Magazine Cinema
THE TREE OF LIFEdi Terrence Malick,USA, 2011
ora al cinema
Se ti piace guarda anche: 2001: a Space Odissey, Dogville
TRAMA
Una donna (Jessica Chastain) perde il figlio diciannovenne e prega Dio, interrogandosi sul senso della vita. Segue un documentario sulle meraviglie della nature che ci riporta fino ai tempi dei dinosauri, poi torniamo nell’America ‘50s quando i tre figli della donna sono ancora piccoli. Il maggiore di loro (Hunter McCracken), in conflitto con un padre autoritario (Brad Pitt, al posto di Heath Ledger), sfoga nelle preghiere tutta la sua frustrazione, finché da grande (Sean Penn) si ricongiunge con i suoi cari in un aldilà che ha le sembianze di una spiaggia appunto paradisiaca.
RECENSIONEQuello che ha fatto Malick non è un film, ma un’opera concettuale, filosofica e artistica spiazzante che come tale non sarà apprezzata dalla maggior parte degli spettatori che andranno al cinema per vedersi il nuovo film “di” Brad Pitt e Sean Penn, il quale, per la cronaca, ha un cameo e pronuncia una sola battuta. Non è forse un capolavoro del cinema, ma è un capolavoro artistico in senso lato.Malick si serve di cinque addetti al montaggio e degli effetti speciali di Douglas Trumbull, lo stesso che lavorò a 2001 Odissea nello spazio: e a Kubrick questo film deve moltissimo. L’assoluta libertà, la lentezza delle scene, la ricerca di una perfezione artistica, le immagini cosmiche ma anche le ellissi temporali. E Malick riesce perfino a strappare all’opera di Kubrick il primato che deteneva da decenni, ovvero quello di maggior ellissi della storia del cinema. Malick va ben oltre i tempi dei primati, accarezzando uno spazio temporale molto più vasto ed eliminando qualsiasi linearità temporale: si parte dagli anni ’50, si arriva ai giorni nostri, si torna ai tempi dei dinosauri e si torna agli anni ’50. Le scimmie di Kubrick sono state sostituite dai dinosauri e la breve scena di cui questi sono protagonisti riassume l’intera pellicola, il cui senso è anticipato nelle prime parole sussurrate dalla madre: “Esistono due vie, quella della Natura e quella della Grazia”. Il dinosauro carnivoro cerca di dare quello che definiamo un colpo di grazia, ma che in realtà è istinto naturale. Poi, preso da pietà, o misericordia, o grazia ( mercy) lo lascia vivere.Così la madre di famiglia, l’angelicata perfetta casalinga disperata anni ’50, che sembra però uscita direttamente da un quadro preraffaellita, è l’incarnazione di questa misericordia (preferisco questo termine a quello scelto dagli adattatori, grazia, in quanto meglio si addice a una pellicola prettamente religiosa).La figura del padre, classico maschilista e padre severo e punitore, rappresenta quella Natura violenta dal quale il figlio maggiore vuole fuggire, tanto da pregare Dio che suo padre muoia. Il film quindi unisce le preghiere di una madre e quelle di un figlio, evitando dialoghi e scene vere e proprie ( a parte un paio). La frase iniziale presa dal libro di Giobbe anticipa il dolore della donna, in quanto Giobbe rappresenta la punizione divina dei giusti. Le lunghe sequenze documentaristiche riportano fra i numerosissimo collaboratori l’artista Scott Nyerges a sua volta ispirato a Jordan Belson e il film è scandito da brani di musica classica (Smetana, Brahms) composti dall’onnipresente Alexandre Desplat (Il discorso del Re, New Moon, Il curioso caso di Benjamin Button). Malick ha creato qualcosa di straordinario dal punto di vista visivo, trasportandoci in un universo che ci fa davvero girare la testa con continui stacchi, riprese dall’alto, dal basso, circolari, e ogni virtuosismo possibile, con inquadrature che spesso durano pochissimi secondi e immagini di una bellezza sensazionale che riporta sullo schermo la meraviglia della natura (in tutte le sue forme).Ma se la tecnica è sopraffina e Malick gestisce il suo team in modo straordinario (compresi gli attori, tra cui spiccano le memorabili prove dei due bambini esordienti che stracciano la professionalità di Brad Pitt, anche se a rimanere nella storia sarà la prova della semisconosciuta Jessica Chastain), a mancare è un contenuto che riesca davvero a coinvolgere ed emozionare lo spettatore, tant’è che alla fine questa enorme maestria solleva i sospetti di vuoto e pretenzioso virtuosismo. In un infinito inseguirsi di allegorie, simbolismi e immagini meravigliose rimane una cornice straordinaria che ognuno può riempire come vuole, con tutte le conseguenze del caso. Ma in fondo qeusto film è una serie di preghiere, formule che ognuno riempie come vuole, dunque lo spettatore riempirà come vuole questo straordinario involucro.VOTO: 7,5
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