Magazine Cinema
LIFE WITHOUT PRINCIPLES (DYUT MENG GAM) (2011)
Regista: Johnnie To
Attori: Ching Wan Lau, Terence Yin, Richie Ren
Paese: Hong Kong
Johnnie To è colui che ha dato all'action orientale un volto del tutto nuovo. Guardare alcune delle sue pellicole più riuscite non può non risolversi nel riconoscere al regista cinese una capacità decisamente fuori dal comune, tale da ergere i suoi lavori al di sopra del mare di pellicole proposte ogni anno. Sono il risultato di una commistione ormai rara di cuore e tecnica che rende le stesse estremamente riconoscibili, eleganti e coinvolgenti. Titoli come “The Mission”, “Exiled” e i due “Election” sono in assoluto tra i migliori proposti dal cinema orientale contemporaneo. Proprio “Exiled”, però, è ad oggi l'ultima pellicola in cui si son viste realizzate appieno le potenzialità del cinema di To, dato che ad essa è seguita e segue una preoccupante parabola discendente dalla quale il regista non riesce proprio ad allontanarsi. Gli suoi ultimi lavori, infatti, da “Mad Detective” a “Vengeance”, passando per “Sparrow”, mostrano tutti le stesse identiche caratteristiche, riconducibili in sostanza ad una tecnica superba ma incapace di coinvolgere.
A distanza di due anni dalla sua ultima pellicola, ci riprova con questo “Life Without Principles”, con cui sembra voler rispondere allo stallo creativo, almeno in termini di risultati, cambiando totalmente genere. È a conti fatti un classico film drammatico, che sfiora la commedia più volte attraverso parentesi in cui si impone con forza quell'ironia tipicamente orientale, che da queste parti rischia di apparire spesso surreale. Un ispettore di polizia, un malvivente ed un'impiegata di banca, tutti alle prese in un modo o nell'altro con questioni economiche, sono i protagonisti dell'ultima fatica del cineasta cinese. Punto di contatto tra gli stessi è l'omicidio, dal movente anch'esso economico, di un usuraio che ha appena prelevato 10 milioni di dollari dal suo conto in banca.
Benché il soggetto avrebbe potuto tranquillamente risolversi in uno dei classici To, quest'ultimo mette in chiaro fin da subito, al contrario, che lo sviluppo sarà ben diverso e che non seguirà affatto gli stilemi classici del suo cinema. Quasi tutta la prima parte, anzi, non distoglie lo sguardo dall'impiegata di banca e dalla sua ricerca ossessiva di risultati professionali, oltreché dall'interazione della stessa con clienti intenzionati ad investire risparmi. È un continuo ripetere frasi preconfezionate sui rischi dell'investimento, sui tassi d'interesse, sui potenziali guadagni e sull'andamento del mercato. Si insiste così tanto su questa parentesi che ci si inizia a chiedere dove il regista voglia andare a parare; si inizia, per la verità, a sperare in una delle sue soluzioni, quelle capaci di far piombare da un momento all'altro sullo schermo una violenza alla quale si è ormai abituati, in cui si alternano coreografie di sangue e proiettili di cui lo spettatore non deve far altro che godere in un rispettoso silenzio. Ma non accade niente di tutto ciò. Si continua a seguire l'impiegata di banca fino alla noia, o comunque fino all'omicidio di cui si scriveva, privo anch'esso di mordente e delineato con una vena ironica della quale la pellicola non farà più a meno.
La telecamera si allontana quindi da quanto raccontato fino a questo momento e inquadra un altro dei tre personaggi: il malvivente. Ne descrive la curiosa personalità e ne segue le varie disavventure fino al punto di contatto con la parentesi narrata in precedenza. Un'operazione del tutto simile, seppur scandita dal ritmo più sostenuto del montaggio veloce, vedrà poi protagonista anche l'ispettore di polizia. Ancora, però, non si capisce dove To voglia andare a parare, se ha puntato tutto su un finale tale da ridisegnare i tratti dell'intera pellicola o se al termine appariranno, stile narrativo e sceneggiatura, rispettivamente funzionale ed efficiente nel suo meccanismo ad incastro. Peccato però che si sia giunti, a questo punto, già quasi nel tratto finale e che alla pellicola non resti che un miracolo per risollevarsi. Non che To non sarebbe capace di farlo, intendiamoci, ma di certo non dimostra in questo caso di saperlo fare. “Life Without Principles” scorre infatti via così com'era cominciato, ossia nell'anonimato più totale. Al termine la sceneggiatura risulta così debole e insipida che quasi si fa fatica a credere che ad idearla siano stati gli stessi che hanno scritto le pellicole, elencate inizialmente, più riuscite tra quelle dirette dal regista cinese. E se non fosse per una regia come al solito incantevole nel suo essere così tanto calibrata e affascinante, probabilmente si farebbe una fatica anche maggiore a credere che “Life Without Principles” sia una pellicola di Johnnie To. Non ha infatti, oltre alle altre mancanze, neanche alcun elemento con cui coinvolgere lo spettatore, tanto da restare allibiti dalla noia incalzante, perché del tutto estranea al suo cinema: può un suo film piacere solo fino ad un certo punto, può straniare (si veda “PTU”) ma di sicuro non annoia mai in una maniera così totale come quest'ultimo. È probabilmente, ad oggi, il punto più basso della sua filmografia.
Nelle due prossime pellicole tornerà a lavorare con Wai Ka-Fai, sceneggiatore seppur non del tutto convincente comunque originale, ed una delle due sembra tornare sui binari tipici della filmografia del regista. È lecito sperare, quindi. Ma neanche troppo.
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