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Life is Strange episodio 1: Chrysalis – Prima di diventare farfalla

Da Videogiochi @ZGiochi
di Martina "Ryot4" Fargnoli

La serialità è uno dei punti di forza delle fiction televisive, grazie al loro appuntamento quotidiano e diluito nel tempo generano un’alta fidelizzazione da parte del pubblico. Il recupero da parte dei videogiochi di questa forma di narrazione serializzata ha subito un’impennata negli ultimi cinque anni, merito di Telltale che ha sdoganato, non di certo inventato, l’episodicità come strumento di distribuzione. Il loro merito, semmai, sta nell’uso e l’impatto di scelte morali per delineare rapporti e conseguenze, forti della capacità dei personaggi di ricordare azioni e risposte. Il senso impellente di urgenza che sprona a compiere scelte “di pancia” trova la sua naturale collocazione in storie al di fuori dell’ordinario sempre in bilico tra vita e morte.

Life is Strange, dei francesi Dontnod (già autori di Remember Me), ha un approccio per certi versi completamente opposto, lento e pacato, dal taglio più cinematografico che fa suoi diversi piani di realtà e la riflessione intrecciata tipica dei “Puzzle Film” come Memento. Non ha alle sue spalle una licenza, ma si deve costruire tutto un mondo e lo fa saggiamente scegliendo la quotidianità della vita scolastica di una diciottenne a cui, bene o male, ci si può relazionare. Tipici problemi adolescenziali, conditi da qualche elemento di soprannaturale, per ora meno oscuro ma affine a Donnie Darko, in cui si innesta anche la ricerca di una ragazza scomparsa. Chi ha visto Rachel Amber si chiederebbe Dale Cooper di Twin Peaks, mentre la vita della cittadina di Arcadia Bay, nell’Oregon, viene sottoposta all’occhio fotografico di una Veronica Mars in erba in grado di riavvolgere il tempo. Se Chrysalis fosse il primo episodio di una serie tv, saremmo davanti ad un pilot convincente che potrebbe regalare belle sorprese in futuro.

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I dolori della giovane Maxine Caulfield

Cielo plumbeo, vento che soffia contrario e una strada di terra in salita che porta al faro sotto al quale si estende la baia. La situazione precipita sempre più, un tornado è pronto a spazzare vita la città davanti ai nostri occhi increduli. Li apriamo sussultando e ci troviamo in un’aula scolastica, turbati da quel vivido incubo, troppo reale per essere opera della fantasia. Maxine ha compiuto 18 anni e abbandonato la metropoli di Seattle per fare ritorno dopo cinque anni ad Arcadia Bay, la sua città natale. Qui si trova a frequentare la Blackwell Academy per portare avanti il suo sogno di diventare una fotografa professionista. Per il suo professore, le abilità fotografiche della giovane sono come un dono; è sua quella innata capacità di osservare il mondo con occhi diversi e curiosi, che si riflette con naturalezza nelle interazioni con l’ambiente circostante, sempre sollecitata e attratta da volantini, foto, oggetti e persone. L’altro dono, invece, è di tipo soprannaturale, ancora non è chiaro come e perché ne sia in possesso ma può riavvolgere il tempo all’occorrenza. Nessuno intorno a lei ne ha consapevolezza, motivo per il quale dopo aver stabilito un nuovo punto di azione nel flusso dello spazio-tempo gli NPC ripeteranno la loro frase standard mentre la protagonista interagirà con nuove opzioni e con gli oggetti acquisiti durante il riavvolgimento. Esatto, ogni oggetto con cui entreremo in possesso non verrà perso in seguito all’immediato tornare indietro con il tempo. La capacità di annullare le scelte si rivela utile per avere un’idea a breve termine dell’impatto delle conseguenze e darci quel falso senso di sicurezza di chi sa di avere un vantaggio sugli eventi. Quello che totalmente ignoriamo è il valore delle conseguenze a lungo termine, ma già da questo primo assaggio possiamo notare come le relazioni e i legami di fiducia tra i personaggi iniziano ad assumere un peso significativo, ma soprattutto come ogni piccola alterazione potrebbe essere la causa dell’incubo che ci ha accolti appena avviato il gioco.

Abbiamo in apertura sottolineato come il ritmo sia più blando e si adegui al nostro tempo di scelta piuttosto che imporci un ritmo sostenuto e incalzante, però dobbiamo sottolineare che non è del tutto assente la componente a tempo tanto cara alle avventure Telltale, la cui non presa di posizione entro un certo limite prefissato porta a quella che in fin dei conti è la scelta di subire le dirette conseguenze senza opzioni intermediarie. Come c’era da aspettarsi per questo primo episodio, la meccanica principale di manipolazione temporale funge da tutorial e viene integrata generalmente nella risoluzione di piccoli enigmi e compiti, nonché in funzione esplorativa per carpire più informazioni possibili dai personaggi coinvolti. Da questo punto di vista risulta essere la più debole delle componenti, o comunque quella sfruttata ancora solo superficialmente, nonostante dovrebbe essere l’elemento di novità rispetto ad altre avventure ad episodi. L’aspetto che più viene esaltato è invece quello “investigativo”, simile a quanto visto in Gone Home dove a parlarci e raccontarci una storia sono soprattutto gli oggetti, i pensieri e i ricordi. Questo approccio ha generato in noi un genuino senso di curiosità per ogni elemento evidenziato come osservabile; anche quelli che appaiono come i più insignificanti, sono in realtà piccole porte di accesso per nuove conoscenze, backstory, citazioni simpatiche che rendono il contesto vissuto da tutti i personaggi, anche quelli non giocabili.

Personaggi che, come abbiamo anticipato, sono investiti da problemi adolescenziali, ma ciò non deve erroneamente far credere che si tratti di un banalissimo teen-drama ambientato ai giorni nostri tra selfie, social e attitudini hipster. Per comodità di comprensione sono raffigurate macchiette, stereotipi, a cui la cultura televisiva americana ci ha abituati: la cheerleader, il quarterback, il nerd bullizzato e la geek, l’antagonista ricca e viziata, il figlio intoccabile di una famiglia facoltosa, l’alternativa, la ragazza “puritana” in uniforme da scuola cattolica. Sotto la loro veste lasciano intravedere una caratterizzazione meno superficiale e dilemmi che ci auguriamo trovino il giusto spazio di approfondimento e crescita nel corso dell’avventura. Ad esempio Max, la protagonista, si sente un po’ un’esclusa. Dopo aver passato tredici anni della sua vita ad Arcadia Bay, quando vi fa ritorno è come se quel posto non le appartenesse più, è lontana persino dagli stereotipi proposti. Chloe appare cresciuta in fretta, rifiuta l’ambiente e le regole con cui dovrebbe vivere a causa di profondi conflitti interiori, tra perdite e abbandoni. Il mondo degli adulti si mostra essere più infantile e incapace di far da guida. Il preside è un uomo ambiguo, più attento a non infastidire troppo “i potenti” che a far rispettare la legge; legge invece incarnata dal vigilante David Madsen convinto ancora di trovarsi in guerra e segnato da quella che ora viene presentata come una morbosa mania. Nelle due-tre ore di durata dell’episodio siamo stati accompagnati da un ottimo lavoro di regia. Superata la prima mezz’oretta un po’ ripetitiva, la narrazione assume sempre più contorni interessanti e ci lascia con tante questioni irrisolte che ci fanno ben sperare per i prossimi episodi. Il cliffhanger fa bene il suo compito, peccato che la cadenza prevista per gli episodi successivi sia di 6 settimane ciascuno, un tempo che non può che rendere veramente estenuante l’attesa.

Caro diario, life is beautiful

Dato che la storia di Life is Strange è in divenire e ci toccherà aspettare molto tra un episodio e l’altro, abbiamo trovato molto utile l’inserimento di un diario/agenda tenuto dalla protagonista in cui non soltanto ci vengono raccontati gli eventi attuali, ma ci vengono dati dettagli su ciò di cui non abbiamo avuto esperienza diretta. Le altre voci del menù comprendono le schede personaggi con foto e dettagli, una sorta di raccolta file divisa per luoghi con tanto di piccola mappa che indica dove prendono corpo gli eventi e al cui interno troviamo foto, volantini, lettere e tutto ciò che si può osservare nel corso dell’avventura da consultare comodamente quando vogliamo. In aggiunta troviamo anche la voce SMS che racchiude i messaggi che riceveremo sul nostro smartphone e a cui risponderemo però in modo automatico. La scheda che raccoglie le fotografie scattabili è invece una guida per indicarci quali sono le fotografie che sbloccano trofei e obiettivi, in tal senso se ve ne siete fatti scappare alcuni potete sempre tornare indietro giocando la modalità apposita per i collezionabili che evita che i salvataggi si sovrappongano; se invece volete rigiocarlo per realizzare altre scelte avrete a disposizione due slot salvataggi extra. Sia nell’interfaccia che nella presentazione, ogni foglio è molto curato, pieno di pezzi di vita divisi tra schizzi, foto, francobolli, volantini che non stanno lì solo per decorazione ma per fissare meglio una situazione, un pensiero, un messaggio. Un diario di viaggio che si arricchisce e ci arricchisce.

Se c’è qualcosa da non sottovalutare nel titolo Dontnod è anche la sua capacità di poterci proiettare noi stessi. Quando Maxine esce dall’aula e si trova nell’ampio corridoio, stretto ai fianchi dalle lunghe file di armadietti, sembra una scena già vista. Il rumore delle chiacchiere degli altri studenti che iniziano a popolare la scena si fa più insistente, la voglia di isolarsi, passare inosservati cresce e la protagonista fa un semplice gesto che ci sarà capitato di fare mille volte quando vogliamo stare da soli con i nostri pensieri: infila le cuffiette e la musica sovrasta qualsiasi suono esterno, rendendo tutto il resto ovattato mentre le nostre considerazioni rimbombano con più forza. To All of You dei Syd Matters accompagna la nostra camminata come se ogni attimo rallentasse e potessimo osservare meglio le persone intorno a noi. La colonna sonora con le sue sonorità indie e folk accarezza alla perfezione ogni momento mantenendo quella sensazione riflessiva e pacata che le azioni suggeriscono. La stessa illuminazione trae il meglio dall’Unreal Engine e gioca a voler quasi rendere eterni quei momenti, avvolgendoli nel calore dei raggi della costa del nord ovest del Pacifico; molto accentuato soprattutto negli esterni, quasi gli ambienti fossero sotto qualche filtro di Instagram, come una bella cartolina, una vecchia foto dove resta impressa la bellezza dell’attimo. Come un’aura. Ogni scenario non si fa forza del realismo ultrapompato dei dettagli, ma con la tecnica che il suo direttore artistico ha voluto definire “rendering impressionista” dove ogni texture è dipinta a mano.

Life is Strange episodio 1: Chrysalis – Prima di diventare farfalla


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