“…e la forza di guidarci e assisterci. Come trent’anni fa. Grazie, Presidentessa. Grazie a lei, e grazie all’USP.”
Alzo gli occhi dal leggio nel momento esatto in cui la platea che riempie l’aula magna si alza in piedi ed inizia ad applaudire. La prima a farlo è mia nonna, seguita da Baguette e dalle altre donne presenti, inclusa Vega G. Ce l’ho fatta, penso. Ho raggiunto la fine del discorso senza inciampare, senza sbagliare, senza dimenticare nulla. E loro sono contente di me. Orgogliose.
Hanno seguito le mie parole e hanno annuito, anche quando ho nominato la Sindrome. Il respiro di molte donne si è fermato quando l’ho fatto, e tutte si sono girate a guardare Vega G., in attesa che mi interrompesse. Ciò non è accaduto, però. Il volto di Vega G. è rimasto impassibile, dietro gli occhiali scuri.
Le donne continuano ad applaudire. Alcune si abbracciano, tante mamme baciano le proprie figlie. Ad un tratto, però, la Presidentessa lascia il suo posto dalla prima fila e sale sul palco. La Kilstrom, dietro di me, le va incontro, ma un gesto della mano di Vega G. le chiede di rimanere seduta. Mi raggiunge accanto al leggio, liberandosi dagli occhiali;
si china fino a darmi un bacio sulla guancia e a cingermi le spalle con un braccio. La mia sorpresa è la sorpresa delle donne che ci osservano: Vega G. non ha mai baciato nessuno in pubblico. La sala esplode in un applauso ancora più fragoroso. Alcune mie compagne gridano il mio nome, mentre Vega G. riprendere a battere le mani per me.
“Grazie,” dico in un sussurro. “Grazie, Presidentessa.” Cerco gli occhi di mia nonna, e li trovo pieno di lacrime. Al suo fianco, Baguette la indica con il pollice e mima con le labbra ‘Te l’avevo detto!’.
La Presidentessa compie un passo verso destra, verso il leggio. Si china sul microfono nel momento in cui mi sposto per darle spazio, richiamando l’attenzione della sala. “Donne di Malorai,” dice, e le sue parole ottengono l’effetto desiderato. Le donne in piedi tornano sedute, e ora gli occhi di tutte sono puntati su Vega G.
“Donne di Malorai,” ripete. “Sapevo che quella di oggi sarebbe stata una giornata importante. Sapevo che il mio cuore si sarebbe riempito di gioia e di orgoglio, e non solo per il motivo principale per cui mi trovo qui, ovvero il diploma di tutte voi,” dice, indicando le ragazze sul cui capo spicca la piccola coroncina di tessuto rosso. “Lilac Zinna,” continua,
girandosi a guardare me. “Lilac Zinna ci ha ricordato qualcosa di molto importante, oggi,” dice, appoggiando un pugno sul petto. “La passione e l’amore per il nostro nuovo mondo,” esclama. “La passione e l’amore per la nostra nuova vita. Conosciamo bene le nostre difficoltà, donne di Malorai. Conosciamo bene i nostri limiti, conosciamo bene i nostri
problemi. Ma non dobbiamo mai perdere di vista la cosa più importante, la cosa che Lilac Zinna ci ha ricordato nel suo meraviglioso discorso.” Mi sorride di nuovo. Sento il cuore scoppiare nel petto, tanta è l’emozione.
“E la cosa più importante è che noi ci siamo!” esclama la Presidentessa sotto gli occhi emozionati delle donne che l’ascoltano. “L’USP è con voi, sempre! Una Sola Persona, è questo il nostro motto. Siamo tante, ma allo stesso tempo siamo una sola persona.
Nasciamo, studiamo, ci riproduciamo, miglioriamo la nostra vita, il nostro nuovo mondo. Insieme!” grida. “Insieme, come un’unica donna!”
L’applauso, stavolta, è ancora più grande di quello che ha accompagnato la fine del mio discorso. Applaudo anch’io, alla sua destra. Osservo il suo sguardo determinato, il suo corpo protratto in avanti, verso la sala, e l’ammiro.
“Grazie, Vega G.!” grida una donna anziana dal centro della sala.
“Grazie, Presidentessa! Grazie, USP!”
“Lilac ci ha ricordato l’importanza della nostra esistenza,” riprende Vega G., e il silenzio piomba di nuovo nella sala. “E lo ha fatto parlando del momento più doloroso,” aggiunge, abbassando gli occhi per pochi istanti. La sua voce si spezza quando aggiunge: “La Sindrome.” Quando mi guarda, ho paura che lo faccia per riprendermi, per ricordarmi che della Sindrome è vietato parlare, soprattutto in pubblico. “Hai avuto coraggio, Lilac Zinna. Hai avuto coraggio,” ripete, prima di voltarsi verso le altre. “Avevamo paura di non farcela,” dice quasi in un sussurro. “Ma ci siamo rialzate. Avevamo paura di estinguerci, ma abbiamo trovato il modo per continuare a vivere,” continua, a voce più alta. “Abbiamo
preso fra le mani il mondo piegato su se stesso e l’abbiamo fatto rifiorire! Noi, insieme.
Tutte noi, donne di Malorai. Insieme.” Si ferma, inspira, e poi continua. “Fra di voi ci sono tante ragazze che non hanno conosciuto le impavide madri che le hanno messe al mondo.
Molte di voi, da domani, intraprenderanno il processo della riproduzione, sapendo che ciò comporterà un grande rischio. Eppure andrete avanti, donne. Eppure lo farete. Perché siete forti, perché siete unite. Perché vi amate, perché amate il bene più sacro, ovvero la vita. E io sono qui, oggi, per dirvi ancora una volta che Vega G. non vi abbandonerà mai. Io e l’USP saremo con tutte le donne che ne hanno più bisogno. Siamo il vostro governo, siamo il vostro mondo! Siamo Una Sola Persona!” Batte un pugno sul leggio nel momento in cui le donne si alzano per applaudire la loro approvazione e la loro adorazione. “Io rimarrò con voi, donne di Malorai, donne di Francia, donne del mondo intero! Vega G. continuerà a lavorare per voi e con voi, sempre.”
“Grazie,” dico a bassa voce mentre applaudo. So di essere sull’orlo del pianto, ma riesco a trattenermi. “Grazie, Vega G.”
“Grazie a te, Lilac Zinna,” dice lei, appoggiando le mani sul leggio. Il suo sorriso è caldo, sincero. “Grazie per avermi ricordato ciò che è importante.”
La preside Kilstrom si avvicina alla Presidentessa per stringerle la mano, e io ne approfitto per scendere dal palco e andare incontro alla nonna e a Baguette. La nonna mi stringe fra le braccia con un gesto rapido, e continua a stringere per un lungo minuto. “Bambina,” dice fra le lacrime. “La mia bambina.” Si scosta quel tanto che basta per guardarmi negli occhi e sorridere. “Sei stata eccezionale, Lilac.”
“Grazie, nonna.” I miei occhi sono bagnati di lacrime come i suoi, ma felici. Pieni di felicità.
Baguette non piange, ma è ugualmente emozionata quando mi abbraccia. “Vega G. parla in terza persona di se stessa,” mi dice poi all’orecchio. “Vega G. è inquietante,” aggiunge con un ghigno dei suoi.
Le do una spinta leggera sulla spalla. “Smettila. E’ stata grandiosa,” dico, indicando il palco.
“Tu sei stata grandiosa,” ribatte lei, cercando e trovando la mia mano. “Siamo orgogliose di te.” Guarda verso mia nonna, che si sta asciugando gli occhi con un fazzoletto. “Ha pianto come una fontana,” bisbiglia. “Visto?”
La folla inizia a disperdersi quando le insegnanti richiamano l’attenzione verso il buffet allestito all’esterno, nel giardino che si trova sul retro del liceo. E’ un buffet privo di cibo, ma ricco di bevande. Ognuna delle donne presenti ha in mano un bicchiere, quando io, la nonna e Baguette raggiungiamo il giardino. Si tratta di bevande alla frutta ottenute, come
il resto delle cose commestibili, in laboratorio. La nonna viene attorniata immediatamente da alcune madri, che si congratulano con lei per il mio discorso, e Baguette si lancia verso il buffet con un unico obiettivo: creare una nuova bevanda mescolando quelle a disposizione.
Io mi fermo con le mie compagne di corso, raccogliendo i loro complimenti e facendo loro gli auguri per il diploma. Molte viaggeranno fino a Settembre, prima di ritornare a Malorai e iniziare a lavorare. Sylvia e Jen partiranno per Londra, prima di rientrare e iniziare a procreare. Si tengono per mano mentre mi raccontano del loro progetto. “Dopodomani andremo all’ospedale per ottenere i permessi, e al nostro rientro inizieremo la procreazione,” dice Sylvia. Jen è al settimo cielo al pensiero di diventare madre. La sua è la famiglia più numerosa di Malorai, con ben quattro sorelle.
“Sono davvero felice per voi,” dico ad entrambe.
“E tu, Lilac? Quando procreerai? Prima o dopo l’inizio del lavoro?”
“Dopo,” rispondo con decisione. “Intendo aspettare almeno sei mesi dall’inizio delle lezioni. Sapete, per abituarmi agli orari e al nuovo ritmo.”
“Certo,” dice Jen. “Fai bene. Anche perché sarai da sola, e quindi avrai bisogno del doppio delle energie.” Sylvia annuisce alle sue parole, appoggiando la testa sulla sua spalla e sorridendo. Quel gesto, assieme a quelle parole – ‘Sarai da sola’ – ha un effetto strano su di me. Un effetto che tozza con la gioia che ancora provo dopo aver ascoltato le parole di
Vega G., un effetto che mi lascia temporaneamente senza parole e senza sorriso.
Ma non ho tempo di elaborare ciò che sento dentro, perché una voce attira la mia attenzione e quella delle mie amiche. E’ la voce di Baguette. Mi volto verso il buffet, e la vedo lì, in piedi, con accanto le due guardie personali di Vega G.
“E’ ridicolo, ridicolo!” esclama, agitando le mani in aria. “E’ solo un lettore mp3, ne avete mai visto uno? Potete usarlo se volete, sono certa che vi renderà felici!”
Il viso di Baguette è rosso di rabbia, mentre quello delle guardie è di pietra. Una delle due ha fra le mani l’oggetto proibito da cui Baguette non si separa mai, e ora tutte le donne presenti osservano la scena.
“Serve ad ascoltare la musica,” continua Baguette. “Sapete almeno cos’è la musica? Dalle vostre facce di cera direi di no,” dice, incrociando le braccia sul petto.
Una delle due guardie le dice qualcosa a voce bassa, talmente bassa che solo Baguette riesce a sentirla. L’altra si volta verso la Presidentessa, che sta osservando la scena dall’altro lato del giardino. Cerco mia nonna con gli occhi, e la trovo accanto al sindaco Jamal, poco distante da Baguette. Il suo sguardo è fermo su di me e, anche se non posso
leggere nella mente, so bene cosa sta cercando di dirmi: Non interferire, Lilac. Non avvicinarti alle guardie. Restane fuori.
Le donne che vengono trovate in possesso di oggetti proibiti rischiano una pena che va dai tre giorni ai tre anni di isolamento nel carcere di Parigi. Una volta scontata la pena, nessuna delle donne incarcerate fa ritorno nel proprio paese. E’ l’USP a scegliere, per lei, una nuova residenza, un nuovo lavoro, una nuova vita.
L’atteggiamento agguerrito di Baguette nei confronti delle guardie di Vega G. non fa altro che peggiorare la situazione. E gli occhi dipinti di rosso di quest’ultima sembrano emanare fuoco, quando si posano sulla mia amica. Il giardino del liceo è immerso nel silenzio. Mia nonna scuote il capo verso di me, a sottolineare ciò che il suo sguardo mi ha detto finora.
Restane fuori. Non interferire.
Ma si tratta di Baguette. Si tratta della mia migliore amica. Non posso rimanere a guardare. Quando Vega G. inizia a camminare verso di lei, non esito: mi muovo anch’io.
“Celeno, Elettra. Cosa succede?”
Con pochi passi, la Presidentessa è su Baguette e sulle due guardie che, sentite le sue parole, si voltano a guardarla. Ci sono anch’io, accanto a lei. Arriviamo accanto alla mia amica nello stesso momento, anche se Vega G. non si accorge della mia presenza.
“Violazione della direttiva 761,” dice una delle guardie. Non so se sia Celeno o Elettra; i suoi occhi azzurri sono fissi su Vega G. “Margot Riford è in possesso di un oggetto proibito.” La guardia indica la sua collega, quella che ha in mano il lettore mp3. Lo tiene sul palmo aperto per mostrarlo alla Presidentessa.
“E’ così?” chiede Vega in un sussurro. “Margot Riford, figlia di Juliette. Questo oggetto proibito è tuo?”
Baguette regge il suo sguardo per pochi istanti. Gli occhi neri della Presidentessa hanno la meglio, quando la mia amica abbassa i suoi sul prato.
“Rispondi, Margot Riford. E’ tuo?”
“E’ mio,” dico senza pensarci. “Quel lettore è mio.”
Vega G. si volta verso di me. Se la mia presenza la meraviglia, non lo dà a vedere. Baguette inizia a scuotere il capo velocemente, come per farmi smettere.
“Ho chiesto a Margot di reggere le mie cose durante il discorso,” continuo, “e fra di esse c’era anche il lettore.” Lo prendo dalla mano della guardia, lo agito in aria. “E’ mio.” Alle parole aggiungo un sorriso nervoso.
Molte delle donne hanno fatto qualche passo in avanti per vedere e ascoltare meglio. La Preside Kilstrom copre la bocca con la mano. Il volto di mia nonna è pallido, quasi bianco.
Cosa stai facendo, gridano i suoi occhi. Cosa credi di fare?
Proteggere Baguette. Ecco cosa sto facendo.
“Lilac.” Vega G. accenna ad un sorriso. “Il tuo coraggio è da ammirare. La tua capacità di mentire, invece, non molto.”
“Non sto mentendo,” insisto, stringendo il lettore fra le mani. “E’ mio! Ba-Margot non ha fatto nulla, se non custodire il mio oggetto proibito.”
“Lilac, piantala.” E’ Baguette a parlare, facendo un passo in avanti per togliermi dalle mani il lettore. Il suo gesto è veloce. I suoi occhi sono velati. “Non fare sciocchezze per me,” dice sottovoce prima di ritornare fra le due guardie. A quella alla sua destra porge l’oggetto proibito. “Quel lettore mp3 è mio, Presidentessa Vega. Lo uso per ascoltare musica, in
particolare musica proibita. Potete arrestarmi.”
“No!” esclamo, mettendomi fra Vega G. e Baguette. “No.”
La Presidentessa assiste al mio gesto con un’espressione del viso che sembra quasi divertita. “No?” ripete, appoggiando una mano sul fianco.
“No,” dico con convinzione. Continuo a proteggere Baguette col mio corpo, pur sapendo che è inutile. Accanto a lei ci sono due donne alte quasi due metri, che potrebbero portarla via in qualsiasi momento.
“Lilac,” dice Vega G., “il tuo gesto è ammirabile, davvero. E coraggioso, ripeto. Ma è giunto il momento che tu ti faccia da parte e lasci che la tua amica affronti ciò che l’attende.”
Alza gli occhi sulle guardie prima di andare avanti. “Confiscate l’oggetto, avvertite Parigi. Margot Riford arriverà al carcere prima del tramonto.”
(capitolo 1-2-3-4)
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