo mi ha turbato la nostra intervista è terminata. Un attimo di esitazione, mi sono voltata e Lui non era più lì. Sembrava così reale ma si sa, talvolta il caldo può fare strani scherzi.
Written by Rebecca Mais