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Lila Ria. La prima intervista – a cura di Iannozzi Giuseppe

Creato il 28 ottobre 2011 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

Lila Ria. La prima intervista

a cura di Iannozzi Giuseppe

In fondo agli Occhi – Lila Ria

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1. Lila Ria, avresti voglia di raccontarci brevemente chi sei e quali sono i tuoi interessi?

Lila Ria

Lila Ria

Sono una trentunenne che abita nella provincia di Varese. Ho iniziato a scrivere da bambina (dei diari). Poi intorno ai ventuno/ventidue anni ho iniziato a scrivere racconti. Attualmente preferisco scrivere “poesie”.
Mi ritengo una persona piuttosto normale, non ho grandi particolarità. A parte forse che, nonostante l’età, sia ancora una persona troppo spontanea (mi manca quel filtrino tra il cervello e la bocca) e credo le persone si ricordino di me per questo motivo.

Ho bisogno del contatto con la gente: sia sul lavoro (non riuscirei a essere l’unica persona dell’ufficio. Mi verrebbe la depressione) che tra le amicizie (per fortuna ho molti amici). Sarà che, forse, fino a pochissimi anni fa dividevo la camera da letto con tre sorelle e ho sempre vissuto in una casa incasinata dagli oggetti e dalle voci.

Sono interessata alle cose belle. Al bel cinema. Alle belle mostre. Ai bei libri. Alla bella musica. Mi piacciono le situazioni in cui puoi spaziare con la mente e, quando rientri a casa, hai la possibilità di immaginare, in una sorta di vita parallela a quella reale.

2. Tu, Lila, scrivi soprattutto poesia. Come sei venuta a contatto con il mondo della poesia e i suoi tanti autori?

Io non ho ancora capito se scrivo poesia. Scrivo “delle cose” perché le ho nella pancia e devo per forza tirarle fuori. Ho iniziato alle superiori. Scrivevo queste cose su dei bigliettini, o ai margini dei libri di economia aziendale (la detestavo!), libri d’inglese, d’italiano. O sul diario di scuola.

Credo facessi le scuole medie quando lessi su un tavolo di legno (ai bagni del mare) delle frasi di Jim Morrison scritte con l’indelebile. Penso sia scattata in quel momento la molla. A farmi capire che potevo “far uscire” le cose che avevo dentro, e mi turbavano. Mi facevano stare male.

Purtroppo (per questo credo di non poter essere chiamata poetessa) non ho alla base una cultura poetica. Eccetto le poesie lette nell’ora d’italiano, ho letto pochissimi libri di sola poesia.
Il primo è stato “Lovers” di Isabella Santacroce. Quel nuovo modo di fare poesia, così distante dagli schemi scolastici, mi diede una spronata a continuare a scrivere le cose che scrivevo.
Ho letto, in francese, diverse poesie di Baudelaire (mi sono regalata la versione col testo nelle due lingue: dopo questa intervista, da stasera, lo riprenderò in mano). Qualcosa di Neruda, Ginsberg (ero stata a uno spettacolo in cui si citava un brano estratto dal suo “Urlo”, ed ero curiosa).
Ho amato molto anche “Alabama Wildman” di Thurston Moore (il cantante dei Sonic Youth). Dopo la sua scomparsa, ho letto Alda Merini e recentemente Sylvia Plath.

3. Scrittori e poeti che sino a oggi ti hanno maggiormente influenzata, in positivo e in negativo: perché?

Non so se sono stata influenzata da qualche scrittore. È che non mi ritengo minimamente all’altezza degli scrittori che ammiro.
In un ordine abbastanza cronologico, rispetto a quando li ho conosciuti, ti nomino Primo Levi (Se questo è un uomo), Hemingway (Il vecchio e il mare), Vassalli (La chimera), Kafka (La metamorfosi), Coelho (Veronika decide di morire), Gilbert Adair (The Dreamers), Margaret Mazzatini (Non ti muovere), Lucarelli (Almost blue), Baricco (Novecento), Nick Hornby, Chuck Palahniuk e Ammaniti (di tutti e tre invidio quel loro trascinarti correndo nelle loro pagine), Michael Cunningham (Le ore), Patrick Suskind (Il profumo), Virginia Wolf (La signora Dalloway), Breat Easton Ellis (Meno di zero), Sartre (La nausea), Saramago (Cecità), Sylvia Plath (La campana di vetro).
Credo di essere ancora molto lontana da ognuno di loro.
Quelli negativi, non li cito nemmeno.

4. Potresti darci una tua, personale, definizione di “poesia”?

Le frasi che mi colpiscono. Quella, per me, è la poesia.
Quando riesci a far vedere delle immagini, a rievocare odori o sensazioni. A far uscire dal corpo e proiettare in un’altra dimensione.

5. Parliamo ora del tuo poetare. Guarda esso forse a qualche movimento poetico e/o culturale di oggi, di ieri?

Sicuramente si tratta di poesia moderna. Quando scrivo scelgo parole semplici, ma intense. Il mio intento è far vedere delle immagini a chi legge i miei testi. Anche se, magari, immagini/situazioni diverse da quella che avevo in mente io quando ho scritto.
Tra il 2004/2008 facevo molta attenzione ai caratteri grafici. Magari scrivevo una parola con un carattere diverso, oppure più grande, o in corsivo, in neretto.
Adesso invece metto particolare attenzione alla punteggiatura (spessissimo assente) o posizionando strategicamente i termini che voglio rendere più incisivi.

6. Per certi versi, i tuoi versi sono particolari: non seguono dei dettami stilistici classici o predefiniti, vorrei dunque che ci spiegassi – o che ci raccontassi – qual è il tuo stile poetico.

Vuoi ti dica come nascono le mie poesie? Sento delle cose che devo necessariamente tirar fuori (oppure non riesco a dormire, o mi sento troppo nervosa). E mi sfogo scrivendole, dure, come le sento.
Il mio modo di scrivere è molto egoistico: serve a far sentire più leggera me. Non ho mai pensato a chi mi legge.
Sono rimasta molto colpita quando ho trovato (attraverso i blog, attraverso la rivista) gente che mi ha detto riesco bene a trasmettere le sensazioni.
Anche se non sono mai esplicita. Non dico “ho questa cosa”. Mi piace visualizzare il dolore.
Poi, non so com’è. Ma dopo averlo esternato “in poesia” è come se mi liberassi. Mi sento molto meglio.
Quindi, perché non scrivere?

7. Nella tua poesia affronti tematiche sempre diverse, ma quasi mai felici. Quali sono i temi che preferisci fotografare attraverso il tuo poetare? Per quali ragioni?

I temi che affronto prevalentemente sono due: il dolore dentro al cuore, che provo, alcune volte, a causa delle mie relazioni e il dolore fisico, lancinante che sopporto (a intermittenza) a causa della mia malattia muscolare.
Credo che l’ottanta per cento delle mie poesie sia nato nei momenti in cui sto male per la mia patologia. A volte, il dolore fisico (a causa di una caduta o per il freddo o per l’essere stata troppo tempo in piedi o per l’aver nuotato troppo) è talmente forte che si espande come una schiuma nella testa e va a ingombrare la mente. E, quasi, non riesci più a pensare. Entri in dei tunnel che sembrano infiniti.
Io scrivo per uscire da quei tunnel. E di fatti, ne esco!

8. Da tempo porti avanti una proficua collaborazione con VIVAMAG, rivista gratuita distribuita in tutta Varese. Come è nato questo sodalizio culturale? Racconta.

Ero in un pub con degli amici. E, uno di loro (Riccardo) estrasse dal suo zainetto bejolino diverse copie di questa rivista formato mignon in cui erano state pubblicate le sue foto. Mi sembrava stupendo che la sua arte potesse avere così tanta visibilità.
Ho cercato la pagina di VIVAMAG! su fb. Ho contattato il direttore Vincenzo Morreale. Gli ho chiesto se sulla loro rivista avevano spazio anche per la poesia. Mi chiese di inviargli qualcuno dei miei testi via mail. Poi mi disse che avrebbe chiesto a una delle fotografe che lavorava per il mensile di interpretarle. E sul numero di Luglio/Agosto 2010 vennero pubblicate le mie prime due poesie.
Dal numero successivo chiesi se potevo collaborare con mia sorella Federica Pamio. Lei non mi chiede mai di cosa parlo nei miei testi. Però riesce sempre a coglierne il senso più profondo.
Collaboro con VIVAMAG! da oltre un anno. Ma ogni volta è un’emozione essere tra quelle pagine. La sensazione che provo è quella di condividere la mia arte con molte persone. Un numero certamente maggiore di quelle che possono leggere le mie poesie nelle varie antologie.

9. Qual è la cosa che più odi? E quella che invece più ami?

Odio le persone ipocrite. Quelle che ti fanno tante moine e non aspettano altro che ti giri per fregarti.
Amo le persone che ti sorridono gratuitamente. Sorridere non costa niente. Ma, spesso, scambiarsi un sorriso ti regala un pezzo di felicità

10. Hai dei progetti, dei sogni o anche degli incubi che vorresti poter realizzare?

Nella vita? O in ambito letterario?

Nella vita:
Progetti, studiare per migliorarmi nel mio “nuovo” lavoro.
Sogno, che qualcuno scopra la cura alla miopatia congenita centro nucleare e che io possa (un giorno) alzarmi alle sei del mattino, per andare a correre un’ora prima di andare al lavoro
Incubo, appiattirmi. Non avere più interessi

In ambito letterario:
Progetto, terminare di scrivere “Tunnel”, il mio primo romanzo semi-autobiografico
Sogno, di diventare una scrittrice apprezzata
Incubi, beh. Per quelli, leggetevi le mie poesie.

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