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Like A Vision: Bruce Springsteen e il Cinema

Creato il 05 dicembre 2015 da Zambo
Like A Vision: Bruce Springsteen e il Cinema
« Se ho un segreto riguardo alla composizione di una canzone, forse è perché quando la scrivo lo faccio perché sia un film: non per farne un film, ma perché lo sia » (Bruce Springsteen) 
Gli album e le canzoni di Bruce Springsteen sono sempre state assolutamente cinematografiche - o almeno le sono state per la durata dei suoi giorni creativi. Così la gang del Pink Cadillac Bruce Springsteen Fan Club si è rimboccata le maniche, per mettersi al lavoro sul rapporto fra Bruce Springsteen ed il cinema, fino a tirarne fuori questo bellissimo libro patinato ricco di immagini e fotografie, intitolato Like A Vision, diviso in (1) Il cinema nelle canzoni di Bruce Springsteen, vale a dire i film che hanno influenzato il Boss; (2) le canzoni di Springsteen nel cinema, cioè tutte le colonne sonore in cui le sue canzoni sono apparse (un centinaio); (3) una colonna sonora nei titoli dei film - è noto che al Boss piace prendere i titoli delle proprie canzoni da altre canzoni, e dal titolo dei film.
Devo però avvisarvi che bella mia recensione c’è un conflitto di interessi; gli autori Paola Jappelli e Gianni Scognamiglio hanno infatti concesso l’onore di aprire il libro alle presentazioni di Carlo Massarini, Mauro Zambellini e del sottoscritto.
La mia è quella che segue.
“Fra il cinema ed i rocker c’è sempre stato uno stretto legame. Non a caso un film fondamentale nel lanciare il fenomeno del rock’n’roll fu Il Seme della Violenza (Blackboard Jungle) nel ’56, con Rock Around The Clock di Bill Haley & His Comets nella colonna sonora. Da allora c’è un filo rosso ininterrotto che va dai musicarelli di Elvis Presley (come Jailhouse Rock) a quelli dei Beatles (fra cui è fondamentale Hard Day’s Night), fino ai cult degli anni ottanta di Blues Brothers e The Commitments passando per la psichedelia dei sixties di Easy Rider. La casa del cinema americano, nel bene e nel male, è sempre stata Hollywood, e Los Angeles è anche la mecca dei musicisti americani, in virtù della concentrazione di etichette discografiche che ai tempi belli gravitavano proprio attorno alla Warner Bros, la casa cinematografica (Warner, Elektra, Asylum, e la Reprise di Frank Sinatra, oltre a minori come la Slash). Per questo non solo il cinema ha approfittato largamente del contributo dei musicisti rock per le colonne sonore (Randy Newman e Ry Cooder ci hanno costruito una carriera), ma dei musicisti ha pure spesso e volentieri sfruttato il volto stesso, per pescare caratteristi: Tom Waits, David Johansen, Chris Isaak, Dwight Yoakam, Lyle Lovett. Ed anche inglesi, come David Bowie, Mick Jagger (e Keith Richards in un ruolo cameo nei Pirati dei Caraibi). Ci sono stati, al contrario, attori di professione che hanno provato a diventare rock star, in verità con risultati deludenti, da Bruce Willis a Jeff Bridges e Kevin Costner. È da un po’ di tempo che Steve Martin sembra aver abbandonato gli irresistibili ruoli comici nelle commedie leggere per inseguire una carriera seria di musicista bluegrass. Con la sua verve e la sua personalità non avrebbe d’altra parte probabilmente incontrato difficoltà ad aver successo in alcuna carriera, da medico a predicatore.
Bruce Springsteen non è mai stato attore, se non dei suoi video clip, e ho sentito dire che usare le sue canzoni nelle colonne sonore sia piuttosto costoso, tanto che in Streets Of Fire di Walter Hill, ispirato ad un suo titolo, la sua canzone non appare. Un errore della produzione, evidentemente, dal momento che alle sue colonne sonore non sono mai mancati riconoscimenti, come l’Oscar a Streets Of Philadelphia (e Dead Man Walking, e la commovente The Wrestler).
Ma il Boss non ha bisogno di recitare nei film, perché molti dei suoi dischi sono già decisamente film di per sé. I personaggi di Lost In The Flood o It’s Hard to Be a Saint in the City, entrambi dal disco d’esordio del 1973, sono più cinematografici che realistici. The Wild, the Innocent & the E Street Shuffle, il secondo disco, oltre a portare un titolo a la Sergio Leone, è un cinemascope di New York City. The Darkness On The Edge Of Town è decisamente un ritratto cinematografico delle small town polverose del west, mentre The River è un affresco urbano a la Spike Lee. Le storie di Nebraska, come Highway Patrolman (divenuta poi effettivamente un film), Johnny 99, My Father’s House, sono tanto cinematografiche che non puoi ascoltarne senza immaginare l’azione.
Il titolo di Born In The U.S.A. è rubato pari pari dal progetto di un film di Paul Schrader, ribattezzato poi Light Of Day da una canzone del Boss.
Human Touch è un film girato di notte nei sobborghi di Los Angeles, mentre nel suo gemello Lucky Town la cinepresa vaga fra i deserti del Nevada a quelli della Death Valley”.

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